Non esiste nessuna festa che sia osservata con altrettanta cura in due religioni diverse, anche se vicine. Dietro infatti si nasconde l’antico e inestinguibile rapporto tra fratelli maggiori e minori.
AGI – I rituali sono diversi, certo, ma la festa cristiana è profondamente radicata negli elementi della Pesach ebraica.
Non esiste nessuna festa che sia osservata con altrettanta cura in due religioni diverse, anche se vicine.
E qui, in un difficile quanto affascinante equilibrio tra somiglianza e diversità, si gioca qualcosa che va molto oltre il gioco delle similitudini. Dietro infatti si nasconde l’antico e inestinguibile rapporto tra fratelli maggiori e minori.
I festeggiamenti della Pasqua, ricorda Terrasanta.org, sono iniziati per gli ebrei il 27 marzo.
La sera del 14 nisan (il mese del calendario ebraico che va da metà marzo a metà aprile circa), le famiglie si sono radunate attorno a grandi tavole per il Seder pasquale, una cena di 14 fasi, con un rituale altamente codificato ma vivace, in cui si commemora l’esodo dall’Egitto.
Siamo a priori molto lontani dal simbolismo della Pasqua cristiana, che celebra la morte e la risurrezione di Gesù Cristo.
Eppure “la festa della Pasqua è radicata negli elementi di Pesach. Possiamo capire la festa cristiana solo se comprendiamo tutto ciò che è in gioco con la Pasqua ebraica”, spiega fra Louis-Marie, superiore dell’abbazia di Abu Gosh, a pochi chilometri da Gerusalemme.
Quando le si osserva più da vicino, si notano molti elementi che uniscono queste due feste.
I racconti evangelici collocano la morte e la risurrezione di Gesù in un contesto pasquale. Ci sono due cronologie contrapposte, ma quella che regge storicamente (quella del vangelo di Giovanni) colloca la condanna di Gesù alla vigilia del Seder di Pesach.
A quel tempo, questo giorno corrispondeva a quello del sacrificio degli agnelli il cui sangue veniva poi apposto sulle porte delle case, in ricordo del gesto che protesse i primogeniti ebrei dalla morte quando l’ultima delle dieci piaghe si abbatté sull’Egitto.
“Così i Vangeli dicono che Gesù visse il Seder pasquale. È molto importante capire l’Eucaristia”, spiega fra Louis-Marie.
La Pasqua ebraica, attraverso il suo rito commemorativo in 14 momenti attorno a un tavolo dove si ritrovano vari elementi con una precisa simbologia, attualizza l’uscita dall’Egitto. È più di un ricordo.
In ebraico Pesach significa «passaggio», in riferimento al fatto che l’angelo della morte passò sulle case dei figli di Israele, risparmiando il loro primogenito, ma anche in riferimento al passaggio dalla schiavitù alla libertà.
Si ritrova questo simbolismo nella festa cristiana. “La risurrezione è il passaggio dalla morte alla vita – osserva sempre a Terrasanta.org Sylvaine Lacout, direttrice del Centro cristiano per gli Studi ebraici di Parigi –. Il suo aspetto è duplice: con la sua morte Gesù Cristo ci libera dal peccato e con la sua risurrezione ci apre a una nuova vita, così come il popolo di Israele ha iniziato una nuova vita fuggendo dall’Egitto”.
Il rito dei cristiani ortodossi rappresenta bene in modo concreto questo passaggio del giorno di Pasqua con la suggestiva cerimonia del Fuoco santo alla basilica del Santo Sepolcro, che incarna il passaggio dalle tenebre alla luce.
Il rito si svolge nella stessa identica maniera da almeno sei secoli. Di mattina la stanza dell’Edicola che contiene la tomba vuota di Cristo viene ispezionata e sigillata con una mistura di miele e cera. I giovani locali dal quartiere cristiano entrano in chiesa in processione, mentre armeni, copti e siriaci chiamano il patriarca greco-ortodosso, senza il quale – dicono – non può avvenire il miracolo.
A mezzogiorno il patriarca entra in chiesa tra i canti tradizionali e, in processione solenne, gira per tre volte intorno alla Tomba.
Nel frattempo, il sacrestano porta nella Tomba la lampada che contiene un fuoco perenne, che viene spenta solo una volta l’anno, la mattina di questo sabato speciale, per permettere che venga accesa dal Fuoco Santo.
Al termine del terzo giro, il patriarca greco-ortodosso entra da solo nell’Edicola, portando due fasci di 33 candele, seguito dal patriarca armeno che resterà nell’anticamera (la cappella dell’Angelo) e sarà il solo testimone.
Lì, inginocchiato, l’ecclesiastico greco recita una speciale preghiera per la venuta del Fuoco. In quel momento una luce scende nella Tomba e accende la lampada.
Il patriarca esce per distribuire il Fuoco Santo, che passa di mano in mano per raggiungere i fedeli accalcati nella basilica e, conservato nelle lampade portate dai pellegrini, anche quelli di altri Paesi lontani.
Il Fuoco Santo, secondo la tradizione, non scotta durante i primi minuti e, tra lacrime, canti e gioia, i fedeli passano le mani e il volto tra le fiamme.