Principale Arte, Cultura & Società Pena di morte: una vergogna umana ancora vigente

Pena di morte: una vergogna umana ancora vigente

Pena di morte: una vergogna umana ancora vigente
di Rita Lazzaro
La pena di morte o pena capitale è una sanzione penale, la cui esecuzione consiste nel togliere la vita al condannato.
Questa era presente in tutti gli ordinamenti antichi.
Storicamente sono apparsi molti modi per applicare la pena di morte a seconda delle varie epoche e culture: annegamento; bastonatura e fustigazione a morte; bollitura; caduta dall’alto; camera a gas; colpo di pistola alla nuca, che è usato ancora oggi in Cina; crocifissione; damnatio ad bestias, ossia pena di morte riservata nell’antica Roma ai criminali, i quali erano condannati a essere mangiati vivi dalle bestie feroci nelle arene; decapitazione; fucilazione; garrota; ghigliottina; impalamento; impiccagione, la quale era molto diffusa nel Medioevo ma ancora oggi utilizzata; iniezione letale, che è usata ancora oggi negli Stati Uniti; lapidazione, la quale era usata ampiamente nell’antichità ed è ancora presente in alcuni stati islamici, prevalentemente ai danni di donne adultere; rogo, a tal proposito sono note le condanne della Santa Inquisizione ai danni di eretici e streghe; schiacciamento, che è eseguito in diversi modi, ad esempio il popolo mongolo era solito eseguire la condanna a morte delle persone rispettabili coprendole con un telo e schiacciandole con i cavalli, oppure lo schiacciamento da elefante, che era diffusa nel sud e sudest asiatico, particolarmente in India, durante quasi 4.000 anni; la sedia elettrica, che fu inventata a fine Ottocento da Harold P. Brown e Arthur Kennelly, brevettata da Alphonse David Rockwel, applicata in molti stati statunitensi fino agli anni settanta, sostituita poi con iniezione letale; squartamento, il quale era utilizzato nei paesi arabi nell’età moderna, vi sono testimonianze filmate di squartamenti di prigionieri durante la guerra Iran-Iraq negli anni ottanta, utilizzando automezzi invece che cavalli; supplizio della ruota, che era diffuso nel medioevo e consisteva nel legare per i polsi e le caviglie il condannato ad una ruota e con una mazza gli venivano rotte le ossa fino alla morte; trafittura con frecce.
La pena di morte è stata abolita o non è applicata nella maggioranza degli stati del mondo, ma nel 2020, oltre che nei paesi già citati, era ancora in vigore in 63 stati: Afghanistan, Antigua e Barbuda, Arabia Saudita, Bahamas, Bahrein, Bangladesh, Barbados, Belize, Bielorussia, Botswana, Cina, Comore, Corea del Nord, Cuba, Dominica, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Gambia, Giamaica, Giappone, Giordania, Guinea Equatoriale, Guyana, India, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Lesotho, Libano, Libia, Malesia, Nigeria, Oman, Pakistan, Palestina, Qatar, Repubblica Democratica del Congo, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Singapore, Siria, Somalia, Stati Uniti d’America, Sudan, Sudan del Sud, Taiwan, Thailandia, Trinidad e Tobago, Uganda, Vietnam, Yemen e Zimbabwe.
Se si considera l’abolizione “di fatto”, lo Stato abolizionista più antico è la Repubblica di San Marino, tuttora esistente: l’ultima esecuzione ufficiale risale al 1468, mentre l’abolizione definitiva fu sancita per legge nel 1865.
Il primo Stato al mondo ad abolire legalmente la pena di morte fu il Granducato di Toscana, il 30 novembre 1786 con l’emanazione del nuovo codice penale toscano (Riforma criminale toscana o Leopoldina, preparata dal giurista Pompeo Neri alcuni anni prima) firmato dal granduca Pietro Leopoldo, influenzato dalle idee di pensatori come Cesare Beccaria, ossia l’lluminista nonché ideatore del principio contrattualistico per cui nessun uomo può disporre della vita di un altro.
