Principale Attualità & Cronaca Violenza Violenza sulle donne: femminicidi aumentati dell’8% nel 2021

Violenza sulle donne: femminicidi aumentati dell’8% nel 2021

Violenza sulle donne: femminicidi aumentati dell’8% nel 2021
di Rita Lazzaro
Il nostro paese anche quest’anno, come già nel 2020, registra un aumento di femminicidi. In Italia sono ancora tante, troppe, le donne uccise da uomini. Per l’esattezza 114 (al 19 dicembre 2021), una ogni tre giorni. Del totale delle vittime, 98 sono state uccise in ambito familiare-affettivo, 66 hanno trovato la morte per mano del partner o dell’ex.
Due Femminicidi in poche ore in Lombardia: Fabiola Colnaghi e Romina Vento uccise dal figlio e dal marito. In Italia una vittima ogni 3 giorni
Secondo l’Osservatorio sostegno alle vittime: “Il 92% delle donne uccise lo sono per mano di una persona conosciuta”
Oltre il 92% viene uccisa da una persona conosciuta. Per oltre la metà dei casi gli omicidi sono compiuti dal partner attuale e, nel 25% dei casi, da un familiare (inclusi i figli e i genitori)”, spiega Elisabetta Aldrovandi, presidente dell’Osservatorio nazionale sostegno vittime.
Secondo i dati Istat, nel 2021, ogni giorno in Italia 89 donne sono state vittime di violenza. Secondo l’ultimo report della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, nel 36% dei casi, l’autore del femminicidio è stato il marito o il convivente.
Dall’inizio dell’anno fino al 6 marzo 2022 in Italia sono stati registrati 46 omicidi, 13 vittime erano donne. Di queste ,12 sono state uccise in ambito familiare o affettivo, e otto di loro hanno trovato la morte per mano del partner o ex partner.
Secondo i dati Istat il 24,7% delle donne ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner: il 13,2% da estranei e il 13% da persone conosciute. In particolare, il 6,3% da conoscenti, il 3% da amici, il 2,6% da parenti e il 2,5% da colleghi di lavoro.
Mentre la violenza psicologica è più diffusa tra le donne più giovani (35% per le 16-24enni rispetto ad una media del 26,5%) e tra le donne con titoli medio alti (29,9% per le diplomate e 27,1% per le laureate o con titolo di studio post-laurea).
A proposito di violenza anche il danno all’immagine, ossia “quello che lede la reputazione e l’identità personale di un individuo, ovverosia l’insieme degli attributi che identificano un determinato soggetto nel contesto sociale o professionale di riferimento”, è una forma di violenza.
Una violenza di cui è stata vittima la preside del liceo Montale, la quale dopo settimane di gogna mediatica con tanto di nome, cognome e foto esposta.
Trattamento questo, che non toccò lontanamente il ragazzo di 19 anni e quindi maggiorenne, coinvolto nella presunta storia con la preside, la quale ha sempre negato ogni accusa. “E’ la fine di un’angoscia mai provata – ha commentato -. Sono stata processata senza appello da un tribunale mediatico senza morale né scrupoli. In questo momento auspico che la mia vicenda sia di esempio per tutte le persone che si possano trovare nella mia stessa situazione. L’unico consiglio che sento di dare è quello di denunciare con coraggio e di non cedere mai davanti alla diffamazione, alla prepotenza e alla crudeltà. Con la stessa determinazione chiederò conto di accertare tutte le responsabilità civili e penali del mio caso”.
Di questa forma di violenza e di tanto altro, ne abbiamo parlato con l’avvocato Monica Nassisi nella seguente intervista.
1)Questa forma di violenza subita dalla dirigente scolastica, in quale forma di violenza la si può far rientrare? Fisica, psicologica o è una forma i violenza a se stante, proprio come lo è la sua definizione? Di tutta questa vicenda, qual è il suo punto di vista sotto l’aspetto non solo giuridico ma anche umano, sociale e soprattutto culturale? Cosa si deve cambiare? Cosa non è stato ancora fatto ma si sarebbe dovuto fare e da sempre? Cosa invece, si deve migliorare?
