Una mossa audace di dieci Stati membri dell’Unione europea sta scuotendo le fondamenta delle decisioni prese dalla Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen. La voce crescente di dissenso è chiara: “Ursula, è ora che i costi dei “vaccini” Co.Vi.D./19 li copra tu!”. L’escalation delle scelte sbagliate diventa sempre più evidente: la Commissione Europea ha infatti comprato ben oltre il necessario di questi preparati, prenotando 4,2 miliardi di dosi per 447 milioni di abitanti. Una mossa che si è rivelata ora un errore, con il calo della domanda di vaccinazione e l’ostilità dei Paesi più “poveri” verso questi ritrovati. I prezzi pagati dagli Stati membri per le fiale rimangono oscuri, ma si stima che una dose di Pfizer costi ca. 19,5 euro e una di Moderna 25,5 euro.
“Lettera ad una Stella”: stop ad errori ed eccessi, cambio di passo
La notizia dell’iniziativa dei dieci Paesi dell’UE è stata riportata da Euractiv, con un articolo dal titolo abbastanza “morbido” (“Dieci Stati UE chiedono più flessibilità nei contratti per i vaccini“). Secondo la testata, Bulgaria, Croazia, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia avrebbero presentato una lettera con richieste dettagliate al Commissario europeo per la Salute, Stella Kyriakides. La missiva esprimerebbe chiaramente un “eccesso significativo” nelle forniture di “vaccini”, dimostrando che l’acquisto smisurato di ben 8 dosi (e più) per abitante è stato uno sbaglio. I firmatari riconoscono comunque il fatto che “i contratti stipulati in precedenza dalla Commissione europea non potevano prevedere l’andamento della pandemia”.
La lettera enfatizzerebbe anche la necessità di modificare i termini degli accordi siglati con le case farmaceutiche per rispecchiare le esigenze reali degli Stati membri. I dieci Paesi starebbero chiedendo di ridurre le dosi dei preparati consegnate (un “onere eccessivo sui bilanci statali”) e di adattare i contratti di acquisto ai mutevoli contesti epidemiologici. Inoltre, si sottolinea a chiare lettere l’importanza di negoziare non solo in termini commerciali ma anche biomedici (per garantire che i “vaccini” siano adeguati alle nuove varianti del virus), nonché di avere la possibilità di chiudere i contratti di acquisto, non appena la situazione sanitaria lo permetterà. Fra i dieci firmatari della lettera non c’è l’Italia, che quindi non restituirà all’UE le dosi non utilizzate di “vaccino” ma le pagherà, contenta e per intero (con soldi pubblici, chiaramente).
Una gestione più equilibrata per non perdere la fiducia
E se le case farmaceutiche difficilmente accetteranno di rinunciare ai profitti derivanti dagli accordi stipulati, la lettera parla chiaro: la mancanza di revisione delle procedure di fornitura comporterebbe una gestione finanziaria inefficace e una perdita di fiducia da parte dei cittadini. Tuttavia l’UE si starebbe sforzando per garantire “vaccini” aggiornati, tant’è che è stato accordato tra la Commissione Europea e Pfizer di ritardare la consegna delle dosi previste per l’autunno, suggerendo che potrebbero essere prima adattate alle nuove varianti del virus.
In conclusione, l’iniziativa di dieci Stati dell’Unione Europea ha portato alla luce la necessità di una gestione più equilibrata e attenta degli acquisti di “vaccini” Co.Vi.D./19. È cruciale ora trovare un compromesso tra gli impegni firmati con le case farmaceutiche e le esigenze reali delle nazioni, in modo da garantire che gli investimenti nella salute pubblica siano effettivi e responsabili. La storia degli approcci squilibrati all’acquisto di “vaccini” Co.Vi.D./19 offre un monito sulla valutazione accurata delle necessità e sulla gestione oculata delle risorse.
Fonti online:
Visione TV (testata giornalistica nazionale; articolo di Giulia Burgazzi del 10 giugno 2022), Financial Times, Euractiv, Politico, Rai e Euronews (canali YouTube).
Antonio Quarta
Redazione Corriere di Puglia e Lucania