L’Italia l’abolì, tranne che per crimini di guerra e regicidio, nel 1889, per poi reinserirla con il Codice Rocco del 1930, e abolirla definitivamente nel 1948. Anche la Francia dal 1981 non ricorre più alla ghigliottina, mentre nel Regno Unito, pur non essendo mai stata abolita, a partire dagli anni sessanta la pena capitale è stata autonomamente disapplicata dalla magistratura, che in sua sostituzione commina l’ergastolo.
Un altro importante capitolo della storia della pena di morte viene scritto il 18 dicembre 2007, quando, dopo una campagna ventennale portata avanti dall’associazione Nessuno Tocchi Caino e dal Partito Radicale Transnazionale, da Amnesty International e dalla Comunità di Sant’Egidio, l’Onu approva una storica risoluzione su iniziativa italiana per la moratoria universale della pena di morte, ossia per una sospensione internazionale delle pene capitali.
La carta d’imbarco di Singapore contiene un avvertimento ai visitatori sulla pena di morte per traffico di droga.
Al 20 gennaio 2022, 54 stati continuano ad applicare la pena di morte nei loro ordinamenti, mentre 141 non l’applicano, di diritto o in pratica. Tra questi ultimi, 108 l’hanno abolita per tutti i reati, 7 l’hanno abolita per reati comuni (mantenendone la previsione solo per reati particolari, come quelli commessi in tempo di guerra) e 26, pur mantenendo la norma giuridica, non l’applicano da oltre 10 anni (abolizionisti de facto). Il 15 novembre 2007 la Terza commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato con 99 voti favorevoli, 52 contrari e 33 astenuti una risoluzione, fortemente sostenuta dall’Italia, che chiede la moratoria universale della pena di morte
L’Assemblea Generale ha votato la risoluzione il 18 dicembre 2007 con 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti. La moratoria è stata approvata con 5 voti in più rispetto alla votazione della Terza commissione il 17 novembre 2007.
Nel 2020 Amnesty International ha registrato 483 esecuzioni in 18 stati, con un decremento del 26 per cento rispetto alle 657 esecuzioni registrate nel 2019. Si tratta del più basso dato registrato nell’ultimo decennio.
La maggior parte delle esecuzioni è stata registrata, nell’ordine, in Cina, Iran, Egitto, Iraq e Arabia Saudita.
La Cina è rimasta al primo posto anche se la reale dimensione dell’uso della pena di morte resta sconosciuta poiché queste informazioni sono considerate segreti di stato. Il totale di 483 esclude dunque le migliaia di esecuzioni che si ritiene abbiano avuto luogo in Cina.
Se si esclude la Cina, l’88 per cento delle esecuzioni ha avuto dunque luogo in appena quattro stati.
Neppure la pandemia da COVID-19 ha fermato la pena di morte nel 2020 sebbene si sia registrata una riduzione significativa delle esecuzioni, 483 quelle contate da Amnesty International, il dato più basso registrato in oltre un decennio, in calo del 26% rispetto al 2019 e del 70% rispetto al picco di 1.634 casi registrato nel 2015. E’ quanto emerge dal nuovo Rapporto annuale di Amnesty sulla pena di morte. La flessione sarebbe dovuta soprattutto all’Arabia Saudita, dove le esecuzioni registrate sono scese dalle 184 nel 2019 a 27 nel 2020, e all’Iraq, dove le esecuzioni risultano più che dimezzate, passando da 100 nel 2019 a 45 nel 2020. Nel conteggio, come sempre, sono esclusi i Paesi che classificano i dati sulla pena di morte come segreti di stato o per i quali sono disponibili informazioni limitate (Cina, Corea del Nord, Siria e Vietnam), anche se proprio la Cina resta presumibilmente “il primo boia al mondo” con migliaia di morti ogni anno. Dietro, quattro Paesi raccolgono l’88% delle esecuzioni registrate: Iran, Egitto, Iraq e Arabia Saudita. Ma ci sono anche buone notizie: l’abolizione della pena capitale in Ciad e nello stato del Colorado, l’impegno del Kazakhistan ad abolirla e la cancellazione dell’obbligatorietà della condanna nelle Barbados.
