Principale Politica Emigrazione & Immigrazione L’accordo italo – tedesco del 20 dicembre 1955

L’accordo italo – tedesco del 20 dicembre 1955

Das Anwerbeabkommen

L’accordo italo – tedesco del 20 dicembre 1955 – 1
Italienische Gastarbeiter im Karlsruher Hauptbahnhof 1962. Fotos: Stadtarchiv Karlsruhe, Bildarchiv Schlesiger

Di Myriam Gigliotti

Per quanto la storia contemporanea consideri l’emigrazione italiana in Germania un fenomeno relativamente recente, già a partire dal Tre – Quattrocento è possibile trovare sul territorio tedesco mercanti toscani, milanesi e genovesi.

Gli spostamenti di una certa entità si registrano però solo successivamente al processo di unificazione dei due paesi, dopo il quale si individuano tre periodi principali dei movimenti migratori verso la Germania: il primo, a cavallo tra Ottocento e Novecento, dove a muoversi saranno prevalentemente italiani provenienti dal Settentrione orientale; il secondo, durante il periodo fascista, che coinvolgerà soprattutto italiani provenienti dalle regioni del Centro e del Nord Italia; ed infine il periodo successivo all’Accordo italo-tedesco del 1955 rivolto al reclutamento di manodopera italiana, che avrà come protagonisti soprattutto italiani provenienti dal Mezzogiorno e dalle isole. Al termine del secondo conflitto mondiale Italia e Germania impiegano circa sei anni prima che venga formalmente abolito lo stato di guerra tra i due paesi.

Soltanto all’indomani della costituzione della Repubblica federale tedesca, nel maggio del 1949, i rapporti tra i due Stati iniziano nuovamente ad intensificarsi e si traducono, a partire dal 1951, nella collaborazione all’interno della Comunità europea per lo scambio di carbone ed acciaio (Ceca). Si tratterà di un’opera di rilancio di questi due ambiti considerati determinanti per la ripresa economica europea1.

Nel 1953 Italia e Germania2 firmano diversi accordi e convenzioni3, che possono essere considerati la premessa all’accordo del 1955 oltre che l’inizio di una collabora- zione duratura tra i due paesi.
L’economia italiana è ancora prevalentemente basata sulla produzione agricola anche se inizia gradualmente a risollevarsi in campo industriale grazie allo sviluppo delle regioni settentrionali.

La Germania, dal canto suo, esce dalla guerra avendo subito incalcolabili perdite sia a livello umano che a livello materiale4.
Gli accordi economici con l’estero hanno l’obiettivo di reclutare principalmente forza lavoro da inserire nel proprio sistema economico e produttivo per facilitarne la ripresa.
Protagonisti di questi accordi saranno in primis l’Italia (1955), seguita dalla Spagna e dalla Grecia (1960), dalla Turchia (1961), dal Portogallo (1964), dalla Tunisia (1965) e dalla Jugoslavia (1968)5. Nel 1970 si può contare in Germania la presenza di ben 2 milioni di lavoratori stranieri, di cui circa un terzo rappresentato da donne, le c.d. “GastarbeiterInnen” o “lavoratrici ospiti”.

L’accordo tra Italia e Germania viene siglato dal Ministro degli Affari Esteri Gaetano Martino e dal Ministro dell’Economia tedesca Ludwig Erhard, il 20 dicembre del 1955 a Roma, segnando l’inizio dell’assunzione organizzata di lavoratori italiani nel- la Repubblica Federale tedesca, oltre che di un’immigrazione su vasta scala di manodopera6.
Esso prevede in particolare la possibilità di impiegare il surplus nazionale di manodopera in cerca di occupazione, affrontando in questo modo il gravoso problema della disoccupazione strutturale ormai fortemente radicata nel paese, in particolar modo nelle regioni meridionali.
Le esigenze a cui devono far fronte i due paesi si presentano pertanto complementari e l’accordo diviene così conveniente per entrambi.

L’accordo italo – tedesco del 20 dicembre 1955 – 1
Seduti ad un tavolo il ministro Martino, con altri personaggi politici, che firma l’accordo di emigrazione. Di fronte ai rap- presentanti del governo italiano ci sono i politici tedeschi che firmano. Campo medio – data: 22.12.1955

L’Accordo viene stipulato su tematiche di ordine economico-generale relative all’importazione e all’esportazione di merci e alla bilancia dei pagamenti tra i due paesi. Anche in quest’ occasione l’obiettivo italiano è quello di ottenere, come controparte della forza lavoro offerta, l’importazione di merci dalla Germania7.

