Studente si suicida all’università, prima scrive al Rettore: “Paura di perdere la borsa di studio”
Un ragazzo di trent’anni si è tolto la vita all’Università di Pavia: prima di compiere l’estremo gesto, ha scritto una lettera al Rettore.
Aveva paura. Paura di poter perdere la borsa di studio, di non poter continuare a vivere nell’alloggio dell’Ateneo: sono queste alcune cose che uno studente di trent’anni della facoltà di Medicina in inglese dell’Università di Pavia ha scritto in una e-mail prima di togliersi la vita. Una lettera che aveva inviato al quotidiano “La Provincia Pavese” – che ne ha pubblicato alcuni stralci – e al Rettore.
(Fonte Fanpage)
Un male silenzioso
Una notizia amara e a maggior ragione se si versa in una realtà in cui ogni anno 200 giovani si tolgono la vita per bullismo e fallimento scolastico: queste le cause principali di condotte estreme che colpiscono i giovani e i giovanissimi.
Situazioni che, seppur con differenze abissali, hanno un tratto in comune: un’eccessiva pressione sociale che, se associata alla sensazione di sconfitta individuale, può trasformarsi nell’innesco per gli istinti suicidari. Skuola.net si è concentrata sull’ultimo anno. E il quadro che emerge è davvero allarmante:
L’università è il ‘palcoscenico’ tristemente più utilizzato per mettere in scena il proprio saluto al mondo.
Tra gli episodi vi è quello avvenuto a Fisciano, nel Campus dell’università di Salerno, dove una ragazza trentenne (Daniela il suo nome) si è lanciata dal quarto piano del parcheggio multipiano. Lei aveva mollato la facoltà di Medicina da qualche anno, per via di una depressione – forse causata dalle difficoltà nel dare gli esami – che le impediva di andare avanti. I genitori, però, credevano che stesse valutando di riprendere l’università. Invece no: il suo ritorno in quel luogo era per mettere la parola fine laddove era tutto iniziato.
Prima di Daniela lo stesso destino è toccato a una 25enne, anch’essa iscritta a Medicina, morta nel maggio 2019 dopo alcuni giorni di agonia, a causa delle ferite che si era autoinflitta con un coltello da cucina.
Mentre nel 2017 due ragazzi ancora più giovani, un 19enne e un 21enne, a distanza di pochi mesi si lanciarono nel vuoto, rispettivamente dalle scale della biblioteca e (di nuovo) dal parcheggio multipiano.
A proposito di Medicina, è eloquente un post Facebook pubblicato da una collega di facoltà di Daniela all’indomani della sua morte: “I successi sono bellissimi – si legge in un passaggio – Ma smettetela di pensare che è semplice. Ognuno fa i conti con i suoi ostacoli, con i suoi limiti. Fateci un favore: chiedeteci come stiamo, se vogliamo prendere un caffè; non chiedeteci quand’è l’esame, se siamo preparati…”
La competizione sfrenata e le aspettative. Le stesse che sembrano all’origine del suicidio di Manlio, il 25enne viterbese che studiava medicina a Pavia: lui si è impiccato, nel novembre scorso, nella casa che divideva con altri ragazzi, a cui avrebbe mandato un messaggio che annunciava il gesto; non riusciva a sopportare di essere in ritardo con gli esami. La sua vicenda ricorda da vicino quella di una 26enne studentessa a Perugia che a uno degli ultimi esami, sempre di Medicina, non sapendo rispondere a una domanda del professore, ha rinunciato a proseguire il colloquio. Ma la delusione ha lavorato, e si pensa che l’abbia portata, dopo pochi minuti, a gettarsi dalle scale dell’ospedale umbro. Era luglio 2019. Coincidenze? Niente affatto: secondo uno studio della rivista Student BMJ (condotto nel Regno Unito), tra gli iscritti a questa facoltà, 1 su 7 ha pensato almeno una volta al suicidio mentre 1 su 3 ha riscontrato problemi di salute mentale.
Non aveva superato un esame di Ingegneria, invece, il 20enne che a settembre 2019, a Genova, appena uscito dalla facoltà si è buttato dal piano rialzato di un parcheggio vicino all’ateneo. Qualche mese prima – a marzo – una 30enne di Palermo si era suicidata gettandosi dal balcone di casa, al settimo piano: avrebbe dovuto discutere la tesi di laurea l’indomani.