“Il caso della Preside Sabrina Quaresima è emblematico di una società e di un mondo dell’informazione in cui non si ha alcuna remora a distruggere la vita altrui, in particolare di una donna, addirittura sulla base di pettegolezzi ed in assenza di riscontri oggettivi. Per quanto ho appreso dalla stampa, le presunte condotte della Preside non configuravano alcuna ipotesi di reato. L’ispezione ministeriale, con un colloquio durato oltre dieci ore, si è concluso con il riconoscimento della correttezza del comportamento della Dirigente.
Mi chiedo come sia stato possibile dare così ampio spazio ad una “non notizia”, con un processo mediatico, nel quale l’accusata, in realtà, è diventata la vera vittima. Da un punto di vista tecnico giuridico, per quanto è emerso, non conoscendo la documentazione del caso, la Preside Sabrina Quaresima ha subito condotte gravemente diffamatorie e violazioni della privacy, con evidenti ripercussioni a livello psicologico.
Sicuramente una persona, soprattutto innocente, che si veda sbattuta sulle pagine dei giornali, non può non sentirsi vittima di violenza. Le armi che si hanno a disposizione sono decisamente impari.
Quasi mai persino il riconoscimento della totale estraneità ai fatti riesce a riparare il danno di una falsa accusa.
2) Una domanda sorge spontanea: se il ruolo di Dirigente Scolastico fosse stato ricoperto da un uomo, il clamore sarebbe stato lo stesso?
“Io credo che sarebbe andata diversamente e che la pseudo notizia non sarebbe neanche stata presa in considerazione.
In una società in cui i casi di violenza di genere, a causa della loro quotidianità, non fanno più notizia, se non quando si arriva ad esiti mortali, parlare di una donna “al comando”. che si sarebbe interessata ad un ragazzo più giovane, pur in assenza di qualsiasi ipotesi di reato, è apparsa una notizia ghiotta, capace di attrarre l’attenzione dei lettori.
In ogni caso, come accade anche per i processi in cui le donne sono vittime di reati sessuali, sul banco degli imputati, a livello morale, troviamo quasi sempre le donne, colpevoli di aver causato, in un modo o nell’altro, il comportamento del “maschio”.”
Il mese di aprile è stato, purtroppo, un mese ricco di date in cui si sono verificate vicende aberranti, che hanno visto ancora vittima l’universo in rosa, come l’omicidio di Carol Maltesi, la donna uccisa a Rescaldina dal vicino di casa, il bancario e food blogger Davide Fontana. L’uomo, che con lei aveva avuto una breve relazione e girato alcuni film per adulti sulla piattaforma Onlyfans, la massacrò con un martello, la sgozzò, per poi farla a pezzi, congelarla per due mesi e infine buttando i resti in una scarpata a Borno, nel bresciano. Per tutto quel tempo si fece passare per Carol su Whatsapp, rispondendo ai tanti messaggi di amici, parenti e conoscenti.
A questo orrore si è altresì aggiunta una becera e squallida ironia, come quella di Pietro Diomede con la sua battuta choc su Carol Maltesi e per di più, senza alcun pentimento da parte del “comico” .
“Che il cadavere di una pornostar fatto a pezzi venga riconosciuto dai tatuaggi e non dal diametro del culo non gioca a favore della fama della vittima”.
” Battuta” oscena riferita a Carol Maltesi e lanciata su Twitter
Una vergogna alla quale se ne aggiunge un’altra, precisamente per lo stato sedicente di diritto, ossia la colletta social “Aiutiamo il figlio di Carol Maltesi”, in cui sono già stati raccolti 4 mila 400 euro.
“Quando i riflettori dei media si spengono le vittime collaterali rimangono al buio. In particolare il figlio di Carol, rimasto prematuramente senza la figura materna, oggi ha bisogno di tutti noi e a lui è indirizzata questa raccolta fondi, per il suo futuro, per la sua vita”.
Così hanno scritto i promotori sulla piattaforma Gofundme, dove in cinque giorni sulla pagina “Aiutiamo il figlio di Carol Maltesi” è già stata superata la cifra di 4400 euro.
Oltre al rapper, fra gli organizzatori della colletta ci sono Juan Caravella e Ginevra (in arte Babybunny2k), due colleghi di Carol Maltesi che hanno dato notizia della raccolta fondi anche tramite i rispettivi profili social: “Speriamo che in qualche modo questo possa aiutare quel bambino”.
