Principale Arte, Cultura & Società Sui bar, sulle bariste e altre amenità

Sui bar, sulle bariste e altre amenità

La professoressa e poetessa D. nel bel mezzo di uno scambio di idee su trauma e poesia mi aveva scritto che l’importante è non essere snob, saper parlare con gli altri anche al bar. Mi ha scritto che io le davo l’idea di non essere snob.

Il problema le ho risposto io è casomai il contrario, ovvero che qui a Pontedera mi snobbano e non sono io che snobbo. Le ho scritto che dovrebbero essere tenute lezioni sul trauma e su come scriverlo in poesia, che difficilmente con la poesia avviene il superamento del trauma, che diversi poeti non lo fanno con dignità e allora la poesia non è più tale, diventa sfogatoio.

Ma poi pensavo tra me e me che il discorso andrebbe allargato dal trauma psicologico individuale a quelli collettivi. Già la questione è molto complessa a livello individuale. Poi sono ritornato a pensare alla mia solitudine. Il fatto è che qui a Pontedera con me non vogliono parlare. Io nei bar ci vado ma nessuno mi considera.

Se vado a Pisa, a Firenze, in altri posti d’Italia facilmente faccio amicizie. Qui invece è come se ci fosse la terra bruciata. È vero che come si suol dire siamo tutti sulla stessa barca, ma è anche vero comunque che ognuno ha il diritto sacrosanto di parlare e frequentare chi vuole. La mattina ogni tanto vado in un bar dove ci sono madre e figlia al banco. La figlia è sempre indaffarata al telefonino, forse guarda Tik Tok. La madre neanche lei parla con me. Sono entrambe gentili, cortesi, cordiali, ma non si va oltre i soliti convenevoli. Nemmeno due chiacchiere di circostanza, neanche due frasi fatte: buongiorno, ciao, buongiorno. Poi quel bar è un porto di mare; la gente va e viene. Io non insisto. Non voglio passare a tutti i costi per uno che vuole attaccare bottone. Il pomeriggio ogni tanto vado al bar sotto i loggiati vicino all’ospedale.

La ragazza al banco ogni tanto fa due chiacchiere; è gentile, simpatica, ma giusto uno scambio di battute. Ha i clienti da servire, ha mille cose da fare, a pranzo c’è sempre gente che mangia, è indaffarata; il bar è troppo frequentato. Poi ci conosciamo appena di vista. Ho provato altri bar, ma i locali sopracitati sono i migliori per cortesia a mio avviso. Oggi in un bar del centro ho chiesto un caffè. Ho mostrato il Green pass. Il barista mi ha detto che c’era un problema con gli aggiornamenti. Ho annuito.

Ha borbottato tra sé e sé che io non ne sapevo niente degli aggiornamenti dell’applicazione. Non sempre il prossimo è disposto a intrattenere una conversazione. A volte ho l’impressione che qui quasi tutti si conoscano tra loro e io sia tagliato fuori. Va detto che io non sempre richiedo la vita sociale.

Spesso me ne sto bene da solo, ma quando sento il bisogno di conversare con altre persone che non siano i miei familiari non trovo nessuno. Alcune volte si ha bisogno di dare fiato alle trombe, vuoi per comunicare, per esprimersi, per chiedere/avere qualcosa. De Gregori esprime la solitudine dell’uomo contemporaneo con questo verso in una sua canzone: “povero me che non ho nemmeno un amico qualunque per bere un caffè “. A ogni modo sopporto il peso della solitudine.

Tutto sommato sono egosintonico e non disfunzionale. Sto bene con me stesso. Sto bene psicologicamente. Va detto che io non sono un avventore abituale. Questione anche di fare economia a casa! Esistono dei clienti abituali che frequentano giornalmente questi bar. Ci sono lavoratori della zona che pranzano, consumano, fanno colazione giornalmente. Insomma si conoscono tra di loro. Io non ho mai fatto vita da bar. Da un lato io sono timido e non sono più abituato a interagire con le persone. Dall’altro lato qui a Pontedera le persone sono un poco chiuse come mentalità. Inoltre c’è da dire che io non ho una funzione sociale, non ho un ruolo definito. Non sono un infermiere, un commercialista, un commerciante, un operaio. Non sono niente. Sono solo uno che passa di lì ogni tanto e si ferma a prendere un caffè. Prendere il caffè al bar è una interazione sociale ridotta ai minimi termini, è quello che io chiamo un contatto sociale sporadico. Ma in fondo tutto forse si basa su un trucco. In fondo perché la maggioranza dei bar mettono delle ragazze o delle donne al banco? Per risvegliare l’istinto di acquisizione degli uomini. Gli uomini frequentano di più i locali con la barista “figa”.

