Principale Arte, Cultura & Società Nundinae Dies – Giorni di fiera

Nundinae Dies – Giorni di fiera

Nundinae Dies – Giorni di fiera
di Claudia Babudri
Si chiamavano Margot e Gigi ed erano due simpatiche tartarughine. Me le ricordo nella
vaschetta comprata dai miei,intente a sguazzare in acqua o a poltrire su un isolotto artificiale
provvisto di palmetta.Il ricordo di quei due esserini si lega alla mia infanzia indissolubilmente così come la memoria del luogo in cui mi furono regalate: la Fiera del Levante. Su di me, piccola e curiosa, quell’evento aveva un notevole effetto: tutta quella gente, quei padiglioni colorati, il profumo dei dolci e delle leccornie street food, scatenavano la curiosità tipica dei fanciulli. La Fiera, capace di richiamare in Puglia l’attenzione e la presenza di molti anche dall’estero, nacque nel 1929 dalla collaborazione del Comune, dell’Amministrazione
Provinciale e della Camera del Commercio di Bari, diventando una delle principali fiere
italiane e del Mediterraneo. Ma la Fiera come oggi la conosciamo – contingenze permettendo
– è piuttosto recente rispetto ad un appuntamento storico molto antico e di ben altra
ispirazione. Nundinae dies, giorni di fiera. Risale al Medioevo la fiera che si svolgeva a Bari
nei giorni di festa tributati a Nicola, Santo patrono, vescovo di Myra. Ampiamente studiata da storici autorevoli come Cioffari, Beatillo, Babudri e Melchiorre, la fiera è attestata nei
volumi afferenti all’epoca normanno – sveva del Codice Diplomatico Barese, nelle inedite
pergamene aragonesi dell’Archivio Storico di San Nicola e nel Codice Diplomatico Pugliese.
Prima del Trecento ne scrisse Andrea da Bari nelle sue “Consuetudini”. Attraverso la
ricostruzione socio – economica del capoluogo pugliese, gli storici hanno inquadrato
l’istituzione della fiera poco dopo la traslazione delle ossa del Santo (9 maggio 1087) e la
deposizione delle spoglie nell’altare della cripta basilicale (1089). Il collegamento tra la fiera
e la sacralità del capitolo è attestato dai documenti di epoca federiciana: dalla cessione del diritto di piazza (plateaticum) nel 1223 al pubblico riconoscimento nel 1234 delle attività
fieristiche basilicali inserite tra le sette più importanti del Regno di Napoli. Ma non solo. In
epoca angioina, i sovrani che ne riconobbero la liceità furono Roberto d’Angiò, Giovanna II e
Luigi II. Con la traslazione delle sacre spoglie nel difficile periodo normanno, Bari trovò
nuova linfa non solo spirituale ma anche economica. La fiera, organizzata a maggio e a
dicembre, durava sette giorni, preceduti e seguiti da tre giornate dedicate all’organizzazione. I
mercanti provenivano dalla provincia ma anche dal resto d’Italia e dall’Oriente. Si
disponevano nei cortili offerti dal capitolo, ampliati nel Quattrocento in modo da
comprendere il Palazzo di Città, Vico Corsioli , la Chiesa dei Gesuiti e Piazza Mercantile. Si
vendeva di tutto, dai profumi alle stoffe, dalle spezie agli alimenti e ci si disponeva in base
alla tipologia dei prodotti. Al fine di esporre le mercanzie, i commercianti potevano affittare
diverse sistemazioni: semplici banchi di legno detti tabulata, oppure le logiae , simili a
moderni scomparti con una parete di fondo e due pareti sagomate laterali o le apothecae ,
piccole botteghe. L’onestà giuridica delle transazioni era assicurata da un mastromercato e un mastro giurato laico di nomina capitolare incaricati di fissare i pesi e le misure a cui i
commercianti dovevano attenersi. Scambi culturali, commercio e spiritualità non furono gli
unici elementi segnanti la fiera nicolaiana medievale. A partire dagli anni Venti del secolo
XIV, si documenta a Bari una lunga e violenta contesa tra capitolo, università, cittadini e
mercanti per il primato sulla locazione e la sistemazione dei commercianti durante la fiera. Il 15 febbraio 1321, Carlo, duca di Calabria, accordò ai mercanti la libertà di sistemazione a
scapito della Basilica che potrà placare la sua sete di giustizia solo nel 1340 quando Carlo
d’Angiò ne riconfermò i diritti. Ogni provvedimento fu inasprito nel 1359 sempre a favore del capitolo. Questo polverone tra rivendicazioni giuridiche, abusivismo e lotte cittadine, si placò durante il XV secolo, assopendosi tra Cinquecento e Settecento segnati solo da problemi relativi alla logistica e sicurezza dell’evento. Tra 1806 e 1815 il rinnovato malcontento dei commercianti portò alla fine della fiera di maggio. Quella di dicembre, ormai snaturata dal decreto del 1847 in virtù del quale i commercianti si ritennero liberi dai vincoli fieristici in cambio del corrispettivo affitto da destinare al capitolo, sarà disdetto poco prima dell’Unità d’Italia. Così termina un’interessante pagina della storia barese le cui radici affondano nel Medioevo rivelando tutta la vivacità culturale e commerciale del capoluogo pugliese.

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