(Fonte: skuola.net)
Osservazioni del professionista
Paura, ossessione per la perfezione, competizione, fingere una vita che in realtà non esiste, situazioni che provocano una tale pressione da portare giovani vite a trovare la soluzione nel suicidio.
A questo punto la domanda è tanto scontata quanto amara:
Perché hanno luogo certi stati d’animo e condotte che si intensificano al punto da portare a commettere gesti estremi?
A questa e alle prossime domande, in occasione della rubrica “La Speranza Spezzata”, risponderà Stefano Callipo, presidente nazionale dell’Osservatorio Violenza e Suicidio, psicologo clinico, giuridico e psicoterapeuta.
“Quando un ragazzo arriva a togliersi la vita per un esame non superato o per ritardi degli esami,spesso significa che quell’esame non dato, quella bugia detta costituiscono eventi precipitanti di una situazione che si è strutturata nel tempo, eventi precipitanti che hanno elicitato il gesto suicidario.
Lo stato d’animo presente può essere una delle manifestazioni del dolore mentale del ragazzo, come sintomi depressivi, ritiro sociale, anedonia, disturbi del sonno e altro.
In Italia ogni anno si tolgono la vita circa 200 under 24, e tale dato non tiene conto dei tentativi di suicidio, un aspetto della realtà giovanile preoccupante.
Gli studenti – di liceo ma soprattutto di università – rappresentano una delle categorie più esposte.
Non sono rari i casi di ragazzi in procinto di laurearsi che si tolgono la vita e poi si scopre che sono stati dati soltanto pochi esami se non nessuno.
I soggetti maggiormente a rischio sono quelli fuori corso.
Il peso di non riuscire a superare gli esami sommato al quadro complesso di bugie volti a celare la situazione scolastica sommate alla frustrazione nei confronti degli amici che si laureano possono costituire, in specifiche situazioni e in ragazzi con particolari fragilità, la miscela propulsiva di un gesto suicidario.
Una forma di malessere a volte difficile da cogliere se non troppo tardi.
In realtà gran parte dei ragazzi che compiono un atto suicidario lanciano dei segnali prodromici al gesto, dei campanelli di allarme che se colti in tempo possono fare la differenza tra la vita e la morte”.
Perché queste tragedie colpiscono più certe facoltà di altre?
“Non esiste un’evidenza scientifica che privilegi una facoltà rispetto alle altre riconducibile a suicidi di studenti, se non dati statistici.
Tuttavia, a volte, facoltà particolarmente impegnative la cui difficoltà viene sottovalutata al momento della scelta può creare serie difficoltà; tuttavia mi preme sottolineare ancora quanto sia importante comprendere che il malessere del ragazzo nasce molto prima dell’esame non superato per il quale si toglie la vita.
A volte si sceglie un percorso di studio faticoso per non deludere le aspettative genitoriali – non è raro scegliere facoltà e mestiere del proprio padre, per fare un esempio – o ancor più semplicemente per dimostrare agli amici o a se stessi di laurearsi nei tempi.
L’immagine che si vuole dare di se stessi a volte quando non corrisponde a quella reale può avere un altissimo costo.
Un gesto estremo rappresenta quasi sempre non una ricerca di morte ma la fuga da una realtà che non piace più, da cui si vuole fuggire perché fonte di un forte dolore mentale non più sopportabile.
Suicidio quindi viene visto dal ragazzo come unico strumento di interruzione di tale dolore mentale.
In tal senso si può e si deve fare molto, ponendo il focus attentivo sulla prevenzione nei luoghi in cui vive e si forma il ragazzo, ovvero nelle scuole, nei luoghi di aggregazione e nelle famiglie.
Perché 200 vite di giovani perse ogni anno in Italia non sono tollerabili”.
Infatti non può che definirsi “non tollerabile” un malessere che prevale in giovani vite al punto di portarle alla morte, in quanto espressione del fallimento di una società e dell’assenza di chi dovrebbe esserne alla guida.
Rita Lazzaro
Redazione Corriere di Puglia e Lucania