Nel 2005 addirittura un quotidiano aveva indetto un concorso qui in provincia di Pisa per eleggere la barista più bella. Ragazzi e uomini portavano i tagliandi dove c’era scritto il nome della loro preferita ovviamente per captatio benevolentiae.

Da un lato quindi i bar come i negozi per assumere una ragazza richiedono come requisito indispensabile la bella presenza, mentre dall’altro le ragazze si devono dimostrare affabili e cortesi con il prossimo.

Conoscevo chi lavorava nei bar anni fa e c’è da dire che esiste come in tutti gli ambiti lavorativi anche in questo il compromesso/ricatto sessuale, ovvero la ragazza che per essere assunta nel locale deve essere carina col titolare. Ma veniamo al nocciolo della questione. Sorgono spontanee alcune domande.

La prima è se la chiacchiera impersonale (come parlare del tempo) sia buona per rompere la solitudine. Forse talvolta può essere un buon inizio. Detto in parole povere bisognerebbe sperare che la chiacchierata impersonale diventi discorso personale. Ma anche qui viene da chiedersi se sia giusto parlare dei propri problemi e scoprire le proprie carte al bar. I propri confidenti vanno scelti con cura; bisogna essere selettivi. Ai barbieri viene fatta scuola su come intrattenere conversazioni amabili con i clienti. A me per esempio dà particolarmente noia che un barbiere per risultare simpatico finisca per farmi il terzo grado (che lavoro fai? Dove abiti? Per che squadra tifi?). Un’altra questione è che la discussione non sempre diventa un momento di crescita interiore e culturale. Spesso alcuni intendono il confronto come una sfida, vogliono avere la meglio sull’interlocutore. Allora è meglio non avere un’interazione sociale se questa deve essere a tutti i costi negativa.

Il fatto è che come noi possiamo essere selettivi ed escludere anche gli altri possono fare altrettanto. Qualche volta siamo noi che escludiamo persone che vorrebbero avere a che fare con noi e a noi capita altrettanto. Insomma gli uomini parlano spesso a vuoto ma difficilmente del loro vuoto.

Di solito per parlare del loro vuoto si affidano a preti, analiste o prostitute, talvolta costrette a fare da assistenti sociali. Ma c’è anche chi cerca di fare conoscenze con la barista per finalizzare, per concludere, per portarsela a letto. Anche in questo ambito c’è il corteggiamento, il rituale amoroso.

Il cliente cerca di approcciare, di sedurre o quantomeno di tastare il terreno. Ma forse è tutto vano: oggi le donne sono sempre più intraprendenti, sono loro che comandano, sono loro che ci provano o quantomeno fanno capire di essere disponibili. Oggi sono le donne a dare delle possibilità. Se non viene dato uno spiraglio tanto vale non provarci: è tutto inutile, anzi dannoso perché si spreca tempo ed energia, ci si espone al pubblico ludibrio, ci si mostra troppo vulnerabili.

Finisce talvolta che la barista si conceda al cliente e allora spesso questo si confida agli amici e ai conoscenti: la barista diventa così molto chiacchierata per l’indiscrezione personale dell’amante. In fondo il titolare del bar di solito usa l’espediente della bella presenza femminile per aumentare il fatturato e alcuni clienti per soddisfare le loro voglie si sentono legittimati a provarci con le bariste. Ma i bar sono soprattutto vita sociale. Si fanno quattro chiacchiere, si intavolano discussioni, sono luoghi di ritrovo, sono i luoghi per antonomasia della convivialità, almeno qui in Toscana. Diciamocelo onestamente è per la socialità e non per la qualità del caffè che i più vanno al bar, invece di farselo con la macchinetta o con la moka.

Decidono cioè di spendere una trentina di euro al mese per socializzare un minimo. Prendere il caffè al bar diventa un appuntamento irrinunciabile, una prassi consolidata. Nei paesi ci sono circoli Arci in cui i pensionati prendono un caffè e stanno ore a giocare a carte. È anche questo, male che vada, un modo per ammazzare il tempo prima che venga la propria ora.

Davide Morelli

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