Taipei sta cercando di proteggere la propria leadership tecnologica dai tentativi di infiltrazione di Pechino. Il tutto sullo sfondo della risalente tensione geopolitica tra i due paesi.
AGI – Nel contesto globale del cosiddetto “chip crunch”, la carenza di semiconduttori a livello mondiale che ha colpito diversi settori industriali dall’automotive alle comunicazioni, Taiwan sta cercando di proteggere la propria leadership tecnologica, proprio nell’ambito dei chip, dai tentativi di infiltrazione della Cina continentale. Il tutto sullo sfondo della risalente tensione geopolitica tra i due paesi, dovuta alle pretese del regime di Pechino sullo stato insulare a largo delle sue coste (il 12 aprile l’esercito taiwanese ha pubblicato per la prima volta un manuale sulla protezione civile, fornendo ai cittadini indicazioni sulla sopravvivenza in uno scenario di guerra con la Cina).
Taiwan è tra i maggiori produttori di chip al mondo e da sempre ha fatto della sua leadership tecnologica un asset strategico non solo a livello economico ma anche politico, puntando sull’innovazione per difendere la propria indipendenza. Ora proprio il settore dei semiconduttori, in forte espansione dato il surplus di domanda, potrebbe diventare il suo tallone d’Achille e la via per Pechino per minare dall’interno la nazione taiwanese.
Taipei si arma contro lo spionaggio
A fronte di questo pericolo, già a febbraio, il governo Taiwanese ha formulato severe proposte di riforma normativa contro lo spionaggio economico, prevedendo una punizione fino a 12 anni di carcere per coloro che contribuiscono all’ottenimento di tecnologie nazionali fondamentali da parte di “forze nemiche straniere”.
All’inizio del mese, poi, le autorità taiwanesi, secondo quanto riportato dalla “Reuters”, hanno avviato indagini su circa 100 aziende cinesi sospettate di aver cercato di sottrarre all’isola ingegneri del settore dei chip e informazioni rilevanti, in violazione delle norme nazionali a protezione dell’industria dei semiconduttori.
Un caso sotto inchiesta riguarda un’azienda che pretende di essere una società di analisi dati taiwanese ma che le autorità ritengono sia un braccio di un’azienda di chip con sede a Shanghai, utile a inviare informazioni tecnologiche sui chip in Cina, secondo le fonti “Reuters”. Un’altra azienda, la Starblaze Technology, una società di progettazione di circuiti integrati (IC), con sede a Pechino, è stata accusata di gestire un centro di ricerca e sviluppo nell’hub tecnologico di Hsinchu, Taiwan, senza approvazione. Lucy Chen, vicepresidente di Isaiah Research, con sede a Taipei, afferma che l’anno scorso le aziende cinesi di chip sono arrivate a corteggiare gli esperti taiwanesi con offerte di stipendio da due a tre volte i livelli locali.
Tra i dipendenti più ricercati ci sono i progettisti di circuiti integrati, che possono lavorare da remoto. Le recenti inchieste rientrano nella scia di altri casi similari precedenti e della ampia campagna di rafforzamento della propria sicurezza industriale da parte di Taiwan che aveva portato, oltre alle nuove proposte normative di febbraio, alla creazione nel dicembre del 2020 di una task force all’interno dell’Ufficio investigativo del ministero della giustizia per combattere il reclutamento illegale di esperti.
Più di recente, all’inizio di questa settimana, Il premier taiwanese Su Tseng-chang è tornato sul punto dichiarando a una riunione del gabinetto che la “catena di approvvigionamento rossa” – un riferimento ai colori del Partito Comunista cinese – sta usando vari metodi per “infiltrarsi” a Taiwan e rubare la sua tecnologia, e che per questo motivo ha chiesto al ministero della Giustizia di collaborare con il Parlamento affinchè le norme proposte a febbraio vengano approvate il più celermente possibile. Dichiarazioni che hanno suscitato l’indignata reazione di Pechino, che ha accusato Taiwan di diffamazione, di tentativi deliberati di intimidazioni delle società cinesi e di intensificare la tensione tra i due paesi.
“Recentemente, hanno deliberatamente cercato di diffamare e intimidire le società della terraferma a Taiwan, intensificando ulteriormente lo scontro attraverso lo Stretto e provocando problemi”, ha detto il portavoce dell’Ufficio cinese per gli affari di Taiwan Ma Xiaoguang in una conferenza stampa. “Tale manipolazione politica non può ostacolare la tendenza generale degli scambi e della cooperazione tra i compatrioti su entrambi i lati dello stretto e danneggerà solo gli interessi vitali della comunità imprenditoriale di Taiwan e dei compatrioti dell’isola”.
Intanto, proprio oggi il colosso dei chip TSMC di Taiwan ha previsto un aumento fino al 37 per cento nelle vendite del trimestre in corso, l’ennesima conferma della necessità globale di semiconduttori. Un “mega trend” a lungo termine, per come definito dal CEO di TSMC CC Wei. Un eventuale escalation, foss’anche solo normativa ed economica, tra i due paesi, sullo sfondo del perdurante conflitto in Ucraina, oltre a portare a rischi di incidenti militari, sarebbe un colpo notevole alle già precarie condizioni delle catene di fornitura mondiali, esponendo diversi settori, quello dell’auto in particolare, a gravi ripercussioni nel cruciale momento della transizione ecologica.