Avevamo davvero bisogno del monologo di Drusilla Foer? Pare proprio di sì, vista la risonanza mediatica e la standing ovation dei presenti all’Ariston. Ma allora perché nel 2022 tali discorsi comportano ancora acclamazione da un lato e sgomento, misto a risentimento, dall’altro? Perché la co-conduttrice della terza serata del Festival di Sanremo ha sentito l’esigenza di esprimere quei pensieri?
Ha detto ciò che una buona parte della popolazione pensa o condivide, eppure ci voleva qualcuno che lo gridasse a gran voce e ci ricordasse l’importanza di celebrare la nostra unicità, di ascoltarci e ascoltare e di pensare liberi da pregiudizi. Con le sue parole ci ha condotti sulla strada per uscire da quel “buio pesto”, da lei citato, e ci è servito tanto quanto una seduta di psicoterapia.
Il perché, però, fosse necessario ricevere questo schiaffone morale in diretta, su Rai1, da uno dei palchi più illustri d’Italia, evidenzia purtroppo l’esistenza di un rilevante numero di persone che, invece, è ad oggi ancora restio ad eliminare dal proprio vocabolario la parola “diversità”. «La diversità – afferma appunto Drusilla – non mi piace, è qualcosa di comparativo, esprime una distanza che non mi convince. Quando la verbalizzo sento sempre che tradisco qualcosa che sento o che penso».
Ovviamente, non va fatta di tutta l’erba un fascio. Per fortuna molte coscienze sono già state smosse e le nuove generazioni nascono e crescono con il valore dell’inclusione, dell’integrazione e dell’accettazione del prossimo, ma è bene anche sottolineare che in Italia una sorta di immunità di gregge da ogni tipo di discriminazione è ahimè molto lontana.
Servirebbe una vera e propria rivoluzione, il più grande atto rivoluzionario: l’ascolto di sé stessi e degli altri, dice proprio la Foer. Bisogna focalizzarsi non sulla diversità, bensì sull’unicità di ognuno e solo così potremo conoscerci davvero, apprezzarci e apprezzare di chi ci è accanto, senza giudizi, né vergogna.
«La parola “unicità” mi piace e piace a tutti, perché tutti noi siamo capaci di notare l’unicità dell’altro e tutti pensiamo di essere unici, facile no?! Per niente, perché per comprendere la propria unicità è necessario capire di che cosa è composta, di che cosa siamo fatti noi. Certamente di cose belle: le ambizioni, i valori, le convinzioni, i talenti. Ma i talenti vanno allenati, seguiti. Delle proprie convinzioni bisogna avere la responsabilità, delle proprie forze bisogna averne cura. E poi ci sono i dolori che vanno affrontati, le paure che vanno esorcizzate, le fragilità che vanno accudite. Non è facile entrare in contatto con la propria unicità. Come si fa a tenere insieme tutte queste cose? Io un modo ce l’avrei: si prendono per mano tutte le cose che ci abitano, quelle belle e quelle che pensiamo siano brutte, e si portano in alto. Si sollevano insieme a noi, nella purezza dell’aria, nella libertà del vento, alla luce del sole, in un grande abbraccio innamorato e gridiamo: “Che bellezza, tutte queste cose sono io!”. Sarà una figata pazzesca. Sarà bellissimo abbracciare la nostra unicità e a quel punto io credo che sarà più probabile aprirsi all’unicità dell’altro e uscire da questo stato di conflitto che ci allontana».
Con questo monologo Drusilla Foer, in risposta a tutte le critiche sollevate sulla sua persona e sulla sua partecipazione al Festival, ha dimostrato di essere sì l’attrice ironica e irriverente già amata e conosciuta in televisione e in teatro, ma soprattutto di essere allo stesso tempo colta, elegante e squisitamente sensibile, capace di veicolare un messaggio così speciale e universale che ha incantato tutti.
Con classe, nel suo lungo abito nero, e con aria intensa e, per certi versi, rassicurante ci ha regalato una verità assoluta, una di quelle pillole di vita che quando diventi grande ti fa pensare “ah, se lo avessi capito prima…”. Ha cercato di svegliarci dal torpore di questi ultimi anni, esortandoci a una crescita personale, a una riconnessione con noi stessi e con il mondo che ci circonda, che è ricco di colori e sfumature.
Per dare un senso profondo alla sua presenza all’Ariston conclude, chiedendo a tutti: «Promettetemi che ci doneremo agli altri, che ci ascolteremo e accoglieremo il dubbio, anche solo per essere certi che le nostre convinzioni non siano solo delle convenzioni. Facciamo scorrere i pensieri e i sentimenti in libertà e liberiamoci dalla prigionia dell’immobilità».
Quindi la Foer, personaggio controverso e adorato, ha colpito nel segno. Ha strappato lacrime e applausi (nonostante l’orario) e forse avrà fatto storcere il naso a qualcuno, ma, in ogni caso, ciò che è certo è che il suo momento rimarrà nella storia del Festival. Il nostro auspicio è però che rimanga soprattutto impresso per sempre nelle menti degli italiani.