di Matteo Notarangelo*
Dopo le dichiarazioni degli amministratori di Monte Sant’Angelo, diventa necessario specificare il concetto di mafia.
Bruciare la macchina, mettere un ordigno a un’attività commerciale e negare un qualsiasi diritto al cittadino hanno lo stesso significato.
I diritti sono l’anima di una Comunità e hanno senso se sono promossi e tutelati.
A volte, i diritti sembrano robusti, garantiti e certi, ma non è cosi. I diritti diventano incerti, gracili e vaporosi quando non si ha la forza di proteggerli.
Ogni comunità umana diventa incivile se la sua gente non ha la capacità di contrastare anche la minima violazione di un ordinamento giuridico.
Sono queste le ragioni che hanno convinto il Legislatore a differenziare la criminalità amministrativa e politica da quella delinquenziale e mafiosa. È questa distinzione che ha indotto a dire a qualunque magistrato e a qualsiasi persona di buon senso che l’associazione di tipo mafioso è quella che usa la “forza di intimidazione”, al fine di:
- commettere delitti;
- controllare le attività commerciali e finanziarie;
- ostacolare il libero esercizio del voto.
Questi particolari giuridici rendono manifesto che il concetto di mafia corrisponde a quello di “criminalità organizzata”, espressione di un sistema sociale e di pensiero antico e accettato. Quel vivere medievale, controllato, bloccato e dipendente viene raccontato dagli storici e dagli antropologi come un modello di società arcaica da cui scaturisce la mafia, impregnata di cultura antistatale.
È questa la realtà della città di Monte Sant’Angelo?
Guardiamo i particolari.
Era il 1986, un’agenzia del governo americano circoscrisse “Cosa nostra” a un’organizzazione che si “caratterizzava per la militanza, per la struttura gerarchica, per la continuità storica, oltre la vita dei suoi membri”.
Il sociologo Rocco Sciarrone scrive: “…la forza della mafia risiede nelle sue relazioni esterne, nella capacità di allacciare relazioni e costruire reti sociali”.
Nella rete, ci sono politici, dipendenti pubblici e affaristi corrotti, professionisti e consulenti. A questi, si unisce gente perbene che consuma merci e servizi illeciti.
La mafia, per questi favori, si radica nel tessuto sociale e politico di una comunità: commercia, fa affari, favorisce protezioni e presta le sue cortesie al momento delle elezioni.
Gli esperti del fenomeno mafioso mostrano che solo periodicamente la mafia ostenta la sua pericolosità con atti di sangue.
Se in questi giorni a Monte Sant’Angelo c’è un acuirsi di fatti criminosi, c’è una ragione?
Basta dichiarare alla stampa che soggetti ignoti vogliono utilizzare le istituzioni per fini personali?
È quanto accade a Monte Sant’Angelo?
Se è così, c’è una trasformazione politica della criminalità locale?
La delinquenza o “mafia” diventa politica quando persegue il proprio progetto di occupare gli spazi del potere istituzionale.
In questo mutamento organizzativo politico, ci sono pezzi della delinquenza o “mafia’ che diventano visibili.
Allora? È quanto accade a Monte Sant’Angelo?
Anche in questi giorni, gli Amministratori e i rappresentanti di alcune forze politiche di Monte Sant’Angelo parlano di una mafia che cerca di condizionare e penetrare nel sistema rappresentativo locale.
Se questa è la loro verità, c’è da pensare che nella città di Monte Sant’Angelo è in atto una contrapposizione tra il “Comune, ” santuario di legalità, e la “mafia” , deserto di civiltà?
Se è una verità teorica, si ragiona.
Se è, invece, una verità investigata, bisogna spiegare i perché e provvedere.
Se ciò non accade, le tante dichiarazioni pubbliche e il risalto ripetuto della notizia di “mafia”, data dai mezzi di comunicazioni, rischiano di criminalizzare i cittadini montanari e di rendere qualunque banale e comune atto delinquenziale “dei montanari” un’ efferatezza ancestrale, quasi lombrosiana, marchiata a fuoco sulla fronte dei nativi e degli abitanti di Monte Sant’Angelo.
A questo riduzionismo identitario, tutti i cittadini di Monte Sant’Angelo, residenti e sparsi nel mondo, non ci stanno e dicono alla magistratura, alla stampa e ai politici che la storia, la cultura, l’onestà e la responsabilità civica dei Montanari non possono e non devono essere ridotti a cose di mafia, a semplice stigma.
*Sociologo counselor professionale