Oggi vi parlerò dell’uso di barbe e baffi nel medioevo, argomento che ho approfondito in virtù degli studi di Gianmarco Cima (facoltà di Scienze Storiche dell’Università degli Studi della Calabria). L’argomento è davvero particolare e curioso. Di solito, infatti, gli storici si occupano di battaglie, personaggi ed eventi. Di certo, non di barbe: in ogni caso importanti elementi in quanto, come riflette l’autore del brevissimo saggio “non solo semplice insieme dei peli che coprono le guance e il mento, ma simbolo di potere, di virilità e di saggezza.”
Anche J. G. Frazer, nel celebre Ramo d’Oro ne evidenziava l’importanza attestata da una molteplicità di rituali legati alla cura e al mantenimento. Ad esempio, presso alcune comunità indigene dell’Australia, per farsi crescere la barba, gli uomini si punzecchiavano il volto con bacchette o pietre ritenute magiche. Inoltre, facendo fede al principio magico di similarità o imitazione, tutti gli “scarti” (ritagli di barbe, capelli o unghie) di una persona, specie se importante (sovrani, alti sacerdoti), venivano sottoposti a particolari riti di smaltimento o conservazione per non diventare, nelle mani sbagliate, il tramite di maledizioni o incantesimi oscuri. Nel Levitico (19,27-28) è vietato agli ebrei di tagliarsi la barba e nel Libro dei Giudici è ben descritto il voto di Sansone di non radersi i capelli.
I romani, con le dovute eccezioni, non portavano la barba.
Dopo il 476 d.C, con il dilagare dei germani nell’ex Occidente romano, si introdussero nuovi usi e costumi, tra cui il trend dei volti barbuti. Infatti, capelli e barbe, con le diverse lunghezze di sorta, rispecchiavano le gerarchie sociali dei nuovi conquistatori. La barba, in particolare, era simbolo di potenza ed autorità.
Infatti, gli schiavi, ne erano privi.
I Longobardi erano chiamati così per i lunghi baffi e le folte barbe in onore di Wotan, dio della guerra. Anche i Vichinghi portavano la barba per imitare Odino, l’equivalente del Wotan longobardo, dio guerriero e barbuto.
A differenza delle altre comunità, i Franchi portavano solo baffi sottili, arricciati con un pettine. Solo i re Merovingi avevano anche barba e capelli fluenti. Quest’usanza fu diffusa con i Pipinidi (e i Carolingi) grazie all’alleanza con il papato, ripristinando gli usi romani. Un caso particolare fu quello di Carlo Magno. Anche se raffigurato con barba e capelli lunghi, in realtà veniva descritto dal biografo Eginardo solo con mustacchi fluenti e capelli corti.
Nell’Impero Romano d’Oriente, l’iter della barba fu un altro. I primi imperatori di Costantinopoli non portavano la barba essendo di lingua e cultura latina. Solo con Eraclio, nel VII secolo, se ne ufficializzò l’uso in asse con la completa grecizzazione dell’Impero. I bizantini, si distinsero così dai latini sbarbati e da eunuchi e castrati, privi di peli.
Anche Cristo, nell’arte bizantina viene ritratto con una lunga e fluente barba, seppur i Vangeli non abbiano mai riportato alcun dettaglio sul suo aspetto fisico. Come i sacerdoti ortodossi, anche gli Arabi musulmani erano barbuti in segno di devozione verso Maometto.
Ma la Chiesa? In Occidente, si pronunciò contro i capelli lunghi e i monaci, fin dal VI secolo, furono obbligati alla tonsura in segno di umiltà. Nel 1073 papa Gregorio VII, vietò barba e baffi, raccomandando lo stesso anche al popolo. Fece di più l’arcivescovo di Rouen nel 1096, scomunicando i barbuti. Anche le autorità ecclesiastiche veneziane fecero lo stesso nel 1102. Nel XII secolo fu Bernardo di Chiaravalle a scagliarsi, anche contro l’uso della parrucca per le donne, a suo dire invenzione del maligno. Il XIII e XIV secolo rappresentano un periodo di crisi per la barba portata solo dagli intellettuali e dagli anziani. Bisognerà attendere il Rinascimento per una maggiore libertà dei costumi.