Il cerchio si chiude, e crediamo definitivamente, sulla parabola esistenziale e artistica di Nino Rota, il grande musicista del ‘900 italiano che visse qui da noi in Puglia tra Taranto, Torre a Mare e Bari. Tutto questo fervore documentario e quindi conoscitivo lo dobbiamo a Tino Sorino, un appassionato cultore di cose ‘nostrane’ di livello artistico, che ha pubblicato un bel librone di 436 pp. per la Nep edizioni. E’ questo un contributo documentato perché si fonda sui rapporti interpersonali che il maestro (“un milanese di Puglia”, così lo abbiamo chiamato in un nostro libro edito nel 2020) ebbe a consolidare con la Puglia in generale, senza per questo trascurare quelli più tardi intessuti con Matera e con l’erigendo Conservatorio statale ‘Duni.
E’ necessario mettere in fila alcune date che lumeggiano il rapporto sempre più personale, interpersonale e addirittura famigliare intercorso tra lui e la dott.ssa Prudenzina Giannelli, la farmacista comunale di Bari quando, dal 1939 al 1949, come bene e variamente documenta Sorino, Nino Rota arriva e si stabilisce prima a Taranto e poi a Bari-Torre a Mare, per poi diventare prima direttore del Liceo Musicale e quindi, a statizzazione avvenuta, del Conservatorio di musica intitolato al genius musicale barese Niccolò Piccinni. La madre Ernestina Rinaldi, così annota nel suo diario:
Nino attratto dai paesi del sole, concorse a mia insaputa alla cattedra di armonia all’Istituto Paisiello di Taranto. Fu nominato e, questa volta, lo vidi partire con più acuto dolore. Non era più la brillante parentesi americana, dalla quale artisti e amici si avvicendavano portandomi notizie. Taranto, confinava al fondo dello stivale, stava virtualmente più lontana dalle Americhe.
Fine dunque apparente della carriera di un giovane musicista reduce dall’esperienza musicale americana presso il prestigioso musicale ‘Curtis Institute’ di Philadelphia (USA) dove era stato compagno di studi di Barber, Menotti e Aaron Copland? E’ infatti solo sua la sorprendente decisione di andare a vivere nel borgo di pescatori alle porte della città adriatica, a Torre a Mare, al numero civico 40 di via Leopardi dove tuttora troneggia una targa-ricordo, laddove inizia il suo rapporto di forte e umana simpatia con la famiglia Giannelli.
All’indomani della conclusione della guerra e dopo aver composto per intero e non a caso, proprio a Torre a Mare, la musica dell’opera fortunatissima, Il Cappello di paglia di Firenze su libretto della madre, Rota porta avanti un progetto che lo vede assumere responsabilità gestionali che non rientravano nel novero delle corde di una personalità come la sua tanto restìa a coinvolgimenti pratici.
Dal 1949 al 1957 per suo diretto impulso egli dà vita a Bari ad una orchestra da camera (poi sinfonica) mediante una gestione pubblico-privato che governa l’attività musicale cittadina con concerti eseguiti dai propri aderenti che sono per lo più docenti dello stesso Conservatorio diretto da Rota o da solisti appositamente invitati. Ad esempio, per i programmi concertistici dal 1951 al 1955 Rota fa arrivare a Bari alcuni nomi di quello che costituirà il gotha della musica europea del ‘900: da Aldo Ciccolini, al Trio di Trieste, da Arturo Benedetti Michelangeli, ai violinisti Arthur Grumiaux, Henrich Szering e Remy Principoe, a Janigro, Uninsky, Maria Tipo, il Quintetto Chigiano, l’Orchestra da camera di Vienna con Carlo Zecchi, il Quartetto Vegh, Riccardo Odnoposoff, l’Orchestra della Scarlatti di Napoli diretta da Herbert Abert, e poi ancora Tito Aprea, Dino Asciolla e Pierre Fournier.
E non è pertanto affatto un caso che quelli sono gli anni in cui il Maestro non trascura mai di recarsi nella cittadina alle porte di Bari per motivi affettivi (come dimostra l’ampia documentazione di Sorino) per quella che noi scherzosamente chiamiamo la ditta Prudenzina & Company. Dunque Torre a Mare e la sensibile amica/farmacista fungono da filtro protettivo, sicchè quel borgo non può essere considerato solo e semplicemente il suo buen retiro in quanto in esso sono compresi gli anni della crescente fama di Rota come compositore-principe di colonne sonore ad uso 7 di registi i cui film restano fondamentali nella storia della cinematografia internazionale.
Sono infatti gli anni in cui Rota compone le colonne sonore di Napoli milionaria e Filumena Marturano di Eduardo de Filippo, Lo Sceicco Bianco, La Strada, I Vitelloni, Il Bidone, Le notti di Cabiria di Fellini, passando da Le notti bianche di Visconti sino a La grande guerra di Monicelli, Guerra e Pace di King Vidor, Giulietta e Romeo di Zeffirelli, II Padrino parte I e II di Coppola. Tutta musica dunque pensata e composta tra la città adriatica del suo borgo marinaro e Roma/Cinecittà ma in cui alcune influenze della tradizione musicale popolare pugliese sono facilmente riconoscibili (la banda da giro, ad esempio). La farmacista dott. Prudenzina Giannelli sicuramente ascoltò tutto in prima assoluta, in diretta, perché suonata al pianoforte da Rota in persona per lei e lei sola, giudice supremo.
Il bel libro-documento di Tino Sorino fotografa anche il prezioso e personale archivio documentale di Prudenzina fatto da cartoline, appunti e messaggi che l’amico Rota volle mantenere sempre con la mitica dottoressa titolare della Farmacia Comunale barese sita in via Roberto da Bari dove ella si recava puntualmente, ogni giorno, e giorno dopo giorno, partendo da Torre a Mare. Ad esempio apprendiamo che questo fior fior di compositore, pur trascinato nel vortice romano della musica per film, non arrossisce affatto quando scrive a lei: <<sto lavorando per la pagnotta>> con espressione tipicamente barese.
Altri e molti altri sono dunque i temi e le notizie che Sorino ci offre in questo originale libro scritto attraverso e grazie a quella specie di fondo di un Rota-familiare che Sorino ha raccolto dall’archivio Giannelli, poi transitato in ultimo nelle mani di Vilia nipote di Prudenzina (costei è scomparsa nel 2008, a 102 anni!). Ne vien fuori una biografia intima, fatta di piccoli gesti e di piccole cose ma non per questo meno preziosa proprio in quanto rivelatrice dell’animo di un musicista a tutto tondo. Il quale, noi ci sentiamo di dire, resterà per sempre come un artista dell’età dell’innocenza.
prof. Pierfranco Moliterni