Un’altra iniziativa benefica, dopo quella lanciata tramite i social dal padre della giovane, Fabio Maltesi, il quale aveva chiesto aiuto per poter garantire a sua figlia “un funerale dignitoso”.
“Purtroppo non possiamo più fare nulla per Carol, se non aiutare suo figlio – è il pensiero di uno degli oltre cento donatori – Queste donazioni non servono solo a sostenerlo economicamente, ma anche sul piano psicologico. Il piccolo deve sapere che sua madre era una donna in gamba, che si è messa in gioco per dargli un futuro”.
Fabio Maltesi ha rilanciato dal profilo Facebook la raccolta fondi a favore del nipotino: “Aderiamo tutti per fare in modo che Carol continui a splendere, anche quando si saranno spenti i riflettori” è l’appello di un amico di famiglia.
Una condotta solidaristica, che indubbiamente fa onore a chi la compie ma non certo a uno Stato che dovrebbe evitarla, proprio perché uno stato di diritto e quindi garantista.
“Quando i riflettori dei media si spengono le vittime collaterali rimangono al buio. ” Frase che fa amaramente riflettere, soprattutto in uno stato che si considera a tutela delle donne e che, giornalmente, propone leggi e nuove fattispecie di reato in loro difesa ma che, contestualmente e paradossalmente, porta i familiari delle vittime di violenza a ricorrere a una colletta per garantire loro un funerale dignitoso e una vita dignitosa a chi resta orfano. Aspetto questo, ancora più aberrante, se messo a confronto con l’art 31 Cost, che riconosce e tutela a chiare lettere “maternità e infanzia.”
3)Avvocato, secondo lei perché l’Italia continua a versare in questo vuoto di civiltà, dove le vittime e i loro cari sono gran parte delle volte gettate nel limbo, senza avere infatti, nè un supporto economico e nè psicologico da parte dello Stato. Condotta questa, che è invece ben diversa da quella adottata verso i detenuti che, giustamente, godono di tutto ciò.
Consecutio, la domanda sorge sponte:
“Questo trattamento di umanità e civiltà non dovrebbe valere anche per le vittime? Non le sa tanto di garantismo a senso unico?
Cosa dovrebbero fare le Istituzioni per porre fine a questa piaga giuridica ma soprattutto umana?
-” Le vittime sono abbandonate e i superstiti delle vittime hanno scarsa, per non dire inesistente considerazione.
Per quanto riguarda i casi di violenza di genere, peraltro, spesso le donne sono costrette a subire le conseguenze della vittimizzazione secondaria da parte dello stesso Stato o dell’ente pubblico.
Ci sono donne che, non solo non hanno ricevuto alcun supporto materiale e psicologico, ma che sono costrette anche a difendersi nei Tribunali, in sede civile, perché ritenute responsabili di essere “conflittuali” con l’ex coniuge o ex compagno, padre dei figli, autore di violenze fisiche e psicologiche. Non sono purtroppo rari i casi di quello che si può definire “cortocircuito giudiziario”: la vittima, in ambito penale, viene fatta diventare colpevole in ambito civile.
Le norme a tutela delle vittime, a partire dalla Convenzione di Istanbul, ci sono, ma queste norme sono troppo spesso male interpretate o non considerate.
Il problema vero è che anche in caso di evidenti errori, nessuno è chiamato a risponderne. E così la discrezionalità diventa puro arbitrio.”
Il mese di aprile è stato anche il “mese del ricordo” di vittime che hanno scosso l’opinione pubblica, come l’omicidio di Melania Rea, la giovane mamma uccisa il 18 aprile con 35 coltellate, senza riportare alcun segno di strangolamento o di violenza sessuale.
Vicenda atroce, che si è conclusa con la condanna del marito della vittima.
Salvatore Parolisi è stato infatti condannato a 20 anni di carcere per l’omicidio della moglie. Una sentenza emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Perugia, dopo l’esclusione dell’aggravante della crudeltà. Il primo grado di giudizio a suo carico si era concluso con una condanna all’ergastolo, mentre nel 2013, in secondo grado, era stato condannato a 30 anni dalla Corte d’Assise d’Appello dell’ Aquila.
