Principale Politica Merli in gabbia

Merli in gabbia

“L’attuale quadro politico non fa ben sperare per l’anno che verrà. L’augurio, perciò, è che sia un 2022 di lotte. Ciascuno può fare la sua parte…”, a scriverlo nei suoi buoni auspici di fine anno è il patron di MicroMega, da due anni posseduti dai demoni profilattici e pronto a barattare i diritti in passato così cari a  una “sinistra illuminista di giustizia-e-libertà”, in cambio di vaccini e patentini, impegnata a diagnosticare  i mali contemporanei incarnati da un “movimento”  di eretici e disobbedienti caratterizzato da “irrazionalità, pensiero magico, superstizioni antimoderne, speculazioni complottiste”, come l’ha definito il Censis, attivissimo come al solito nell’ossequio al regime.

Uno degli aspetti più vergognosi della resa degli intellettuali alla deriva neoliberista è rappresentato dalla codarda remissività con la quale si sono lasciati espropriare perfino delle parole d’ordine e delle bandiere, oltre che dei valori e dei principi di chi si è battuto nei secoli per il riscatto degli sfruttati.

Il loro contributo al processo per addomesticare vis polemica, addolcire ragionevolmente la critica e colpevolizzare il dubbio è stato rilevante e di questi tempi ha raggiunto il culmine, quando una maggioranza all’interno delle corporazioni dei “pensatori” ha deciso che era tempo di dare sfogo a frustrazioni, miserabili rivincite, traducendo in denigrazione e linciaggio le balbettanti  polemiche di cattivi alunni contro mentori inarrivabili per prestigio e lucidità, produzione e seguito.

E’ che perfino  in filosofia succede a volte quello che accade con la produzione creativa: non sempre il successo ricompensa unicamente prodotti commerciali e non sempre autori e opere  sono condannati alla marginalità per essere troppo avanti, controcorrente, eretici. Mentre quasi sempre sono i mediocri ad emergere senza sforzo perché si adattano, si fidelizzano al potere, reggono lo strascico dei soggetti dominanti, li blandiscono, pronti a rinnovare la stessa sfarzosa adulazione nell’omaggio a quelli che succederanno.

Una caratteristica degli usignoli dei re travicelli che si avvicendano sulla scena dell’impero di occidente è costituita da una forma di sereno e bonario ottimismo, un fiducioso realismo -beati loro – di cui godono in regime di esclusiva per via della pervicace manutenzione di privilegi e protezioni che permettono loro di guardare al futuro senza le preoccupazioni nelle quali ci dibattiamo noi gente comune. Insomma credere viene considerato un atteggiamento virtuoso, anche alla luce di rivelazioni che confermano la dabbenaggine di chi ha ritenuto che improvvisamente i detentori dei poteri decisionali fossero stati folgorati da un fulmine redentivo che avrebbe estratto dal loro cuore di tenebra buoni sentimenti finora tenuti a freno, senso di responsabilità e protezione a tutela del bene comune.

Sarebbe un atto di riconoscenza quindi sospendere giudizi negativi, rinviare a emergenza conclusa, grazie alla felice combinazione di autorevole decisionismo e  fertile ricorso ai progressi della scienza,  giudizi critici e opposizione, incompatibili con la gravità del momento. si palesa la possibilità che come l’Europa anche Draghi sia riformabile, e dire che di traditori della patria negli ultimi decenni ne abbiamo visti, soggetti che hanno consegnato i nostri beni a mani straniere, svenduto la nostra produttività e la nostra economia, demolito stato sociale, accolto di buon grado i comandamenti della teocrazia neoliberista che oggi si sbizzarrisce con sempre più stringente controllo sociale e discriminazioni feconde di nuove disuguaglianze.

Altro che lotta, vedi mai che sconfini in quella di classe, le energie ora vanno tutte indirizzate allo stigma, alla cancellazione sociale dei disertori, si mettono giudizi in bocca ai morti per sostenere le ragioni dello stato di eccezione, si da credito alle azioni dei decisori sempre più afflitti da un marasma cognitivo e fattuale, si riconferma l’obbligatorietà  di generare gerarchie e graduatorie di diritti e garanzie,  alcuni  dei quali necessariamente alienabili per ragioni di forza maggiore. Così i capisaldi della democrazia sono retrocessi a ubbie di irresponsabili e irragionevoli, l’esercizio del dubbio che dovrebbe sovrintendere a ogni azione  di ricerca e sperimentazione, è diventato un capriccio insensato, una manifestazione di disordine mentale, un comportamento nichilista, rafforzando la convinzione che è indispensabile la rinuncia alle proprie convinzioni e al proprio arbitrio e civico e  urbano l’atto di fede incondizionata a sostegno delle autorità.

C’è proprio da rimpiangere quell’attitudine di un recente passato, che qualcuno ha definito l’ideologia del ritiro, quando schizzinosi e disincantati pensatori, afflitti personalmente dal fallimento del socialismo reale,  sospettando che non esista via virtuosa al potere avevano maturato la certezza che non esistendo alternativa praticabile all’orrore quotidiano della sopraffazione e dello sfruttamento, era preferibile guardare il mondo scorrere su Google, alzando malevolmente le sopracciglia al passaggio di cortei che non avevano ricevuto la loro superiore legittimazione di espressioni  accettabili, inviolati dai maleducati fermenti dei margini.

Macché adesso sono in trincea occupati a persuaderci dalle loro gabbiette dorate dell’implacabilità incontrastabile del grande Morbo che giustificano l’adesione alle misure emergenziali, il rinvio di battaglie concrete e pratiche a dopo, al ritorno a quella normalità che ha prodotto il danno, il  sostanziale assoggettamento al progetto imperiale da ammansire come si faceva con le belve dei circhi, lanciando libbre di carne degli immeritevoli, destinati a essere sacrificati.

Sono così banali, così ovvi da sfiorare il ridicolo  nel servo encomio di una cricca che dimostra di non essere tagliata neppure per far bene  quei mestieri ripugnanti, che il processo di civilizzazione aveva sottratto alla vista dei più, boia, sicari, macellai, a meno di non mostrarli a fini pedagogici, come la mansione del beccaio rituale o del sanitario che inietta la dose mortale al condannato.

Se c’è un augurio che mi sento di rivolgere a tutti è quello di mettere il silenziatore ai loro megafoni, di prenderci noi il diritto di censura delle loro voci e  di riappropriarci della lotta, che è e deve essere nostra.

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