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“Le limitazioni al diritto al lavoro per il Covid sono incostituzionali” dice una giudice

Nella motivazioni alla sentenza con cui assolve un cittadino per essere uscito di casa violando un Dpcm, il magistrato fa riferimento a leggi e dpcm “sempre più stringenti fino ad arrivare a incidere sul diritto al lavoro violando l’articolo 36 della Costituzione.

© AFP – Palazzo Chigi

AGI  – Secondo la giudice di Pisa Lina Manuali, che ha assolto un cittadino dall’accusa di avere violato un Dpcm per essere uscito di casa durante la pandemia, “con il susseguirsi – spesso in contrapposizione tra loro – di decreti legge e Dpcm si è assistito all’introduzione di sempre più stringenti restrizioni e limitazioni nell’esercizio delle libertà e dei diritti fondamentali, fino ad arrivare a incidere sul diritto al lavoro e a un’equa retribuzione con violazione dell’articolo 36 della Costituzione”. Il riferimento alle limitazioni per chi non possiede il green pass sembra chiaro anche se non viene esplicitato.

Lo stato di emergenza “era illegittimo”

E’ quanto si legge nelle motivazioni, depositate due giorni fa e consultate dall’AGI, alla sentenza pronunciata l’8 novembre scorso. Tra le altre cose, il magistrato afferma che la delibera datata 21 gennaio 2020 con cui il Consiglio dei Ministri stabilì lo stato di emergenza era “illegittima” e, di conseguenza, lo sono stati tutti i provvedimenti che a essa si richiamavano e tutte le proroghe dello stato di emergenza.

Anche per questa ragione, Manuali ha assolto un cittadino ‘perché il fatto non sussiste’ dal reato di ‘inosservanza dei provvedimenti dell’autorità’ per avere violato il divieto di uscire di casa ‘se non per motivi di lavoro, salute o necessità’.

Non è la prima sentenza che stabilisce l’illegittimità dei Dpcm ma è una delle più articolate e si spinge fino ad alludere, mettendole in forte dubbio dal punto di vista giuridico, alle limitazioni sul lavoro per chi non è in possesso del green pass.

La pandemia non è uno ‘stato di guerra’

Centrale nel ragionamento del giudice il concetto di “stato di emergenza”. Il punto di partenza è che “l’ordinamento costituzionale italiano non contempla né lo stato di eccezione, né lo stato di emergenza al di fuori dello stato di guerra” e la “la situazione causata dal Covid non è giuridicamente assimilabile allo stato di guerra”.

E’ vero che la dottrina ammette un “implicito statuto costituzionale dell’emergenza a tutela della salute pubblica e della pubblica sicurezza” ma “la tutela di questi diritti non può ingigantirsi a tal punto da tiranneggiare la protezione di altri diritti di pari natura costituzionale”.

E, in ogni caso, se si stabilisce una gerarchia tra quale dei diritti costituzionali sia più importante in quel momento si deve farlo rispettando “i principi di legalità, riserva di legge, necessità, proporzionalità, bilanciamento e temporaneità”.

Questo, secondo la sentenza, il Governo non lo avrebbe fatto. C’è una legge del 2018, il cosiddetto ‘Codice della Protezione Civile’, che attribuisce la possibilità di istituire uno ‘statuto di emergenza’ alla Presidenza del Consiglio ma solo nel  caso di “calamità naturali”, “una dimensione di crisi del tutto diversa dalla pandemia provocata da agenti virali”.

In conclusione, per la giudice “manca qualsivoglia presupposto legislativo su cui fondare la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 non rientrando tra i poteri del Consiglio dei Ministri quello di dichiarare lo stato di emergenza sanitaria”.

Redazione Corriere Nazionale

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

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