Editoriale
La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino (art. 52 Costituzione).
La difesa della Patria va deliberata nel rispetto della Costituzione.
I cittadini italiani sono meravigliosamente eclettici, versatili in ogni campo del sapere e, quindi, non dobbiamo meravigliarci se sulla guerra hanno dimostrato di avere poche idee ma confuse. Pretendono di saperne molto più degli esperti di strategia militare e diplomatica. Alcuni si azzardano finanche a proporre soluzioni politiche che pongano fine a questa immane tragedia concepita e iniziata da menti disturbate. A difesa delle loro pur lodevoli proposte invocano l’art. 11 della Costituzione limitandosi all’esame del verbo ripudiare e trascurando il resto con conseguente alterazione del significato della norma e dello spirito pacifista dell’intera Costituzione.
Insomma i nostri concittadini pensano di saperne più del nostro Ministro della Guerra (lapsus freudiano ?). Cosicché i politici occidentali (in particolare quelli italiani), hanno buon gioco nella proposizione dei loro intenti di distruzione del mito putiniano. Onde, la guerra di attacco alla Russia, voluta dagli Stati Uniti che esercitano la loro sovranità in Europa, almeno nei confronti di alcuni Paesi tra cui l’Italia, diventa, nel pensiero americano, guerra di difesa delle democrazie occidentali messe in pericolo dal disegno imperialista di Putin.
Dall’altra parte, però, ci sono gli anti putiniani che invocano la necessità della guerra per liberarci per sempre dai pericoli di guerre future e permanenti che tenderebbero a riportarci, a loro dire, all’instaurazione di regimi che credevamo definitivamente debellati. Il guaio è che, almeno in Italia, i dubbiosi, coloro che esprimono qualche dubbio circa le origini e le responsabilità della guerra, attribuendole, almeno in parte, ai guerrafondai americani, vengono additati quali traditori della Patria e, di conseguenza, emarginati ed esclusi dal dibattito che si occupa della questione. In ciò aiutati da giornalisti prostrati ai piedi del potere statunitense.
L’Italia è un Paese democratico appartenente alla comunità internazionale e, ai sensi dell’art. 10 della Costituzione, ha il dovere di conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Ma l’adeguamento non è automatico, dovendo avvenire nel rispetto dei limiti del successivo articolo 11. Ripudiare la guerra non costituisce un mero mezzo di risoluzione delle controversie internazionale ma rappresenta un forte giudizio morale.
Dunque, limitarsi al verbo ripudiare è insufficiente, occorrendo, invece, un’esegesi dell’intera Costituzione le cui norme conducono a una sola conclusione: l’adesione a norme di diritto internazionale non è generale, ma incontra un limite invalicabile che è quello della vocazione alla pace del nostro Bel Paese.
La guerra proclamata da Putin non riguarda solo l’Ucraina ma l’intero mondo occidentale.
D’altra parte, il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali non esclude la guerra di difesa a causa di ingiustificati e proditori attacchi armati nei confronti del nostro Paese. Ed è proprio nel rispetto di questi principi, che si ispirano a innegabili esigenze morali, che l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo (art. 11). A stabilire, però, se l’invio di armi all’Ucraina non significa partecipazione alla guerra non può essere il Governo, ma il Parlamento che dovrà precisare se si tratti di guerra di offesa o di difesa e, di conseguenza, deliberare lo stato di guerra conferendo al Governo i poteri necessari (art. 78). Aggiungo che è il Presidente delle Repubblica, il quale presiede il Consiglio supremo di difesa, a dichiarare lo stato di guerra deliberato dalle Camere (art. 87). Ma la politica, nella sua debolezza, subisce passivamente le decisioni draghiane, contestate solo dall’avv. del Popolo.
Raffaele Vairo