La figlia, cresciuta coi nonni materni, oggi non porta più il cognome del padre.
Amara ironia della sorte, il 20 aprile è stata chiesta una condanna all’ergastolo dal pubblico ministero Federico Facchin per Giuseppe Mario Forciniti, 34 anni, l’infermiere calabrese originario di Rossano Calabro a processo per l’omicidio aggravato di Aurelia Laurenti, 32 anni, compagna e madre dei loro due figli. Conclusioni giunte dopo oltre un’ora e mezza di requisitoria, durante la quale ha parlato di un «omicidio selvaggio, quasi rituale» e definito inattendibile la ricostruzione fornita da Forciniti, che ha sempre sostenuto che il coltello, 17 centimetri di lama, lo aveva la compagna e di aver avuto un black out dopo la prima coltellata. Secondo il pm, Forciniti era «lucido», «freddo» e l’«accanimento con cui l’ha colpita alla testa e al volto» confermerebbe la volontà di ucciderla.
A innescare il femminicidio del 25 novembre 2020, a Roveredo in Piano, è stata una foto di famiglia pubblicata su Instagram da Forciniti. Aurelia, che avrebbe voluto lasciarlo o comunque archiviare la vita di coppia restando amici per il bene dei bambini, non aveva tollerato quell’immagine felice che come didascalia aveva “Semplicemente noi”. La lite, cominciata nel tardo pomeriggio, verso le 23.30 è finita in tragedia, con ben 19 coltellate inferte ad Aurelia nella camera da letto matrimoniale, dove il figlio più piccolo dormiva nel lettone, il maggiore, appena otto anni, era nella stanza accanto. Dopo aver tolto la vita alla compagna, Forciniti ha portato i bambini da una zia a Pordenone. È tornato a Roveredo in Piano, ha gettato il coltello in un cassonetto per rifiuti e poi è andato in Questura. Costituendosi dopo aver tentato con i poliziotti la messinscena di un furto in casa.
La discussione è proseguita con l’avvocato Antonio Malattia, che rappresenta la parte civile. Il legale ha puntato sull’inattendibilità di Forciniti e sulle tensioni familiari: “Ha rinchiuso Aurelia in una gabbia trasformandola nella più opprimente delle prigioni”. Ha dipinto Forciniti come un uomo ossessivo e geloso, che molestava la compagna e la costringeva a subire atti persecutori. Ha concluso chiedendo un risarcimento di 1,2 milioni per ciascuno dei figli, di 600mila euro per il padre e altrettanti per la madre della vittima, infine, 300mila per il fratello.
E sempre a proposito di amare coincidenze, vi è altresì il femminicidio di Angela Dargenio, considerato una “spietata esecuzione”.
Le motivazioni della condanna all’ergastolo di Massimo Bianco, che a Torino uccise l’ex moglie Angela Dargenio sono le seguenti:
“La sequenza degli spari esplosi è in sostanza qualificabile come una vera e propria esecuzione”.
Fu una “esecuzione”. Per questo lo scorso febbraio Massimo Bianco è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio della ex moglie Angela Dargenio. Nelle motivazioni della condanna si legge, in particolare, che “la sequenza degli spari esplosi è in sostanza qualificabile come una vera e propria esecuzione”. Il femminicidio di Angela Dargenio risale al 7 maggio dello scorso anno: Bianco, guardia giurata di 49 anni, uccise la ex compagna sul pianerottolo di un palazzo in corso Novara 87, a Torino. Per stare vicino ai figli l’uomo si era trasferito nello stesso palazzo della ex moglie anche dopo la separazione. Le sparò diverse volte, anche un colpo quando la donna era già a terra. Angela stava rincasando dopo aver fatto la spesa, lui era lì nelle scale ad aspettarla.
