Quando abbiamo un problema e lo raccontiamo al prossimo c’è sempre qualcuno che ci dice di guardare a chi sta peggio.
Ciò significa che è poco empatico riguardo ai nostri problemi o che li ritieni inessenziali, marginali. È vero che ci sono persone che si creano da sole problemi o che si fanno tanti problemi oppure che pensano di avere problemi, mentre in realtà non è così.
È però altrettanto vero che ognuno ha il diritto di sfogarsi e comunicare il proprio malessere. Sicuramente ognuno di noi ha persone nel mondo che stanno peggio ed altre persone che stanno meglio di lui.
La cosa migliore sarebbe meditare su tutti i problemi, vedere cosa ci accomuna con le altre persone e tirare le somme.
Tutto questo è alquanto difficile, forse impossibile. La nostra visione del mondo è sottoposta sempre ad una lente deformante personale, che ci contraddistingue.
Ma è indubbio che su una cosa hanno ragione queste persone, ovvero che dobbiamo se non rovesciare la prospettiva, almeno cambiarla. Fa parte della psiche umana provare invidia e guardare a chi sta meglio piuttosto che guardare a chi sta peggio e provare compassione. Ognuno ha il diritto di ritenere importanti i suoi problemi, così come ha il diritto di trovare qualcuno che lo ascolti. Nell’adolescenza e nella giovinezza si fa spesso un dramma per una delusione sentimentale. Nella maturità alcuni sono angosciati per la solitudine. Non sempre il prossimo può capirci perché ognuno è fatto a modo suo, ha la sua esperienza, sperimenta un malessere nella sua vita, che non sempre è facilmente comunicabile e compreso dagli altri.
Non sempre noi capiamo gli altri, non sempre gli altri ci capiscono. Ognuno ha delle zone oscure, inesplorabili, su cui è difficile indagare. Allo stesso tempo bisogna capire che non tutti hanno il dovere di ascoltare i nostri problemi. Bisogna anche comprendere le persone che alzano dei muri, che non ci comprendono.
Dobbiamo sempre ricordarci che tutti noi diciamo spesso di non capire questo o quel tale. Capita a tutti. Spesso noi non capiamo una problematica altrui perché non l’abbiamo vissuta sulla nostra pelle, nonostante siamo tutti esseri umani ed abbiamo dei neuroni specchio. Non si può certo fare una testa così dei nostri problemi a chi ne ha di più o a chi non vuole saperne di ascoltarci.
Non sempre le persone vogliono o possono ascoltarci. Da parte nostra ci deve essere accortezza a non essere invadenti e pesanti. Anche questa è educazione, ovvero quella di non sovraccaricare il prossimo dei nostri problemi.
Forse se una persona ci dice che bisogna guardare chi sta peggio è poco empatica nei nostri confronti, ma è anche vero che se noi non facciamo ciò siamo poco empatici nei confronti di chi sta peggio.
Spesso piuttosto che guardare a chi sta peggio e provare pietà sperimentiamo un certo piacere nel conoscere le disgrazie altrui. Ciò è quello che i tedeschi chiamano Schadenfreude. Ad onore del vero questo stato d’animo per i tedeschi scaturisce più dagli insuccessi e dai fallimenti altrui che dal male altrui. Esiste uno Schadenfreude dichiarato apertamente per chi ha osato troppo, ha osato l’inosabile e uno Schadenfreude più nascosto e meno legittimato socialmente nei confronti anche di persone solamente più sfortunate, che non hanno colpe. Ma torniamo al concetto di invidia. Ho sempre sostenuto che invidiamo cose o qualità che non abbiamo a persone a noi vicine. Il fatto è che il mondo è diventato sempre più piccolo, conosciamo l’esistenza di moltissime cose, eventi, persone tramite i mass media.
L’invidia viene amplificata nel cosiddetto villaggio globale. Lo so: viene amplificata l’invidia e non la compassione. Non viene neanche intensificato il gioire del bene altrui. Forse noi non siamo fatti così, sic et sempliciter. Il confronto è sempre verso l’alto e raramente verso il basso; esiste quella che gli psicologi chiamano una spinta unidirezionale verso chi sta meglio. In realtà, indipendentemente da chi guardiamo, dovremmo anche frequentare chi sta come noi e ha i nostri stessi problemi.
È chiaro che non esistono persone che possiamo capire totalmente e da cui possiamo essere capiti totalmente. La ricettività totale, l’empatia totale non esistono. Se proviamo una sensazione di questo tipo è solo istantanea ed illusoria. Ma sicuramente persone col nostro stesso tipo di problematica ci possono capire ed aiutare di più.
Possono essere solidali. I gruppi di autoaiuto esistono per questa ragione. Esiste una condivisione ed una comprensione maggiore tra persone simili o con problemi simili. Ma poi siamo così sicuri che quelli che invidiamo stiano davvero meglio? Spesso una condizione esistenziale non è data solo da una situazione oggettiva ma anche dalla percezione soggettiva.
Nessuno sa cosa cova veramente un altro essere umano nella sua psiche. Una volta però -e qui parlo in generale- si invidiava il re ed i cortigiani, mentre tutti erano contadini. Oggi il mondo è molto più vario, sono molte più le cose che conosciamo. Oggi riceviamo molti più stimoli e molti più input di un tempo. Siamo quindi degli eterni insoddisfatti. Il consumismo e con esso i mass media stimolano il nostro desiderio incessantemente. Vorremmo avere tutto o quasi, vivere tutto o quasi. Aumentano anche le frustrazioni. Molti ad esempio guardano siti porno e poi si sentono frustrati. Vedono una grande quantità di donne belle e disponibili, mentre alcuni nella loro realtà non hanno una donna disponibile. Naturalmente non pensano che gli attori porno siano solo una piccolissima minoranza della popolazione, così come le pornostar.
Naturalmente queste persone non pensano certo di essere privilegiati e fortunati rispetto a coloro che hanno un male incurabile e si trovano in fin di vita all’ospedale. Allo stesso modo possono invidiare molti vip che hanno notorietà, donne e denaro, rientrando a pieno titolo nella categoria degli hater, ma non muovono un dito nei confronti di chi è povero. A volte penso che molte rivoluzioni siano avvenute per quella che in psicologia si chiama deprivazione relativa piuttosto che per una sete di giustizia e di equità, per una vera lotta alla povertà, per affermare i diritti dei più deboli.
Secondo gli psicologi Taylor e Moghaddam “l’assunto principale della teoria della deprivazione relativa è che la soddisfazione di una persona o di un gruppo non è collegata ad una situazione oggettiva, ma, piuttosto, alla situazione relativa rispetto ad altre persone o gruppi.
I teorici concordano nel sostenere che il malcontento sorge dal confronto con estranei in condizioni migliori”. Forse per un mondo nuovo ci vorrebbe un uomo nuovo, ma l’uomo è sempre lo stesso, è fatto sempre della stessa pasta e non cambia.
Davide Morelli