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Donne coraggio: vittime dei vili

La settimana scorsa nella rubrica “Cancro di Stato” con Vincenzo Musacchio, giurista, criminologo e docente di diritto penale, si sono affrontate diverse problematiche concernenti la criminalità organizzata

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A tal proposito, da ricordare due donne simbolo della lotta all’usura.

Franca Decandia , morta quest’anno, ha dedicato tutta la sua vita alle vittime di usura, mafia e racket.
Ancora oggi aveva denunciato l’incapacità della politica di difendere chi è vittima di usura e delle mafie.

Emanuela Alaimo, morta nel dicembre del 2021.
Titolare del bar del Bivio: donna simbolo contro l’estorsione.
E a proposito di donne coraggio, come non ricordare:

Lea Garofalo, uccisa dalla n’drangheta perché voleva dare alla figlia una vita migliore

Professore, perché nonostante il delitto di usura vigente nel nostro ordinamento giuridico, questo crimine si espande a macchia d’olio?

-L’usura è il delitto “spia” più evidente delle infiltrazioni mafiose, ciò anche in corrispondenza della crisi economica che ha colpito le imprese italiane in questi ultimi due anni.

Le estorsioni destano non poche preoccupazioni, anche se va detto che i sistemi estorsivi adottati dalle nuove mafie sono diversi dal passato e sono caratterizzati dalla minore violenza.

Il ruolo dell’ariete per impadronirsi delle aziende e delle imprese lo svolge a pieno titolo l’usura.

Le nuove mafie quando s’impossessano di fette dell’economia usano nuove strategie.

Nell’usura e nelle estorsioni, per esempio, quando inglobano una nuova attività economica invece di estromettere il precedente proprietario lo lasciano al suo posto e lo usano come testa di legno concedendogli anche una parte dei guadagni.

È ovvio che in simili situazioni l’omertà ceda il posto alla complicità.

Quanto ha inciso la pandemia su questo cancro sociale?

-Ha inciso purtroppo pesantemente. Le mafie ormai sono fenomeni transnazionali.

In Italia, con migliaia di imprese chiuse, bar, ristoranti e negozi, molte categorie di lavoratori sono state profondamente colpite dall’emergenza e le mafie ovviamente sguazzano su queste tragedie cercando di consolidare il loro potere sociale distribuendo qualsiasi tipo di beneficio economico nella comunità.

La criminalità organizzata ha sempre avuto benefici dai periodi di emergenza.

Basti pensare a tutte le ricostruzioni post-terremoto o alle
emergenze rifiuti che si sono avute in Italia.

Con i suoi immensi flussi di denaro pubblici le organizzazioni mafiose sono state presenti ovunque, infiltrandosi negli appalti con imprese proprie o contigue.

Le mafie non tralasciano nessun settore produttivo e investono nel settore agroalimentare e della grande distribuzione di prodotti ortofrutticoli così come in quello della sanità e delle costruzioni.

Storie di donne che denunciano l’assenza delle istituzioni, una volta denunciati i loro carnefici.

Condotta paradossale oltre che vergognosa, visto che viviamo in uno Stato sempre in difesa della donna, nonché di diritto.

E a proposito di Stato, quali sono le falle e di conseguenza i rimedi da adottare per evitare tragici epiloghi come quelli di Lea Garofalo o lotte estenuanti come quella della Decandia?

-Io non ne farei una questione di genere. In uno Stato di diritto come il nostro, denunciare le mafie dovrebbe essere un normale dovere morale e civile di tutti, da tutelare e indicare come esempio.

In Italia, purtroppo, sempre più spesso, non è così.

Le conseguenze di questa anomalia addirittura ricadono su chi
compie questo dovere e sulla sua famiglia.

Lo Stato non dovrebbe mai abbandonare chi si schiera dalla
parte della giustizia e della legalità, anzi, dovrebbe proteggere chi denuncia attraverso leggi appropriate, combattendo effettivamente la mentalità mafiosa che predilige il silenzio e l’omertà.

La paura di essere abbandonati è lo stato d’animo più ricorrente per chi vuole denunciare, questa paura deve scomparire e
accadrà soltanto se lo Stato farà il suo dovere.
Storie di donne, di madri, che lottano per garantire un futuro migliore ai loro figli.

Quei figli che sono destinati a diventare vittime di un mondo nel quale si sono ritrovati perché nati in quella famiglia o perché nati dalla parte sbagliata, quella che ricopre il ruolo di preda anziché predatore.

Professore, cosa si può, ma soprattutto cosa si deve fare: dalla famiglia allo Stato, per evitare che piccoli innocenti diventino futuri criminali o restino vittime degli stessi?

-Guardi a me è capitato un episodio quando sono stato in una scuola in Calabria.

La mogli di un boss della ‘ndrangheta mi chiese cosa potesse fare per impedire che il suo unico figlio maschio potesse diventare boss della cosca di cui il marito era il capo assoluto.

Una cosa molto potente e un cognome che in Calabria fa paura.

La soluzione è allontanare i boss dai loro figli agendo sul principio della responsabilità genitoriale (art. 316 c.c.) il quale sancisce il diritto del minore a ricevere una corretta educazione orientata a “sviluppare un senso di responsabilità morale e sociale conforme ai principi consacrati nella Costituzione.

Offrire questa possibilità di salvezza a molti ragazzi nati nelle famiglie di mafia, di fatto, impedisce, e impedirà in futuro, che tanti bambini possano diventare inconsapevoli vittime di mafia.
Nessuno nasce mafioso, mafiosi si diventa.

Questi ragazzi sono vittime sacrificali perché respirano fin da piccoli l’aria della violenza e della prevaricazione, devono controllare le loro emozioni e le loro aspirazioni per non deludere il “padre-padrone-boss.

A loro è insegnato a uccidere partendo da innocenti
animali fino ad arrivare agli esseri umani, gli è inculcato dalla nascita che il loro nemico è lo Stato.

Non hanno altra possibilità non possono scegliere il loro futuro, sono costretti a ubbidire senza fiatare.

Inesistenza di una “possibilità di scegliere il loro futuro, costretti a ubbidire senza fiatare”.

Frase che sa di sconfitta di una società sedicente civile e di fallimento di uno Stato che si considera di diritto e in cui, per di più, la tutela dei giovani è costituzionalmente riconosciuta.

Rita Lazzaro

 

 

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