Riscoperta dopo oltre 30 anni, tutto è rimasto come allora, gli arredi non sono mai stati toccati. Un’unica stanza, due metri per due, con un letto verde e un angolo cucina.
AGI – Sembra quasi una capsula del tempo, in grado di trasportare il visitatore ai tempi del Maxiprocesso istruito, a febbraio del 1986, dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nell’area riservata dell’aula bunker del carcere Ucciardone.
Per oltre 30 anni, infatti, l’esistenza della cella che ha ospitato per alcuni mesi il pentito Tommaso Buscetta durante la sua partecipazione come teste chiave, è rimasta ignota, lontana da occhi indiscreti. Fino a quando, poco tempo fa, è stata riscoperta e oggi, per la prima volta, mostrata anche ai giornalisti.
Tutto è rimasto come allora, gli arredi non sono mai stati toccati. L’angusta cameretta è formata da un’unica stanza, due metri per due, con un letto verde singolo, un angolo cucina, degli armadietti in legno, una sedia e un bagno con vaso alla turca a vista e un lavabo. Non ci sono finestre e il ricambio dell’aria è assicurato soltanto da aperture con grate nella parte alta della cella e inaccessibili, per evitare qualsiasi forma di contatto con l’esterno.
La camera è dotata di un sistema di videosorveglianza collegato a una sala regia ed era presidiata, 24 ore su 24, da uomini della polizia penitenziaria. “Questo luogo è stata realizzato proprio in funzione della sicurezza di Buscetta”, ha detto Matteo Frasca, presidente Corte d’Appello di Palermo, nel corso della visita in occasione della conferenza dei procuratori generali del Consiglio d’Europa, organizzata dalla procura generale della Cassazione che nel pomeriggio è prevista nell’aula bunker.
Un regime di massima segretezza per non mettere a rischio la sua incolumità e, allo stesso tempo, l’esito del processo visto il ruolo determinante svolto dallo stesso Buscetta: “Si tratta di un locale dotato dell’indispensabile che però consentiva al pentito di non spostarsi mai dall’area carceraria”, ha sottolineato ancora Frasca. Ma anche se l’area riservata, dove soggiornavano anche gli agenti di polizia cui era affidata la sua sicurezza, dista pochi metri dall’aula bunker, la sua storia è difficile da ricostruire, in quanto l’allora responsabile è deceduto, così come alcuni dei suoi più stretti collaboratori.
“Il vero custode dei segreti di quest’area e di cui possedeva persino le chiavi era Vincenzo Mineo, memoria storica dell’aula bunker, purtroppo scomparso lo scorso anno”, ha detto Claudia Caramanna, procuratrice dei minorenni di Palermo. Ma grazie alle testimonianze raccolte da agenti di polizia penitenziaria e altre persone che avevano svolto servizio in quel periodo, è stato possibile far luce su alcuni aspetti legati al soggiorno di Buscetta.
A esempio, per la sua sicurezza, ogni giorno, “venivano effettuate, mediante l’utilizzo di tecniche di depistaggio, simulazioni di trasferimento – ha aggiunto Caramanna – in particolare, c’erano delle unità civetta che partivano da caserme in punti diversi della città verso l’aula bunker e l’impiego di elicotteri che la mattina, prima delle udienze, sorvolavano Palermo“.
Si racconta inoltre che in quello stesso periodo, mentre si celebrava il Maxiprocesso, il giudice Giovanni Falcone, all’interno di questi locali, abbia in alcune occasioni interrogato Buscetta. E successivamente gli stessi locali furono utilizzati per ospitare Totò Riina, che, dopo una latitanza di oltre 30 anni, venne arrestato nel gennaio del 1993 e dal 27 febbraio, e per un certo periodo, occupò la stessa cella.
“I colleghi palermitani hanno reso disponibile, per questa importante conferenza, la cella che fu costruita quando fu realizzato l’aula bunker per custodire Buscetta, durante il periodo in cui doveva assistere al processo e per evitare che dovesse essere trasferito ogni giorno con gravissimo rischio per la sua incolumità. Questo piccolo luogo di custodia che ora è visitabile e che ha destato grande commozione fra le delegazioni dei procuratori generali, è rimasto riservato per parecchio tempo”, ha detto il procuratore generale della Corte di Cassazione, Giovanni Salvi
Ora gli uffici giudiziari di Palermo” l’hanno riaperta – ha aggiunto – per consentire che si comprendesse cosa è stato quel periodo. Credo che anche per i nostri ospiti questo dia il senso dell’impegno del nostro Paese: abbiamo avuto e abbiamo ancora dei momenti straordinariamente difficili, ma li abbiamo affrontati con coraggio e determinazione”.