Secondo il giudice l’omicida ha agito “con freddezza e concludendo la propria azione con la spietata esecuzione della ex moglie colpendola al capo”. “Proprio l’esplosione del proiettile indirizzato alla testa della Dargenio, offre la chiave di lettura più univoca rispetto all’interpretazione delle intenzioni del Bianco – scrive ancora il giudice nelle motivazioni della sentenza – La circostanza che tale colpo sia stato sparato quando la donna si trovava distesa a terra porta a ritenere che con il proiettile indirizzato al capo abbia voluto assicurarsi il decesso della donna che, a quel punto, non poteva che essere già agonizzante viste le massive lesioni in precedenza causate alla zona toracica ed agli organi interni, eliminando in radice ogni possibilità di sopravvivenza della vittima”.
Lo scorso 24 febbraio la Corte d’Assise presieduta dal giudice Alessandra Salvadori ha condannato l’uomo all’ergastolo, mentre la pm Francesca Traverso aveva in realtà chiesto 30 anni di reclusione. Durante il processo a Bianco aveva testimoniato Eleonora, figlia maggiore della coppia, riportando le parole dure della nonna dopo il delitto: “Mia mamma era morta da poche ore. Chiamai nonna per dirle che era stato papà ad ucciderla. Mi rispose duramente: ‘Se l’è cercata. Non doveva separarsi’”, le parole della donna, che non aveva nemmeno partecipato ai funerali della vittima.
4)Avvocato, un corpo massacrato da ben 35 coltellate, non rientrerebbe nell’aggravante della crudeltà?
Vicende di una ferocia inaudita e che si concludono in modo altrettanto inaudito, come il caso di una donna massacrata con ben 35 coltellate e il suo carnefice condannato a soli 20 anni di reclusione perché non c’è l’aggravante della crudeltà e poi, una condanna all’ergastolo per chi uccise “con freddezza e concludendo la propria azione con la spietata esecuzione della ex moglie colpendola al capo” e altresì un altro abominevole caso, con la richiesta all’ergastolo per chi massacro’ la moglie con ben 19 coltellate.
Secondo lei, perché delle differenze così radicali tra vicende, che seppur diverse, hanno tutte lo stesso comune denominatore, ossia una vita stroncata con un vero e proprio massacro a suon di accoltellamenti o spari?
Quali sono le falle giuridiche che permettono tutto questo? E quindi, cosa si dovrebbe modificare, abrogare, introdurre ex novo per far sì, che le vittime e le loro famiglie non siano rese doppiamente vittime?
“Colpire un corpo con 35 coltellate, secondo un equo ragionamento, dovrebbe configurare l’aggravante della crudeltà. Ma non è così.
Per la Suprema Corte di Cassazione, “la speciale aggressività, la veemenza ed il furore aggravano il reato solo quando NON trovano giustificazione nella dinamica omicidiaria”, manifestando così un «atteggiamento di colpevole efferatezza». Nei casi di spasmodica ripetizione dei colpi, l’aggravante si configura nell’ipotesi di una volontà di aberrante scempio della vittima e non in quella di una condotta finalizzata solo ad uccidere.
Il mancato riconoscimento dell’aggravante della crudeltà determina chiaramente una diversa entità della pena.
Per la Cassazione il Giudice deve sempre analizzare il caso concreto per verificare quale delle due ipotesi sopra indicate si sia praticamente realizzata. Se il Giudice ritiene che l’omicida abbia voluto “solo” uccidere , nonostante l’efferatezza dell’azione, escluderà l’aggravante della crudeltà.
Si parla tanto di certezza della pena. Io credo che prima dovremmo parlare di certezza del diritto. La presenza di decisioni della giurisprudenza di merito, tra loro contrastanti, così come l’avvicendarsi delle sentenze, con diversi orientamenti, della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi a sezioni Unite, confermano, a mio modesto avviso, che nella realtà la legge non sia sempre uguali per tutti, soprattutto per le vittime.”
Aprile è stato il mese in cui sono avvenute vicende aberranti ma si sono altresì ricordate ben altre.
Infatti, oltre a quelle su riportate c’è altresi suicidio di Carmela, la 13enne stuprata da tre adulti e due minori e che alla fine, precisamente il 15 aprile 2006, decise togliersi la vita, lanciandosi dal settimo piano di un palazzo nel quartiere Paolo VI di Taranto.
Nel 2014, dopo 7 anni dalla sua morte, il tribunale ionico condanna i tre uomini :Filippo Landro e Salvatore Costanzo rispettivamente a 9 anni e 6 mesi e 10 anni. Invece Massimo Carnevale, 54 anni, il più anziano, è stato assolto con formula dubitativa.
