Il sottosegretario agli Esteri sarà presente l’11 luglio alla cerimonia di inaugurazione della rappresentanza diplomatica, che era stata chiusa nel 2011.
di Alessandra Sestito
L’uscita del Regno Unito dall’Ue ha però aumentato la domanda di servizi consolari per i cittadini italiani, rendendo necessaria la riapertura.
AGI – L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea ha avuto conseguenze per i cittadini italiani che vivono Oltremanica e ha fatto emergere, inevitabilmente, nuove esigenze. Verrà inaugurato lunedì 11 luglio il nuovo consolato italiano a Manchester proprio per venire incontro alle sfide inedite che pone un Paese come il Regno Unito, tanto vicino geograficamente ma ormai lontano dall’Unione europea in termini di libera circolazione di beni e persone.
Il consolato di Manchester era stato chiuso nel 2011 in un periodo di tagli al bilancio della Farnesina e la sua riapertura segna un ritorno necessario quanto strategico e significativo. Si tratta di un evento che sottolinea tutta l’attenzione dell’attuale governo per cittadini che vivono all’estero ma anche l’intenzione di esserci e “farsi sentire” sul palcoscenico internazionale. La nuova sede nel cuore della città, al civico 58 di Spring Gardens, verrà inaugurata dal Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale, Benedetto della Vedova, al quale abbiamo posto alcune domande.
Sottosegretario, qual è il significato dell’apertura di un nuovo consolato nel Regno Unito?
“Il Regno Unito rappresenta ormai il primo Paese al mondo come presenza di connazionali. Si tratta di oltre 454 mila italiani con un trend di crescita che non accenna a diminuire. Sono migliaia i nuovi connazionali che, ogni mese, arrivano Oltremanica. Inoltre, una delle conseguenze della Brexit è la necessità di un’assistenza consolare sempre più importante, sia per gestire i seguiti dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea per chi era nel Paese già da prima, sia perché, di per sé, il nuovo status extra-comunitario del Regno Unito implica un rapporto più complesso tra i nostri connazionali e le autorità locali. Tutto questo ha imposto la revisione di una decisione di chiusura che era stata presa nel 2011, in un momento delicato per la finanza pubblica. In questi ultimi anni, il Consolato generale di Londra aveva dovuto gestire una mole di lavoro veramente imponente. Sono fiducioso che la riapertura di Manchester consentirà alle autorità consolari di essere più vicine alla nostra comunità”.
Quale sarà il bacino di copertura del consolato di Manchester?
“Parliamo di quasi 110.000 connazionali su una vasta area che copre in sostanza l’Inghilterra del Nord. Una comunità anch’essa in costante crescita con molti giovani lavoratori e professionisti della cosiddetta ‘nuova mobilità’ che si aggiungono ai rappresentanti della vecchia emigrazione”.
L’Italia decide di rinforzare la sua presenza nel Regno Unito a sostegno degli italiani in un momento molto delicato dei rapporti fra Regno Unito e Europa…
“È noto che i connazionali che si spostano all’interno dell’Unione Europea spesso non si affrettano a dichiarare la loro presenza ai rispettivi consolati, in quanto cittadini europei e come tali equiparati ai locali nei diritti e nei doveri. Come spiegavo prima, la Brexit ha rappresentato un’oggettiva complicazione per i nostri cittadini nel Regno Unito i quali, di conseguenza, hanno e dovranno, d’ora in poi, fare più spesso ricorso ai consolati. La Brexit ha provocato quindi anche un fenomeno di emersione perché moltissimi italiani hanno sentito il bisogno di registrarsi presso i nostri consolati. In sostanza, quindi sì: la Brexit ha concorso alla decisione di riaprire Manchester”.
Quali sono gli altri Paesi nel mondo dove, in questo momento, l’Italia vuole rinforzare la sua presenza?
“In questo momento storico, c’è un fenomeno di ripresa dell’emigrazione italiana all’estero, soprattutto verso i paesi europei. L’attenzione della Farnesina però è forte anche verso le comunità in altri continenti, legate ad altri e meno recenti fenomeni emigratori. Lo dimostra l’apertura della nuova cancelleria consolare a Montevideo, che avverrà alla fine di questo stesso mese”.
Che tipo di visione, in termini di presenza e supporto, ha questo governo rispetto alla situazione del Regno Unito e i suoi rapporti con l’Europa per gli anni a venire?
“La decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione europea ha chiaramente creato una cesura. C’è un ‘prima’ e un ‘dopo’ e non è una situazione ideale, naturalmente, specie per chi, come me, lavora da sempre per un’Europa sempre più integrata, seguendo un’ottica e un ideale federalisti. Insomma, è una decisione che abbiamo subito e che va gestita da tutte le parti con la massima flessibilità e spirito di adattamento.
Il mio giudizio politico sulla Brexit è netto: si tratta di un ‘lose lose game’, una situazione in cui tutti perdono. L’Unione europea ha comunque superato l’uscita del Ragno Unito rilanciando la propria unità d’intenti sulla pandemia e, ancora più recentemente, sull’aggressione della Russia putiniana all’Ucraina – candidata all’ingresso nell’Unione europea.
Possiamo dire che la guerra d’aggressione della Russia di Putin contro l’Ucraina ha dimostrato che le democrazie occidentali, nei momenti cruciali della storia, sanno dare una prova di unità d’intenti importante. Il Regno Unito è un tassello importante, da sempre, per il mondo occidentale e liberaldemocratico, nonché per le alleanze militari e della politica estera italiane. Il governo intende rafforzare sempre di più questa relazione che è profonda fin dagli albori della nostra unità nazionale.
La storia, sia paradossalmente con la stessa Brexit, sia con l’aggressione russa nel cuore dell’Europa, sta dimostrando, anche agli inglesi, che il rapporto con l’Unione europea deve rimanere, nell’interesse di entrambi, il più stretto possibile. È necessario risolvere insieme i problemi e per fare fronte comune, insieme agli altri amici e alleati, contro le minacce ai valori di libertà e democrazia che condividiamo. Vedremo se il nuovo governo saprà affrontare con più spirito collaborativo anche i nodi rimasti, come quello del protocollo sull’Irlanda del Nord”.