Principale Ambiente & Salute L’UE progettava pass sanitari già 20 mesi prima della pandemia

L’UE progettava pass sanitari già 20 mesi prima della pandemia

Nel 2018 le prime proposte di “passaporti vaccinali” in Europa, sede di 8 dei 10 maggiori paesi mondiali esportatori di farmaci

Un ragionamento deduttivo – ma forse poco attento – vedrebbe i sempre più richiesti “Green Pass vaccinali” come il frutto di un’attenta risposta delle istituzioni europee e mondiali alla crisi sanitaria generatasi con l’avvento del Sars-Cov/2, uno dei ceppi appartenenti alla famiglia dei Coronavirus. La libertà di spostamento tra nazioni e, in alcuni stati, addirittura quella dell’accesso ad eventi sportivi, concerti, teatri, hotel, palestre, bar, ristoranti e negozi sarebbe pertanto – a rigor di logica – giustamente vincolata all’attestazione del proprio sano stato di salute, ribaltando il paradigma di un cittadino, fino a prova contraria, in condizione fisica sana e non malata al viceversa.

Tuttavia quando il dato acclarato che in Europa risiedano 8 dei primi 10 paesi principali esportatori di farmaci si fonde con quello che la regolamentazione dei lasciapassare-post-vaccinazione abbia visto i propri albori nell’aprile di quasi quattro anni fa – ca. 23 mesi prima dell’11 marzo 2020, data ufficiale di inizio pandemia da Co.Vi.D./19 – il dubbio che la logica possa aver lasciato il passo all’interesse, suo malgrado, nasce. O perlomeno ci si potrebbe chiedere se, apparentemente o meno, la pandemia non abbia fornito alla politica il “pretesto” di cui c’era bisogno per realizzare il progetto già avviato.

Genesi dei “passaporti vaccinali”

È il 26 aprile del 2018 infatti il giorno in cui l’esecutivo della Commissione Europea pubblica, per la prima volta, una proposta di passaporti sanitari: non è dato sapere poi se il giusto risalto mediatico della notizia non fu meritato per scelta volontaria o perché la vaccination card/passport era sfuggita ai più, trovandosi seppellita in coda ad un dossier che trattava di “Cooperazione rafforzata contro le malattie prevenibili dai vaccini”.

I piani organizzativi dell’idea proposta furono delineati successivamente in un documento di roadmap pubblicato ad inizio 2019, in cui il tema principale divenne quello di “esaminare la fattibilità dello sviluppo di una carta/passaporto comune per le vaccinazioni compatibile con i sistemi informativi di immunizzazione elettronica e riconosciuta per l’uso transfrontaliero” dei cittadini europei e il cui obiettivo seguente si configurò in una proposta legislativa comunitaria da presentare entro il 2022. In questa fase nacque molta della terminologia anglosassone dedicata alla materia a cui oggi siamo abituati da due e più anni. Sempre in questo momento di alta cooperazione tra alti leader furono definiti anche i sostegni europei per “contrastare l’esitazione vaccinale”, tra i punti “chiave” d’azione elencati nel documento, e vari riferimenti a potenziali “focolai imprevisti”, con l’introduzione del concetto di “autorizzazione per vaccini innovativi, anche per le minacce alla salute emergenti”.

Postulato che “l’industria della produzione di vaccini” avesse un ruolo strategico nella guerra per centrare gli obiettivi elencati nel documento, la mappa elencava “il miglioramento della capacità di produzione dell’UE” e lo “stoccaggio di vaccini” tra i focus point da tenere a mente. Puntando poi a rafforzare le “partnership esistenti” e la “collaborazione con attori e iniziative internazionali”, il programma faceva menzione anche di un vertice globale sulla vaccinazione che si svolse seguentemente nel settembre del 2019, i nomi dei cui partecipanti invitati è, se non altro, rivelatore.