A causa del periodo di stagnazione economica tedesca, oltre che del tempo necessario ai due paesi per definire aspetti di natura amministrativa e organizzativa delle attività di reclutamento dei lavoratori italiani, gli effetti dell’accordo divengono però visibili solo a distanza di qualche anno. L’arrivo della forza lavoro italiana sul suolo germanico sarà quindi inizialmente lenta e graduale8.
Da questo momento ha inizio il c.d. periodo dei “lavoratori ospiti” (o “Gastarbeiter”), come vengono da subito definiti in Germania per sottolineare la provvisorietà del loro soggiorno, che si protrarrà fino al 1973, anno della crisi economica mondiale e del blocco delle assunzioni (Anwerbestopp).

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Italienische Gastarbeiter im Karlsruher Hauptbahnhof 1962. Fotos: Stadtarchiv Karlsruhe, Bildarchiv Schlesiger

Il principio di base della “Ausländerpolitik” in Germania (la politica nei confronti degli stranieri) è infatti quello di non volersi considerare “paese d’immigrazione”.
In questi anni sono per la maggior parte giovani lavoratori di età maggiore di 18 anni, con spesso al massimo solo la licenza elementare.
Si tratta di un’emigrazione temporanea finalizzata ad un rapido accumulo di denaro da investire poi nell’acquisto di beni, terre, attività commerciali nei luoghi d’origine.

Le zone di provenienza degli emigrati sono in questi anni le regioni del Sud Italia, in particolar modo la Calabria (zona del cosentino e catanzarese), la Sicilia (zona agri- gentina), la Puglia (area salentina) e la Campania (area salernitana), che rappresenta- no ancora oggi ben l’80% della collettività italiana in Germania.
Diversi sono però anche gli italiani che emigrarono dalle grandi città del Centro e del Nord Italia (Roma, Firenze, Milano, Torino), pur rimanendo certamente le regioni meridionali quelle ad essere maggiormente coinvolte in questo importante movimento migratorio9.

Anche i settori di impiego pare si diversificano in base alla zona di provenienza e questo come riflesso della qualificazione professionale dei lavoratori. Il quadro che si presenta nel 1956 è quello riportato nella tabella seguente. Sono il settore agricolo e quello industriale, soprattutto quello edile, a richiamare, soprattutto in un momento iniziale, la maggiore quantità di manodopera italiana, anche se già verso la fine degli anni ’50 anche altri settori, quali quello tessile e metalmeccanico, assisteranno ad un sempre maggior numero di reclutamenti.

Provenienze e mestieri degli emigrati italiani assistiti diretti verso la Germania (1956)

(Fonte: BAK “Bericht über die Anwerbngstätigkeit der DKI im Jahre 1956“, Norimberga, 17 dicembre 1956):

Zona di provenienza Lavoratori agricoli Lavoratori dell’industria (compresa edilizia)
Italia settentrionale 15,5% 67,6%
Italia centrale 24% 17,1%
Italia meridionale 56,6% 11,3%
Isole 3,9% 4%

 
Per comprendere i motivi che hanno portato in Germania così tanti italiani è certamente necessario ricordare quelle che sono state le condizioni storiche e socioeconomiche di questo periodo. Come già evidenziato, le regioni del Sud Italia si presentano, nel secondo dopo guerra, come zone ricche di manodopera, ma povere di materie prime, con una forte arretratezza delle strutture economiche, che aveva indotto un aumento del tasso di disoccupazione nella maggior parte dei settori produttivi, spingendo gli uomini a cercare lavoro all’estero. Secondo i calcoli effettuati dagli uffici statistici, i disoccupati in Italia nel 1947 erano pari a 2 milioni e 400.000 unità.
Molti giovani decidono quindi di cercare la fortuna in Germania, altri ancora vengono attratti “dall’avventura” che credono li attenda oltre il confine.