I due, che all’epoca erano minorenni sono stati destinati a un mero procedimento rieducativo.
Questo è “il giusto” epilogo della storia di Carmela, affidata temporaneamente a un istituto per minori disagiati, la quale si uccise cinque mesi dopo aver subito gli abusi.
5)Avvocato, secondo lei, si possono considerare condanne conformi a uno Stato di Diritto e quindi espressione del principio rieducativo della pena, delle pene così effimere e addirittura un programma rieducativo, sol perché si è minorenni nonostante il crimine efferato commesso?
-“Il legislatore, nel caso di imputati e condannati minorenni, ha previsto un sistema finalizzato sostanzialmente ad offrire una seconda opportunità al minore autore anche di gravissimi reati.
Il problema è che le vittime, che sempre più spesso sono a loro volta minori, questa seconda opportunità non l’avranno mai.
Anche in queste ipotesi si tiene in molta considerazione la vita di “Caino”, ma non si considerano i diritti di “Abele”. “
A proposito di violenza sulle donne, un’ altra forma di violenza sull’universo in rosa è proprio quella commessa dalle stesse donne, spesso giovani e giovanissime.
Proprio come successo a Siena con la baby gang in rosa.
Atti persecutori, lesioni, minacce, pubblicazione e diffusione di materiale violento, in un caso anche il reato di atti persecutori aggravato dall’odio razziale per l’aggressione a una coetanea di origini straniere. Per questo sono indagate, a vario titolo, dieci insospettabili ragazzine di 14 e 15 anni di Siena, regolarmente iscritte e frequentanti le scuole superiori della città e, gran parte di loro, provenienti da contesti familiari mediamente con un buon livello di agiatezza e di istruzione.
Ma nonostante il contesto familiare e scolastico, la condotta delle ragazze si è mostrata ben lontana dal rispettare il prossimo e anzi ben propensa a umiliare, offendere e deridere coetanee sui social, per poi attirarle con minacce o inganni in luoghi appartati di Siena e qui procedere ad aggressioni fisiche e verbali. Violenze che hanno filmato col telefono.
Così agiva la baby gang in rosa , scoperta e fermata con denunce e perquisizioni dagli agenti della questura di Siena dopo indagini coordinate dalla procura minorile di Firenze.
Gli investigatori hanno anche riscontrato, che alcune persecutrici sono diventate a loro volta vittime, nel momento in cui avrebbero deciso di prendere le distanze dalla gang.
«La spettacolarizzazione della violenza tra i giovani è un fenomeno sempre più diffuso e che va attenzionato», ha commentato il questore Pietro Milone. Le indagini proseguono per accertare se ci sono stati altri episodi di vessazione e violenza.
6)Spesso si parla di violenza sulle donne per mano degli uomini. Vero, che gran parte della violenza subita da donne e da uomini è per mano del genere maschile, ma esiste altresì la violenza in rosa sull’ universo in rosa, ossia da parte di donne su altre donne. Soprattutto per quanto concerne il dilagante fenomeno tra giovani e giovanissimi, noto col nome di bullismo e cyberbullismo.
Quali sono le cause sia sociali che culturali e le falle giuridiche che fanno sì, che questo fenomeno non si arresti anzi si diffonda a macchia d’olio?
“Il bullismo, ed in particolare il cyberbullismo, dilagano per una convinzione di sostanziale impunità presente nei soggetti autori di tali reati.
Individuare chi commette tali crimini è ancora oggi molto difficile, soprattutto per gli ostacoli che vengono posti dai gestori e proprietari dei social network nel fornire i dati dei responsabili dei profili o pagine.
È necessaria un’approfondita attività della polizia postale per avere elementi sufficienti a sostenere un giudizio in sede penale. Mi spiace doverlo affermare, ma solo in casi particolari tali accurate indagini vengono svolte, sia per carenza di mezzi che per carenza di formazione del personale che riceve la notizia di reato.”
Ultimamente si è parlato di Vittimizzazione Secondaria, ossia :
“La vittimizzazione secondaria consiste nel rivivere le condizioni di sofferenza a cui è stata sottoposta la vittima di un reato, ed è spesso riconducibile alle procedure delle Istituzioni susseguenti ad una denuncia.”
