Dal secondo golpe sul Paese gravano le sanzioni imposte dall’Unione economica e monetaria dell’Africa Occidentale (Uemoa), che lo ha messo sotto embargo.
AGI – La Francia, i suoi alleati europei e il Canada procederanno a un “ritiro coordinato” delle forze dispiegate da anni in Mali, conseguenza diretta dei rapporti travagliati con la giunta militare al potere dopo ben due colpi di Stato.
Nel dare l’annuncio della decisione, il presidente, Emmanuel Macron, ha sottolineato che in Mali “non ci sono sono più le condizioni politiche, operative e giuridiche” per continuare a portare avanti la lotta al terrorismo jihadista sul territorio nazionale. Il suo è un riferimento diretto all’incertezza scaturita dai due colpi di stato che si sono susseguiti, a distanza di soli 9 mesi l’uno dall’altro, il primo nell’agosto 2020 e il secondo nel maggio 2021.
Il progressivo divario tra Parigi e Bamako ha cominciato a manifestarsi a seguito del primo golpe, che il 18 agosto 2020 ha avuto inizio nella base militare di Kati – stesso luogo in cui partirono quelli del 2012 e del 1968 – in segno di malcontento delle forze armate nei confronti del presidente della Repubblica, Ibrahim Boubacar Keita, in carica dal 2013.
Il golpe è stato preceduto da un’ondata di manifestazioni contro il potere, cominciate nel giugno 2020.
All’origine delle proteste popolari c’è stata una recrudescenza di violenze terroristiche, nel contesto della guerra contro le forze jihadiste in corso dal 2012, ma anche di scontri interetnici.
Il presidente Keita è stato destituito dai militari che hanno formatoi un Comitato nazionale per la salvezza del popolo diretto dal colonnello Assimi Goita, autoproclamato capo di Stato. Dopo una serie di trattative complesse, un percorso di transizione ha stabilito una durata massima di 18 mesi per il ritorno dei civili al potere – con l’organizzazione di elezioni democratiche entro il 2022 – e la formazione di un governo di transizione a composizione mista tra civili e militari.
A distanza di pochi mesi, il 24 maggio 2021, le tensioni sempre più forti tra la giunta militare e alcuni esponenti delle istituzioni di transizione sono culminate nell’arresto del premier Moctar Ouane (civile) e del presidente Bah N’Daw (militare). Con un secondo golpe il colonnello Goita si è autoproclamato nuovamente presidente di transizione.
Da allora sul Mali gravano le sanzioni imposte dall’Unione economica e monetaria dell’Africa Occidentale (Uemoa), che ha sospeso il Paese del Sahel e lo ha messo sotto embargo, in particolare per la decisione dell’uomo forte di Bamako di prorogare la transizione da 6 mesi a 5 anni.
Unanimi le condanne di Unione africana, Onu, mentre la Francia ha deciso di sospendere le operazioni congiunte con le forze militari maliani e gli Stati Uniti hanno bloccato gli aiuti all’esercito maliano.
In un contesto di crescenti proteste anti-francesi e di escalation diplomatica tra Bamako e Parigi, a fine gennaio scorso l’ambasciatore francese in Mali è stato espulso dalla giunta militare. Subito dopo il governo francese ha annunciato il ritiro progressivo delle sue truppe dell’operazione Barkhane e la riorganizzazione della forza internazionale Takuba “entro metà febbraio”.
Al centro delle tensioni diplomatiche tra Parigi e Bamako, che si sono riaccese più volte negli ultimi mesi, c’è anche la messa in discussione della credibilità del nuovo governo maliano per la sua decisione di ricorrere a paramilitari della società russa Wagner nella lotta al terrorismo.
Una linea apertamente condannata dalla Francia e dall’Unione europea
Ora, in un contesto di sicurezza molto fragile per la presenza sul territorio nazionale di numerosi gruppi armati jihadisti, oltre all’incertezza generata dal prossimo ritiro delle truppe francesi, europee e canadesi, il Mali deve anche fare i conti con gravi problemi finanziari.