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Durante i primi anni successivi all’accordo, la presenza di manodopera italiana inizia a registrarsi soprattutto nel settore dell’agricoltura e in quello dell’edilizia per la realizzazione di lavori pubblici. Solo verso la fine degli anni ’50, con il consistente aumento di domanda all’interno dei grandi poli industriali (Wolfsburg, sede della Volkswagen; Stoccarda, sede della Mercedes; Francoforte, sede dell’Opel; Colonia, sede della Ford, ma anche nei grandi centri urbani quali Monaco e Berlino), si assiste al repentino aumento della loro presenza.
Erano questi ambiti quelli nei quali era possibile impiegare forza lavoro con scarsa qualificazione professionale e che pertanto ben si prestavano all’occupazione dei “lavoratori ospiti” italiani, esonerando in tal modo buona parte dei colleghi tedeschi dai lavori pericolosi e faticosi della fabbrica.

La selezione dei “lavoratori ospiti” veniva effettuata da parte dell’Istituto federale per il reclutamento e per le assicurazioni per la disoccupazione” di Norimberga (Ufficio federale per il lavoro “Bundesanstalt für Arbeit”) che trasmetteva al Ministero del lavoro e della previdenza sociale le richieste dei datori di lavoro tedeschi, riportanti indicazioni quali la qualifica richiesta, l’orario di lavoro, il salario e l’eventuale offerta di un alloggio per il lavoratore ospite.
La prima selezione era lasciata alle autorità italiane che presentavano poi alle Commissioni tedesche la forza lavoro nella quantità e con le caratteristiche stabilite. Quest’ultima ha inizialmente sede a Milano per poi venire spostata a Verona a partire dal 1956.

La maggior parte di loro raggiungeva, come prima destinazione la stazione principale di Monaco dopo centinaia, migliaia di chilometri e diversi giorni di viaggio in treni malamente attrezzati. Chi non rimaneva a Monaco (la maggior parte di loro), doveva salire a bordo di un altro treno.
Nel 1961 transitarono alla stazione di Monaco ben 107.000 italiani.
Nei luoghi di destinazione i datori di lavoro andavano a prendere i lavoratori appena arrivati. Per ognuno di loro avevano pagato 50 marchi come costo per l’intermediazione10.

L’Accordo tra i due paesi prevedeva contratti di lavoro a tempo determinato, che non potevano avere una durata superiore ad un anno ed imponevano l’obbligo ai lavoratori stagionali, di rientrare in Italia una volta terminata l’attività lavorativa per la quale erano stati reclutati.

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Gruppe von Gastarbeitern in ihrer Unterkunft Manfred Vollmer Bundesrepublik Deutschland, 1972 Photographie Haus der Geschichte, Bonn

Inizialmente era previsto “un modello rotatorio delle assunzioni”, che imponeva ai primi immigrati, allo scadere del contratto di lavoro, di rientrare in Italia per venire quindi sostituiti da nuova forza lavoro.
In realtà tale rotazione di manodopera non corrispondeva né alle esigenze dei lavoratori, né a quelle delle stesse imprese, venendo così rapidamente sostituito da prolungamenti e proroghe dei permessi di soggiorno e dei contratti di lavoro dei primi immigrati.

L’obiettivo della temporaneità della permanenza in Germania dei “Gastarbeiter”, in questo periodo è palesemente quello di disincentivare lo stabilizzarsi dei lavoratori italiani sul territorio germanico ed evitare di conseguenza un incremento della comunità italiana attraverso possibili ricongiungimenti familiari.

Si tratta di un’emigrazione italiana che viene definita di tipo “fordista”, nella quale cioè prevale una concezione dell’immigrazione funzionalista, strettamente connessa ai fabbisogni congiunturali di manodopera. La paga media per i maschi era di 3,20 marchi all’ora e per le femmine di 2,49 marchi. Anche se poteva offrire una “valvola di sfogo” alla disoccupazione diffusa italiana, il reclutamento di manodopera da parte della Germania, deve essere quindi interpretato principalmente come un fenomeno rispondente agli interessi del sistema economico tedesco del secondo dopoguerra, che si riservava il diritto di rimpatriare i migranti nel momento in cui fosse venuta meno l’esigenza di disporre di loro11.

