Il 17 giugno, il governo britannico ha ordinato l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti, dove rischia una condanna a 175 anni di carcere.
L’epilogo temuto dai sostenitori del fondatore di Wikileaks è diventato realtà.
Ma chi è Julian Assange?
E perché versa in questa situazione?
Julian Assange è un giornalista, programmatore e attivista australiano, cofondatore e caporedattore dell’organizzazione divulgativa WikiLeaks.
La sua notorietà ha inizio nel 2010, quando decide di pubblicare tramite WikiLeaks documenti statunitensi secretati, ricevuti dalla ex militare Chelsea Manning, riguardanti crimini di guerra commessi dall’esercito di Washington negli anni delle missioni militari in Iraq e Afghanistan.
Adesso l’attivista australiano e il suo entourage legale hanno 14 giorni per presentare ricorso contro la decisione del governo di Boris Johnson, opzione che verrà esercitata, come confermano anche dall’organizzazione: “Chiunque in questo Paese tenga alla libertà di espressione dovrebbe vergognarsi profondamente del fatto che la ministra dell’Interno ha approvato l’estradizione di Julian Assange negli Usa, il Paese che ha complottato per assassinarlo“, hanno aggiunto. Intanto il ministero ha affermato che “i tribunali del Regno Unito non hanno ritenuto che sarebbe oppressivo, ingiusto o un abuso processuale estradare Assange. Né hanno ritenuto che l’estradizione sarebbe incompatibile con i suoi diritti umani, compreso il suo diritto a un processo equo e alla libertà di espressione, e che mentre si trova negli Stati Uniti sarà trattato in modo appropriato, anche in relazione alla sua salute”. Garanzie che sono state richieste e, per i giudici, soddisfatte dall’amministrazione di Washington.
La moglie di Assange, Stella Morris, ha parlato di “un giorno nero” non solo per la libertà d’informazione, ma anche per la “democrazia britannica”. “Julian non ha fatto nulla di sbagliato – ha proseguito – è un giornalista ed editore punito per aver fatto il suo dovere” rivelando documenti riservati e informazioni imbarazzanti su atti compiuti da vari Stati, Usa compresi”.
Secondo Morris, comunque, anche se “la strada verso la libertà di Julian si fa lunga e tortuosa”, la battaglia “non finisce qua”: a partire “dall’appello che riproporremo all’Alta Corte” di Londra e dall’organizzazione di proteste di piazza. “Non vi sbagliate – conclude -, questo è sempre stato un caso politico, non legale. Julian ha pubblicato prove sui crimini di guerra, le torture, la corruzione di funzionari stranieri commessi dal Paese che sta cercando di farselo consegnare”.
Anche Amnesty International si è opposta alla decisione dell’esecutivo di Londra: “Consentire che Julian Assange venga estradato negli Stati Uniti significherebbe esporre lui a un grande rischio e mandare un messaggio agghiacciante ai giornalisti di tutto il mondo”, ha dichiarato Agnes Callamard, segretaria generale dell’organizzazione. Secondo l’attivista per i diritti umani le rassicurazioni diplomatiche offerte da Washington sono insufficienti e non credibili, in particolare quelle su “l’isolamento prolungato in carcere, cosa che violerebbe il divieto di tortura e di maltrattamento” dei detenuti, dati “i precedenti della storia giudiziaria” americana.
Decisione che ha portato altresì l’intervento del premio Nobel per la Pace, Adolfo Esquivel, il quale ha lanciato un appello per fermare l’estradizione negli Stati Uniti di Julian Assange.
Un appello mosso un anno fa e presentato il 20 giugno anche in Italia nella sede della Fnsi, assieme a rappresentanti di Amnesty, del mondo dell’informazione e della cultura.
«L’estradizione di Assange è un rischio gravissimo non solo per la salute psichica e fisica di Julian – ha ammonito il pacifista argentino – ma anche per la stampa mondiale. Servono azioni congiunte perché abbiamo solo 14 giorni per sovvertire la decisione del governo britannico ed evitare il trasferimento».
Il documento, già firmato da numerosi giornalisti e intellettuali in tutto il mondo, accusa direttamente il governo di Washington di persecuzione nei confronti del giornalista australiano e di nascondere i crimini svelati dal suo team e tutt’ora privi di responsabili giuridicamente accertati.
Ma vi sono state altresì altre iniziative, come l’appello lanciato oggi stesso dal giornalista di inchiesta Francesco Amodeo, il quale dalla sua pagina facebook ha annunciato:
“Martedì 5 luglio ore 18:00 sit in di protesta contro l’estradizione di Julian Assange, nei pressi dell’Ambasciata americana di Roma e Milano. Mi aiutate ad organizzare questa iniziativa? Scrivete a noi@francescoamodeo.it”
Tante mobilitazioni e interventi, il tutto però, accompagnato da un assordante silenzio della politica.
Una condotta che, comunque, non dovrebbe sorprendere più tanto, visto che secondo il nuovo World Press Freedom Index – una classifica annuale che valuta lo stato del giornalismo e il suo grado di libertà in 180 paesi del mondo – l’Italia occupa attualmente la 58esima posizione, perdendo 17 posti rispetto al 2021 e al 2020.
Un dato che non fa certo onore a uno Stato di diritto in cui la libertà di stampa è costituzionalmente riconosciuta, art 21 Cost docet.
Rita Lazzaro