Con Alice Natoli, psicologa e psicoterapeuta, in occasione della rubrica “L’Umana violenza”, si è analizzato sotto un profilo psicologico\forense, il caso concernente il suicidio in carcere di Davide Paitoni, il padre che ha ucciso il figlio di soli 7 anni nel giorno di Capodanno nella sua casa di Varese.
Un crimine efferato in cui un padre ha sgozzato il figlio, nascondendone il cadavere nell’armadio insieme ad un biglietto con il quale confessava tutto, in particolar modo il “disprezzo” per la ex moglie.
Non per nulla, pare che dietro il gesto estremo, non ci sia il rigetto della richiesta di perizia psichiatrica, ma la volontà di lasciare irrisolti gli interrogativi alla madre di suo figlio.
A tal proposito, continuiamo ad analizzare questo crimine efferato, sotto un’altra prospettiva: quella giuridica.
Analisi che sarà fatta, sempre in occasione della rubrica “L’Umana Violenza”, con Angelo Ruberto, avvocato penalista con studio a Bologna e Presidente di Rete Nazionale Forense.
Avvocato, le pongo la stessa domanda fatta alla dottoressa Natoli:
condivide o meno il fatto che sia stata rigettata la perizia psichiatrica?
A tal proposito, a suo avviso, chi si macchia di simili atrocità è un soggetto recuperabile e in che modo?
“Non conoscendo le carte processuali, non posso dire se condivida o meno la scelta del giudice di rigettare la richiesta di perizia psichiatrica.
Con il senno del poi sembrerebbe che sarebbe stata necessaria!
La nostra Costituzione prevede che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato ed al reinserimento nella società, pertanto in linea di principio anche chi commette delitti atroci deve poter aspirare ad un suo recupero”.
A proposito di aspetti giuridici, cosa pensa degli arresti domiciliari nonché di un rito abbreviato previsto per chi tenta di commettere un omicidio? Ma soprattutto, qual è la sua posizione nel far sì che un figlio abbia rapporti con chi è considerato pericoloso? E stando così le cose, la domanda sorge sponte: è una tragedia che si sarebbe potuta ma soprattutto dovuta evitare e in che modo? Precisamente con quali riforme o mere applicazioni di norme?
“Il rito abbreviato, cosi come l’applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento) sono riti speciali premiali che a fronte della rinuncia dell’imputato di far accertare la propria colpevolezza attraverso il dibattimento – in contraddittorio tra le parti – PM e difesa – davanti ad un giudice terzo, lo Stato riconosce allo stesso uno sconto di pena.
A mio avviso, i riti premiali sono una palese sconfitta dello Stato, il quale non riuscendo a chiudere i processi entro i tempi ragionevoli previsti dalla carta costituzionale “La legge ne [del processo] assicura la ragionevole durata», dice il primo testo. «Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole”… concede uno sconto di pena all’imputato che rinuncia al dibattimento.
Se il processo penale fosse rapido e poco costoso, probabilmente non avremmo questi riti.
Dopodiché la scelta su quale tipo di reati ammettere la definizione del processo con i cd. riti alternativi premiali, è una scelta politica.
Su quali siano le riforme necessarie, il discorso è lungo.
Ma prima delle riforme sarebbe necessario concedere l’amnistia e l’indulto.
Perché se non li liberano gli armadi dei giudici di processi per reati cd. bagatellari, qualsiasi riforma si impantana nei meandri dell’eccessiva durata dei dei processi, eccessiva durata che a volte può comportare che reati magari gravi vengano puniti ad una distanza di tempo talmente lunga che la persona condannata non è più quella che ha commesso il reato”.
Una giustizia che, a quanto pare, presenta ancora tante, troppe falle.
Chissà… forse è per questo motivo che i reati non si arrestano e i cittadini hanno sempre meno fiducia nella res publica.
Tanto da riflettere ma soprattutto da fare.
Rita Lazzaro