Anche in questo periodo, come già in passato, le sistemazioni abitative dei “lavoratori ospiti” sono sistemazioni spesso precarie: vengono alloggiati nei dormitori delle ditte presso le quali lavorano, in baracche di legno, in condizioni igieniche alcune volte disumane, l’arredamento è misero. La maggior parte dei lavoratori dorme in letti a castello. È solo a partire dal 1973 che viene infatti stabilito uno standard minimo per gli alloggi dei lavoratori12.

Viste le poche ore di tempo libero e le basse retribuzioni, ai lavoratori è difficile frequentare corsi di formazione o di lingua tedesca, rimanendo così in tanti casi analfabeti e con difficoltà di inserimento nel nuovo tessuto sociale. Diverse sono inoltre in questi anni, le esperienze di xenofobia che sono costretti a subire: gli italiani vengono concepiti dalla comunità tedesca unicamente come ospiti che a breve sarebbero rientrati nel proprio paese di appartenenza.

A tutela dei loro diritti, non avendo gli italiani in questo periodo il diritto al voto, un ruolo fondamentale lo rivestono i sindacati.
In campo religioso iniziano a venire celebrate le prime messe in lingua italiana (soprattutto nelle grandi città come Monaco), che rappresentano un’occasione per ritrovarsi con i propri connazionali al di fuori del faticoso orario di lavoro oltre che per ricevere notizie dal paese. Le telefonate dall’estero in questi anni sono spesso troppo care13, aspetto che certamente amplifica quel senso di solitudine e distacco dalla tanto amata terra d’origine.

Myriam Cigliotti

 

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

Il Corriere Nazionale

Note di riferimento:

  1. Cfr. Castronovo, V. “Emigrazione e rapporti economici tra Italia e Germania” in Il Veltro, Rivi- sta della Civiltà italiana, 1-2 Anno L – Gennaio-Aprile 2006;
  2. Da questo momento la “Germania” è da intendersi come Repubblica federale tedesca (Bundesrepublik Deutschland);
  3. Si tratta di accordi finalizzati allo scambio di apprendisti tra i due paesi con assicurazioni sociali e assicurazioni contro la disoccupazione;
  4. Cfr. Castronovo, V. “Emigrazione e rapporti economici tra Italia e Germania” in Il Veltro, Rivista della Civiltà italiana, 1-2 Anno L – Gennaio-Aprile 2006;
  5. Gli accordi stipulati rispettivamente nel 1963 con il Marocco e nel 1965 con la Tunisia furono numericamente poco rilevanti;
  6. Accordo fra Repubblica Italiana e la Repubblica Federale di Germania per il reclutamento ed il collocamento di manodopera italiana nella Repubblica Federale di Germania, concluso in Roma il 20 dicembre 1955 – Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 205 del 17 agosto 1956 (aggiornato suc- cessivamente nel 1962 e nel 1965);
  7. Cfr. Pugliese, E. “L’emigrazione italiana in Germania: mercato del lavoro e politiche migratorie” in“Andare, tornare, restare. Cinquant’anni di emigrazione italiana in Germania”, Cosmo Iannone Editore, Isernia 2006;
  8. Per l’anno 1956 era stato previsto il reclutamento di 13.000 lavoratori stagionali per il settore agricolo, 7.500 per il settore edile, 6.000 per quello industriale, 3.500 per il settore alberghiero – gastronomico e 1.000 senza specificazione. Di questi, nel corso dell’anno, partì solo un terzo per la Ger- mania (10.273 di cui più della metà braccianti agricoli);
  9. Nel 1956 circa 156.000 espatriati provengono dal Mezzogiorno (45,4% del totale), 43.000 dalle isole (12%), 40.000 circa dal centro (11,7%) e 100.000 (30,3%) dal nord Italia (dati estrapolati da Morandi E. , op.cit., 2011, p. 193);
  10. Cfr. Lutz-Temsch, B. “Gastarbeiter – eine Reise ins Ungewisse”, in Süddeutsche Zeitung, 8.12.2005;
  11. Cfr. Zanfrini, L., “Sociologia delle migrazioni”, Roma-Bari, Gius. Laterza & Figli Spa, 2007, p.120-121;
  12. Cfr. Fischer, M., “Gastarbeiter in Deutschland. 50 Jahre Anwerbeabkommen;
  13. Cfr. Frisch, M. “Wir riefen Arbeitskräften und es kamen Menschen”.

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