Secondo un rapporto di Amnesty International, in alcuni ordinamenti giuridici, come in Brasile, Burkina Faso, Cile, El Salvador, Guatemala, Israele, in tempo di pace la pena capitale è prevista per le sole colpe più gravi come ad esempio omicidio, genocidio e alto tradimento; in altri si applica anche ad altri crimini violenti, come la rapina o lo stupro, o legati al traffico di droga; in alcuni paesi infine è prevista per reati d’opinione come l’apostasia o per orientamenti e comportamenti sessuali come l’omosessualità o l’incesto.
Fatta questa necessaria e dovuta premessa sullo stato attuale della pena capitale, giusto e doveroso ricordare le ultime vicende, che ahimè la vedono attiva protagonista:
negli Stati Uniti, nessun presidente ha mai inserito nel suo programma elettorale l’eliminazione della pena di morte.
Ci sono state moratorie a livello federale.
(L’ultima era stata annullata da Donald Trump). Ma il senso di civiltà è ancora lontano. Facta docent.
Nel Texas, circa una settimana fa, è stato condannato a morte un uomo di 78 anni, condanna inflitta per l’uccisione di un poliziotto più di 30 anni fa, durante un normale controllo del traffico. Gli avvocati di Carl Buntion avevano presentato un ultimo appello alla Corte Suprema degli Stati Uniti, chiedendo una sospensione ma è stato respinto. Buntion è stato ucciso tramite iniezione letale. Un secondo Stato americano, il Tennessee, aveva previsto di eseguire la sentenza di morte per un altro detenuto, Oscar Franklin Smith, 72 anni, con un’iniezione letale, per aver ucciso la moglie alienata e i suoi due figli adolescenti nel 1989. Ma il governatore Bill Lee ha fatto sapere in extremis che Smith ha avuto una sospensione temporanea a causa di «una svista nella preparazione dell’iniezione letale». Buntion era diventato ormai un’istituzione nel sistema carcerario dello Stato conservatore del sud, che mette a morte più prigionieri di qualsiasi altro Stato americano. Gli avvocati del detenuto 78enne, che ha passato gli ultimi vent’anni in un isolamento, nella sua cella, per 23 ore al giorno, avevano sostenuto che uccidere Buntion adesso, sarebbe stata una «punizione crudele e insolita», vietata dalla Costituzione americana.
Buntion, dicevano, non rappresentava un pericolo per nessuno. «Il signor Buntion è un uomo fragile e anziano», avevano scritto i suoi avvocati in una petizione al Texas Board of Pardons and Parole, «e non sarà una minaccia per nessuno in prigione se la sua sentenza sarà ridotta a una pena minore».
Da ricordare che ha ancora oggi, in America, ci sono circa 2.474 detenuti nel braccio della morte di 27 Stati.
A proposito di condanne a morte, da ricordare altresì il caso della 51enne di origine messicana, che doveva essere giustiziata con un’iniezione letale nel carcere di Gatesville, in Texas, il 27 aprile. Condannata alla pena capitale per aver ucciso la sua bambina di due anni Mariah, nel 2007, per le complicazioni di una caduta dalle scale, secondo la difesa. Per essere stata selvaggiamente picchiata, secondo l’accusa.
La condanna a morte in Texas di Melissa Lucio è stata sospesa. La donna, 51enne di origini messicane e madre di 14 figli, è accusata della morte di una di loro. Lo ha deciso la Corte d’appello secondo quanto riferiscono i suoi avvocati. Lucio si è sempre detta innocente e negli ultimi giorni la sua famiglia e gli attivisti hanno moltiplicato gli appelli per fermare la sua esecuzione.
La donna è stata condannata nel 2008 con l’accusa di aver ucciso sua figlia Mariah, di 2 anni, nel 2007 nella contea di Cameron. Secondo l’accusa, la piccola sarebbe stata picchiata, mentre la tesi della difesa è che la piccola sia deceduta a causa di ferite interne, riportate due giorni dopo una caduta accidentale. Le prove dell’accusa sono poi state giudicate inaffidabili soprattutto per il metodo di interrogatorio. La donna, infatti, era sotto shock dopo la perdita della figlia e, incinta di due gemelli, è stata sottoposta a una serratissima fila di domande. Dopo molteplici negazioni, forse esausta, avrebbe pronunciato le parole che l’hanno incastrata: “Probabile che io sia responsabile“. Tutti gli altri 13 figli continuano a sostenere l’innocenza della madre, ribadendo l’ipotesi dell’incidente domestico.
