Annoverata tra le discipline più amate e praticate nel nostro Paese, l’attività schermistica medievale gode di manuali istruttivi definibili “pietre miliari” nell’ambito dell’insegnamento della scherma storica, nonché pilastro fondamentale della scuola italiana: è questo il caso del “Flos Duellatorum”, antico trattato scritto da Fiore de’ Liberi da Premariacco.
Assai scarsi appaiono i cenni biografici relativi a questo manoscritto medievale, vero e proprio manuale istruttivo per gli amanti ed i praticanti della Historical European Martial Arts (HEMA)
Notizie incerte si hanno sull’anno di redazione de Fiore de’ Liberi da Premariacco (o, più comunemente, conosciuto come Fiore dei Liberi), ma esso lo si può dedurre dalle informazioni che l’autore riportò nel celebre trattato scritto di proprio pugno.
Il maestro, infatti, affermò di avere, al momento della pubblicazione, più di quarant’anni d’esperienza nell’arte della scrima e di aver avuto il suo primo approccio alle armi in giovane età; questo ci induce a definire la sua data di nascita al 1350 circa. La sua data di morte non è conosciuta, ma si presume che sia avvenuta attorno e non oltre il 1420.
Sappiamo, di certo, che nel 1383 è impegnato sui campi di battaglia, combattendo tra le fila comunali udinesi contro le truppe papali, e almeno fino al 1384 è alle dipendenze della camera dei Comuni, come esaminatore e conservatore delle “balestre e altri ordigni atti a saettare”.
Fiore è considerato il più influente maestro d’arme della scuola italiana, anche se sappiamo di certo che questa figura era tutt’altro che rara ai tempi. Egli stesso afferma: “…de tuto quello che noy avemo vecudo de multi magistri e scholari e armecaduri e duchi principi marchesi conti chavalieri e schuderi e de altri innumerabilli homeni de diversse provincie e anchora cosse trovade da noy…” e cita tra i suoi maestri un certo Giovanni, detto Suveno, a sua volta allievo di Niccolò da Metz.
La sua fama lo portò a visitare alcune delle corti più influenti, tra cui Ferrara, Pavia e Mantova.
Inoltre non era affatto raro per Fiore dimostrare il suo valore. Lo storico Liruti dice in merito: “sostenne in riputazione la sua arte cinque volte contro alcuni maestri di scherma, che per invidia gli fecero disfide (…) e che egli in tal guisa perfetto in quest’arte, che da molti principi e cavalieri fu ricercato per maestro, e seppe tanto bene gli ammaestramenti con segretezza e, come dice egli occultamente, con particolari sue invenzioni e colpi segreti, che i medesimi negli incontri non rimanessero mai perditori, anzi sempre con onorate vittorie.”
Proprio a Ferrara, per desiderio di Niccolò III d’Este suo allievo, Fiore dei Liberi comporrà il suo trattato chiamato Flos Duellatorum, o più precisamente “Flos Duellatorum in armis, sine armis, equester et pedester”.
Dell’opera sono giunte a noi più versioni, ma tutte frammentate: una conservata presso il Getty Museum di Los Angeles, un’altra conservata presso la Collezione Morgan di New York, e un’altra ancora conservata in Italia, presso la collezione Pisani-Dossi in provincia di Milano, ma solo in fac-simile, dato che l’originale fu distrutto durante il XX secolo.
Il manoscritto conservato presso la collezione Ludwig del Getty Museum (ms. Ludwig XV.13), viene identificato anche con il nome di Fior di Battaglia. Scritto in bastarda italiana, risulta privo di rilegatura, e presenta testi in prosa, allineati su due colonne.
Ogni sezione del testo illustra le tecniche eseguite con determinate armi ed è aperta da un magistro con la corona sul capo.
Il magistro viene seguito dai magistri remedy che mostrano l’applicazione delle tecniche contro gli zugadori. Le varianti sono mostrate dagli scolari, contrassegnati da una fascia dorata sotto il ginocchio, mentre le contro-tecniche sono mostrate dai contrari, individuati dalla corona sul capo e dalla benda sotto il ginocchio.
La copia presente presso la collezione Morgan (M.383), è anch’essa redatta in bastarda italiana ed è corredata da illustrazioni a penna. Presenta le medesime iconografie e i testi, scritti in prosa, che fungono da glossa per le immagini che si susseguono.
La copia Pisani-Dossi è l’unica delle tre ad essere scritta in versi, probabilmente perché il possessore dell’originale era il suo committente, Niccolò III d’Este.
Perduto all’inizio del 900, è sopravvissuta in fac-simile grazie alla pubblicazione nel 1902 ad opera di Marco Novati. Poche sono le informazioni su questa versione, e ci si basa sulla descrizione che ne da il Novati nella sua edizione; infatti egli afferma che fu, senza alcun dubbio, redatto a Ferrara nell’A.D. 1410.
Ugualmente scritto in lingua bastarda italiana, salta subito all’occhio una differenza consistente nel fatto che la mano che compone sia diversa dalle altre due.
L’opera presenta, inoltre, un prologo in latino, seguito da uno in lingua volgare; entrambi sono presenti anche in prosa e, persino le illustrazioni, presentano qualche differenza stilistica rispetto alle altre edizioni.
E’ opinione comune attribuire il destinatario di questa copia a Niccolò III d’Este; tuttavia è mera presunzione la destinazione delle altre due agli allievi di Fiore.
Per quanto concerne il contenuto, invece, l’opera affronta diverse tipologie di combattimento: vi sono, infatti, tecniche di lotta a mani nude con la sola daga o con bastone, con la lancia a cavallo e a piedi (equester et pedester), con spada in armatura e senza armatura (in armis e sine armis), con spada a cavallo, disarmato contro lancia a cavallo e addirittura mani nude a cavallo.
La produzione è, ancor ‘oggi, considerato un “sacro” testo nell’ambito schermistico ed il testo fondamentale della scuola italiana: esso primeggia per autorevolezza tra i manuali fondamentali della scherma ed è oggetto di studio da parte di molti praticanti dell’ambito HEMA.