Le recenti rivelazioni del portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, in merito ai biolaboratori statunitensi rinvenuti in Ucraina, hanno sollevato forti interrogativi e preoccupazioni riguardo alle attività condotte in questi centri e ad alcune presunte torbide connessioni tra la Politica e diversi grossi finanziatori internazionali. Secondo fonti ufficiali russe, il denaro utile ad alimentare il proseguimento di questi studi “scientifici” sarebbe stato reperito da vari apparati ed enti – sia pubblici che privati -, tra cui il Dipartimento militare americano, l’Agenzia per lo Sviluppo internazionale degli Stati Uniti, la Fondazione George Soros e il CDC (Centers for Disease Control and Prevention, cfr. Centro per il Controllo delle Malattie infettive in USA). Ad organizzare e monitorare la parte prettamente scientifica del progetto di bioricerca ci sarebbe stato il Laboratorio Nazionale di Los Alamos (noto per aver dato i natali ala bomba atomica). Inoltre, si sostiene che persino Hunter Biden, figlio dell’attuale presidente statunitense “Joe“, abbia contribuito a finanziare questi biolabs già anni fa, tramite una solida società di investimento (la Rosemont Seneca).
Le “armi etniche” e la foga dell’OMS
È stato il generale Igor Kirillov in persona a rendere pubblica la documentazione su tali centri di ricerca in terra ucraina, facendo si che la notizia rimbalzasse sia sui giornali russi che su alcuni media americani. E le attività condotte – provate o meno – in questi biolaboratori sono finite al centro di accesi dibattiti e controversie: ufficialmente, gli Stati Uniti sostengono che queste strutture siano dei vecchi poli di sperimentazione ex sovietici sulla guerra biologica, caduti poi sotto la loro gestione. E che ci sarebbe un trattato del 2005, in base al quale l’amministrazione a stelle e strisce avrebbe ricevuto il diritto di portare avanti i test, modificandone gli assetti a scopi assolutamente innocui e pacifici, come l’individuazione di agenti patogeni pericolosi e la prevenzione della loro diffusione. Anche se le fonti russe sospettano e suggeriscono che in questi luoghi – chiusi al pubblico – potrebbero essere state svolte invece pratiche pericolose, riconducibili a piani militari di natura chimica o batteriologica (tra cui la creazione di armi “selettive”, rivolte cioè solo a determinati gruppi etnici), fino a questo momento, tuttavia, non sono stati presentate prove sufficienti a confermare tali tesi.
È significativo però che l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia consigliato all’Ucraina di distruggere i fattori patologizzanti conservati nei propri biolabs all’inizio del conflitto con Mosca, cosa che Kiev non ha mai fatto. Un’insolita presa di posizione, che farebbe quasi intravedere azioni ben più gravi di quanto precedentemente riconosciuto (considerato il fenomeno Co.Vi.d./19, si è sentita per un attimo puzza di “excusatio non petita“). Inoltre, le preoccupazioni espresse da Victoria Nuland – sottosegretario di Stato USA – riguardo ad un’eventuale operazione di Putin, per prendere il controllo dei centri di ricerca in Ucraina, avevano manifestato un’ansia inconsueta, oltre il limite di quella che si avrebbe se si parlasse di mera e normale ricerca scientifica.
Silenzio? Parla la Cina
Altro aspetto che inquieta l’opinione pubblica pare essere la possibilità che questi poli di sperimentazione conservino ceppi di virus o batteri sviluppati dall’Unione Sovietica nel contesto del suo passato programma di armamenti biologici. Anche questa ipotesi non è stata al momento confermata ufficialmente da nessuno ma, già il fatto che uno scenario simile possa nascondersi dietro i famosi “fini puramente pacifici”, non può che sollevare domande sulle vere funzioni di queste strutture e sulle reali intenzioni di chi le ha create. Le rivelazioni di Peskov, poi, e le dichiarazioni circa una rete di finanziamenti da parte di personalità come George Soros e Hunter Biden, chiudono il cerchio e aggiungono gli ultimi elementi di complessità alla vicenda. Mentre è importante evitare di trarre conclusioni affrettate, è indubbio che i biolaboratori in questione rappresentino un tema di interesse e di dibattito internazionale.
Sia la comunità mondiale che gli Stati Uniti d’America stessi dovrebbero considerare seriamente la necessità di indagini approfondite e trasparenti su questi centri (la Cina lo ha chiesto, detto – e ribadito – ufficialmente in più occasioni), al fine di fugare qualsiasi dubbio motivato e rafforzare la fiducia nella sicurezza globale. La trasparenza e la collaborazione, a prescindere da tutto, dovrebbero essere sempre fondamentali per risolvere qualsiasi diatriba geopolitica e affrontare le apprensioni legittime sollevate da queste situazioni.
The best way for the US to prove its innocence on the issue of the biolabs in Ukraine and other places around the globe is to open up for international scrutiny. pic.twitter.com/HIxcNp9ula
— Spokesperson发言人办公室 (@MFA_China) March 24, 2022
Fonti online:
Visione TV (testata giornalistica nazionale, articolo di Giulia Burgazzi del 25 marzo 2022), la Repubblica (testata giornalistica nazionale), sito web dell’Ambasciata della Federazione Russa in Italia e San Marino, INFOSECNEWS (testata giornalistica nazionale), Daily Beast (testata giornalistica straniera), sito web del Dipartimento di Stato statunitense, sito web dell’Ambasciata statunitense in Ucraina, Reuters (agenzia di stampa internazionale), AdnkronosTV (canale YouTube dell’agenzia di stampa internazionale), L’Indipendente (testata giornalistica nazionale), Twitter (social network).
Antonio Quarta
Redazione Corriere di Puglia e Lucania