A tal proposito, di recente, è stata approvata una relazione in Commissione Femminicidio, concernente questa tematica.
La Commissione Femminicidio, mercoledì 20 aprile, ha infatti approvato la relazione su “La vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale”.
7)Cosa pensa di questa approvazione?
Non trova discriminatorio associare il codice rosso e la vittimizzazione secondaria menzionando solo il genere femminile, tralasciando tutto il resto, precisamente le vittime dell’altro genere?
A proposito di codice rosso, cosa pensa di questo passo giuridico?
Quali sono i pro e quali invece le falle?
Quali sono gli aspetti da modificare, abrogare, modificare nel nostro diritto penale sia sostanziale che procedurale?
“Per quanto concerne il codice rosso e la vittimizzazione secondaria subita dalle donne, pur confermando che fino ad oggi la violenza di genere sia riferibile alle donne, ritengo che anche gli uomini, ove vittime di violenza da parte della coniuge, della compagna o “ex”, abbiano diritto a pari tutela.
Non può esserci dubbio che i casi di omicidi di uomini o di atti persecutori, nelle modalità previste dal Codice Rosso, siano residuali.
Non si può negare, però, che anche le donne, spesso in fase di separazione e divorzio, pongano in essere, nei confronti degli uomini, atti di violenza, soprattutto psicologica, anche attraverso una grave strumentalizzazione dei figli. A mio avviso tali condotte devono avere rilevanza e devono essere adeguatamente sanzionate.
Il Codice Rosso prevede indubbiamente una maggior e più efficace tutela delle vittime di violenza, ma nonostante le disposizioni normative tale tutela non è ancora tempestiva nella pratica.
Dipende sempre dal Magistrato la scelta e l’applicazione della misura cautelare.
Nella maggior parte dei casi, per esempio, il divieto di avvicinamento non rappresenta un’efficace misura a tutela della vittima.
Personalmente credo che debbano essere aumentate le strutture di accoglienza e che si debba snellire tutta la procedura per l’accreditamento delle cosiddette case rifugio, con la previsione di strutture in cui sia possibile l’ingresso ancor prima della denuncia, nel caso vi sia pericolo per l’incolumità fisica della donna e dei figli.”
“Una società e un mondo dell’informazione in cui non si ha alcuna remora a distruggere la vita altrui, in particolare di una donna, addirittura sulla base di pettegolezzi ed in assenza di riscontri oggettivi. “
“Vittime abbandonate e i superstiti delle vittime con scarsa, per non dire inesistente considerazione.”
“Certezza della pena ma tralasciando la certezza del diritto.”
“Avere molto in considerazione la vita di “Caino”, ma non senza considerare i diritti di “Abele”. “
“Tutela non ancora tempestiva nella pratica. “
Questo è il quadro che emerge dall’intervista, che ci ha gentilmente concesso l’avvocato Nassisi.
Un quadro che ci porta a una semplice ma più che dovuta domanda:
Quanti passi ancora, per far sì, che si prendano in considerazione anche i diritti di Abele?
avvocato Monica Nassisi
Nota biografica
Monica Nassisi
Avvocato cassazionista con esperienza nella consulenza legale e patrocinio di donne e minori vittime di violenza, nel diritto di famiglia e nei procedimenti di competenza del tribunale per i minorenni. Fondatrice e presidente de “la Giusta Difesa- aps”
Legale de “La Caramella Buona onlus”. RESPONSABILE SPORTELLO ANTIVIOLENZA
Città di Terracina- Azienda Speciale. Sportello gestito da La Giusta Difesa APS e La Caramella Buona onlus per l’assistenza delle vittime di atti e violenza sessuale, di violenza di genere, delle vittime di pedofilia, bullismo e cyberbullismo, atti persecutori, maltrattamenti ed ogni forma di violenza e discriminazione.
Docente e relatrice in convegni e corsi sulla violenza di genere, sulla pedofilia, sul bullismo e cyberbullismo. Ha ricoperto ruoli di alta amministrazione nell’ Agenzia Regionale del Lazio per la Mobilità.

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