Negli ultimi giorni era stato lanciato un appello anche su Amnesty International per fermare l’iniezione: la petizione è stata promossa dalla famiglia con il supporto di più attivisti e anche diversi vip, fra i quali anche anche Sandra Babcock e Kim Kardashian, che ha condiviso su Twitter la lettera firmata dai tredici figli di Melissa in cui chiedono la grazia al governatore Abbott.
E per concludere questo elenco di storie e dati agghiaccianti, concernenti una pena ben avulsa dai valori del vivere civili e dai principi di uno stato di diritto, come la RIeducazione del reo, giusto e doveroso ricordare quanto accadrà oggi, 29 Aprile, negli USA.
Oggi, Richard Moore, sarà condannato a morte con fucilazione, l’alternativa era la sedia elettrica.
L’iniezione letale, è stata abolita a causa della carenza del veleno da somministrare ai detenuti, restando così a “disposizione” del condannato due opzioni, ovvero la sedia elettrica o il plotone d’esecuzione.
Il 16 settembre 1999, Moore entrò nel minimarket Nikki’s Speedy Mart a Spartanburg, dove Mahoney lavorava come commesso. Moore intendeva commettere una rapina e dopo aver svaligiato la cassa del negozio acquistare della droga. Il commesso, però, reagì, tra i due scoppiò una rissa e l’afroamericano, dopo essere riuscito a strappare di mano una pistola al rivale, premette il grilletto colpendo Mahoney al petto. Arrestato, durante tutto il processo ha ammesso di aver commesso la rapina ma di essere stato disarmato e aver agito per legittima difesa; i giudici non gli hanno creduto e l’hanno condannato a morte.
Moore, dopo aver meditato più di una settimana, aveva comunicato al suo avvocato la scelta definitiva, diventando così non solo il primo detenuto della Carolina del Sud ad essere giustiziato negli ultimi 11 anni, ma anche il primo a morire per mano dello Stato secondo il nuovo protocollo approvato nei mesi scorsi. L’iter prevede che altri tre detenuti volontari, tutti con fucili carichi, debbano sparare al condannato, che indosserà un cappuccio nero sulla testa e a cui verrà applicato un piccolo bersaglio all’altezza del cuore.
L’altra opzione per Moore sarebbe stata la sedia elettrica, metodo adottato solo due volte negli ultimi 30 anni in Carolina del Sud. Metodi considerati antiquati e barbari da Lindsey Vann, l’avvocato dell’uomo.
Per questo motivo, tutte le altre giurisdizioni americane hanno deciso di abolirli. Tutte, tranne la Carolina del Sud, dove i funzionari statali hanno approvato un’apposita legge che li rende legali pur di non fermare le esecuzioni programmate, la prima della quali sarà proprio quella del 57enne afroamericano che ha trascorso gli ultimi 21 anni nel braccio della morte dopo essere stato condannato nel 2001 per l’omicidio di James Mahoney.
Si può considerare civile un Paese, che porta un suo condannato a dover decidere su come dovrà essere eseguita la sua condanna a morte?
Una barbarie accompagnata da altrettante, come l’iter del tutto avulso sia dal senso di umanità sia dal concetto di diritto.
Un iter in cui, infatti, non solo si porta il condannato a dover scegliere “di che morte morire” ma addirittura far sì, che la fucilazione avvenga per mano di detenuti “volontari”
Ma come?
Lo Stato vieta di uccidere e poi trasforma in assassini i suoi stessi detenuti, che invece dovrebbero essere sottoposti a una pena RIeducativa e di conseguenza, ben lontana da condotte criminali, come quella di uccidere a colpi di fucile un uomo incappucciato?
La risposta a queste domande, che nel 2022 non dovrebbero lontanamente esistere, non può che essere data da Cesare Beccaria, Padre del diritto italiano e promotore di uno dei principi cardine di uno stato di diritto e quindi garantista e quindi civile e quindi umano:
“Parmi un assurdo che le leggi che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio.”
PS: informazioni prese da Wikipedia e Amnesty

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