Tra bandi incrociati e applicazioni di area, l’invasione ha acuito il rischio di una frammentazione digitale. Dal caso di TikTok in Russia alla fine del (world wide) web.
AGI – Il web ha sempre vissuto dopo quella che Francis Fukuyama ha definito “La fine della storia”: un periodo in cui, dai primi anni ’90 in poi, le democrazie liberali sarebbero diventate lo stadio ultimo dell’evoluzione sociale. Con la guerra in Ucraina, la storia (ammesso che sia mai finita) è tornata in un mondo digitale: i carri armati che avanzano verso Occidente hanno fatto emergere le crepe che dividono non solo il pianeta ma anche Internet.
Tra blocchi incrociati e piattaforme di area, il world wide web non è mai stato così poco world wide. Quello che sta succedendo in Russia (e non solo) potrebbe accelerare e rendere più profonda la cosiddetta “splinternet”, cioè la frammentazione della Rete.
Così TikTok ha favorito la propaganda russa
La Russia ha definito Facebook e Instagram “organizzazioni terroristiche”. Anche Twitter è bloccato. L’unico, tra i grandi social, a essere raggiungibile è TikTok. Per limitare la proliferazione di propaganda e bufale, il 6 marzo l’app ha annunciato una stretta: divieto di pubblicazione per gli account russi e oscuramento dei post internazionali. Silenzio assoluto pur di continuare a operare in Russia senza incappare nelle maglie del Cremlino.
Secondo i ricercatori di Tracking Exposed, però, il bando è stato “opaco e inconsistente”. Fino al 26 marzo è stato possibile aggirarlo, ad esempio con l’utilizzo di Vpn. Tra il 23 e 25 marzo i vincoli sono stati addirittura rimossi, senza alcuna comunicazione: per circa 48 ore, la pubblicazione da desktop è stata libera. In sostanza: il muro di TikTok ha avuto per circa venti giorni enormi falle. Risultato: prima del bando c’era equilibrio tra i contenuti pro e quelli contro la guerra. Dopo il bando, il 93,5% dei contenuti era favorevole e solo il 6,5% contrario.
A cosa è dovuto questo squilibrio? Secondo Tracking Exposed, la legge introdotta il 4 marzo per ammutolire il dissenso potrebbe aver spinto i critici ad auto-censurarsi. Ma, soprattutto, la propaganda di Mosca, più organizzata e meno granulare, sarebbe stata capace di individuare, diffondere e sfruttare le falle di TikTok. I ricercatori ipotizzano che si sia trattato di un problema tecnico e non di una breccia voluta per favorire Mosca. Ma tant’è.
Dal 26 marzo, il bando sembra funzionare in modo efficace. Non ci sono nuovi contenuti, ma i problemi restano: i video caricati sfruttando le crepe continuano a circolare. TikTok in Russia è quindi diventata una sorta di bolla isolata dal mondo, con una larga prevalenza di post favorevoli all’invasione dell’Ucraina. “Poiché i contenuti recenti messi a disposizione sono pochi e quelli internazionali assenti – afferma Tracking Exposed – possiamo dedurre che questi post hanno un ruolo particolarmente importante nel plasmare la percezione della guerra tra gli utenti russi”. E così, aggiunge la ricercatrice Giulia Giorgi, “in un solo mese, TikTok è passato dall’essere considerato una seria minaccia per il sostegno interno a diventare un altro possibile canale di propaganda di Stato”.
Dalla balcanizzazione alla fine della Rete
Quello che sta succedendo a TikTok in Russia apre a una discussione più ampia. Insieme al ritorno della storia, sta arrivando la frammentazione di Internet? Come dimostra il Great Firewall cinese, non è una questione nuova. Solo per fare alcuni esempi: Google è stato bloccato in Cina nel 2010.
La società, qualche anno dopo, ha esplorato – senza successo – la possibilità di tornarci con Dragonfly, un motore di ricerca che assecondasse la censura. Sempre in Cina, non sono ufficialmente accessibili Facebook, Instagram e Whatsapp, mentre esiste una costellazione di piattaforme (da WeChat a Baidu) con una penetrazione ridotta oltre i propri confini. Se in tutto l’occidente Facebook è il social più diffuso, nei Paesi che facevano parte dell’Unione Sovietica prevale VK.
Per evitare chiusure (come quella minacciata dall’allora presidente Usa Trump), la capogruppo ByteDance ha distinto in modo sempre più netto l’app occidentale (TikTok) da quella cinese (Douyin). Stesso social, regole e restrizioni diverse a seconda del territorio in cui opera. La questione russa, però, secondo Tracking Exposed rappresenta un salto di qualità: “La polarizzazione geopolitica legata alla guerra provoca una maggiore balcanizzazione dei social media”, con sempre più frequenti versioni di app e prodotti pensati per aree specifiche.
Secondo Salvatore Romano, capo della ricerca per Tracking Exposed, “le azioni di TikTok in Russia ci portano in un territorio inesplorato per Internet, dove la tua nazionalità ti impedisce di vedere contenuti a cui il resto del mondo può accedere liberamente”. Ecco perché servono un dibattito e leggi internazionali che impediscano “restrizioni sui contenuti basate sulla nazionalità”.
Il Mit Technology Review si è spinto a disegnare uno scenario ancora più estremo, nel quale a frammentarsi non sono le piattaforma ma Internet. Fino a ora, infatti, ci sono state diverse versioni di app e regole differenti sulla gestione dei dati (come nel caso del Gdpr). Tutti però, dalla Russia agli Stati Uniti, hanno utilizzato la stessa tecnologia. Cosa succederebbe, si chiede il giornalista James Ball, se invece di un’unica Internet globale ci fosse un certo numero di reti nazionali o regionali, che non si parlano tra loro, operano utilizzando tecnologie incompatibili e sono governate da organi differenti? “L’era di un mondo connesso sarebbe finita”.