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“Event 201”: il vertice globale del 12 settembre 2019 sulla vaccinazione

Sfuggito anch’esso alla maggior parte dei media tradizionali, il 12 settembre 2019 – appena 3 mesi prima dell’inizio dell’epidemia da Coronavirus – si tenne a Bruxelles il “Summit globale sulla vaccinazione”, organizzato dalla Commissione Europea in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Ma la data menzionata potrebbe fare ancora più rumore se si pensa che, a distanza di solo 36 giorni – 18 ottobre 2019 -, si svolse successivamente l’ormai famigerato (non per tutti) Event 201, un vero e proprio esercizio di simulazione dell’epidemia da Coronavirus, patrocinato dalla Bill & Melinda Gates Foundation, dal World Economic Forum e dalla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health. L’evento fu strutturato attorno a tre “tavole rotonde”: “In Vaccines We Trust” (Del Vaccino Noi Ci Fidiamo), “The Magic Of Science” (La Magia della Scienza) e “Vaccines Protecting Everyone, Everywhere” (Vaccini che Proteggono Chiunque, Ovunque), e vide la partecipazione – previo invito – di leader politici e alti rappresentanti dell’ONU, di ministri ed accademici, scienziati e professionisti della salute nonché di organizzazioni non governative, tra cui personaggi di spicco come Nanette Cocero (Presidente globale di Pfizer Vaccines), il Dott. Seth Berkley (CEO di GAVI, Global Vaccine Alliance) e Joe Cerrell (amministratore delegato della Bill & Melinda Gates Foundation per Global Policy and Advocacy).

Dai rapporti documentati distribuiti ai partecipanti (“Planning di Preparazione a un’Influenza Pandemica”, “Esercitazione influenza pandemica per l’Unione europea”, “Planning di Preparazione a un’Influenza aviaria e a una Pandemia Influenzale”, “Planning di preparazione a un’Influenza pandemica e pianificazione della risposta”, “Verso la sufficienza di Vaccini influenzali pandemici nell’UE” e “Partenariato pubblico-privato sui vaccini influenzali pandemici europei”) pare che la pianificazione pandemica fosse nettamente prevedibile: da ciascuno di questi documenti sembrerebbe anche che il rafforzamento di una collaborazione con l’industria farmaceutica fosse un obiettivo ripetutamente cercato e che il messaggio di una pandemia globale imminente ed inevitabile fosse chiaro.

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“Passaporti vaccinali”: a chi servono (e a chi no)?

Ma, se volessimo (nostro malgrado) tornare ad usare la logica, a chi potrebbe tornare utile l’impiego a lungo termine di “passaporti vaccinali”, e a chi no?

Certamente potrebbero non essere la prima esigenza delle persone comuni, seppur molta gente lo accetti “timidamente” come possibile soluzione temporanea in vista di un ritorno alla “normalità” che molti politici si affrettano a dire che non tornerà mai più. Condividere la propria cartella clinica e altri dati personali non farebbe piacere a nessuno generalmente, ma pare essere divenuta la condizione necessaria, non sufficiente ma obbligatoria per far parte della società.

Quello che è matematico alla fine si riduce ai dati: le vendite globali di farmaci e vaccini, pronte a raggiungere 1,5 trilioni di dollari americani quest’anno, di certo fanno bene all’industria farmaceutica multinazionale ed ai propri investitori, ben felici qualora i passaporti legati ai vaccini potessero diventare obbligatori a lungo in tutto il mondo. Pare addirittura che il mercato totale dei vaccini Co.Vi.D./19 abbia raggiunto un valore di $ 100 miliardi di vendite e $ 40 miliardi di profitti netti e che potrebbero essere richieste vaccinazioni annuali contro le future mutazioni del Coronavirus, utili sinora almeno ad incrementare ulteriormente queste cifre.

In vista di una sempre più probabile dipendenza mondiale economica e politica nel lungo periodo, un obiettivo utile e doveroso sarebbe quello di opporsi ove possibile alle “regole dell’industria farmaceutica” dettate esclusivamente dal profitto e di contrapporgli un sistema sanitario basato su approcci preventivi reali, tipo quelli espressi nella Dichiarazione di Barletta del 2014 ad esempio. Accettare come unico orizzonte i dictat imposti – a volte segretamente – dalle case farmaceutiche è semplicemente impensabile, oltre che troppo illogico…

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(Liberamente ispirato all’articolo di Paul Anthony Taylor su Dr. Rath Health Foundation e tradotto su The Unconditional blog del 4 maggio 2021)

Antonio Quarta

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

Il Corriere Nazionale

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