Principale Attualità & Cronaca Violenza “Jill The Ripper” e le morti bianche dell’Inghilterra vittoriana

“Jill The Ripper” e le morti bianche dell’Inghilterra vittoriana

Con l’ascesa al trono della regina Alexandrina Victoria, erede di Guglielmo IV e sovrana del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, si registrò un prospero periodo sul piano economico favorito dai progressi di matrice industriale che ebbero luogo in quegli anni. L’epoca d’interesse fu caratterizzata da un rigido codice etico e morale – il cui stipite si fa risalire alla persona del Lord Protettore Oliver Cromwell – il quale definì rigidi valori che, richiamando il cripto-feudalesimo basato sull’onore, avrebbero connotato i c.d. “doveri d’élite”.

All’ombra della realtà puritana – la quale poneva il veto sulle delicatissime tematiche sociali che avrebbero destato scandalo – vi erano degli argomenti, oggetto di cicaleccio e discussione domestica che sorgevano in una realtà apparentemente lontana dalle convenzioni raffinate dell’alta società del tempo.

Queste contraddizioni portarono gli storici a coniare il termine “Victorian Compromise”, che pose in risalto le numerose piaghe sociali tra le quali si annoveravano la prostituzione delle donne definite “decadute” e lo sfruttamento della manodopera minorile impiegata anche per il conseguimento di finalità definibili contra legem.

La letteratura del tempo ed il romanzo sociale vittoriano ricalcano questo degrado denunciando, all’ombra della lussuosa epoca compianta, l’alto tasso di povertà e di delinquenza sofferto dal Paese.

Nel filone letterario dei romanzi sociali, ritenuti fonte attendibile ed inoppugnabile per l’analisi della situazione sociologica, spiccano i capolavori dello scrittore Charles Dickens, tra i quali si ricorda “Le avventure di Oliver Twist”, sottotitolato “The Parish Boy’s Progress” (lo sviluppo dell’orfano) ed altri romanzi nati dai pennini dei più illustri letterati coevi all’epoca d’interesse.

La condizione femminile del tempo richiedeva che la donna, soprattutto se proveniente dai ceti più abbienti, dovesse mantenere un determinato senso del decoro e, obbediente – dapprima al padre e, successivamente, al suo sposo – doveva ritenersi un vero e proprio “tempio di purezza”.

Socialmente condannato era, quindi, qualunque comportamento “deviante” che si ponesse in disarmonia con le aspettative del tempo: gravidanze indesiderate ed illegittime, adulterio e rifiuto della condizione di soggezione rispetto al padre od al marito poteva comportare gravi rischi per la reputazione familiare e per quella della stessa donna.

Durante l’età della seconda industrializzazione, agli eleganti salotti della Gran Bretagna neogotica del regno di Victoria e alla bellezza osteggiata dall’arte e dalla moda, si ponevano in antagonismo alcune situazioni che, oltre a turbare l’equilibrio di valori sociali e morali del tempo, si costituirono come nevi della società puritana lasciando un segno indelebile nella storia della cronaca nera europea e mondiale.

È questo il caso di Amelia Elizabeth Dyer, colpevole di numerosissime morti bianche avvenute nell’Inghilterra vittoriana.

“Jill the Ripper”, così soprannominata dal gergo giornalistico del tempo, nacque a Bristol nel 1838 da Samuel Hobley, noto calzolaio del posto, e da Sarah Weymouth.

Sua madre, affetta da gravi disturbi mentali, morì quando Amelia Elizabeth aveva solo dieci anni; l’evento, tuttavia non pregiudicò in modo significativa il suo processo di formazione ed istruzione: la fanciulla, infatti, oltre a ricevere un’educazione scolastica si interessò vivacemente alla poesia ed alla letteratura.

Nel 1861, a seguito del suo trasferimento nella Trinity Street di Bristol, conoscerà George Thomas col quale, successivamente, si coniugò.

Negli anni che seguirono il matrimonio Amelia intraprese lo studio di pratica medica ed ebbe importanti commissioni dalle più importanti famiglie del tempo: ella, in cambio di cospicue somme di denaro, teneva nascosti i segreti che avrebbero pregiudicato la reputazione delle famiglie altolocate destando, così, scandalo.

I segreti custoditi dalla donna riguardavano, perlopiù, le nascite di bambini concepiti al di fuori del matrimonio e, dunque, dichiarabili illegittimi.

Questa pratica assai frequente nella società del tempo portò la donna ad un arricchimento privo di scrupoli che dovette, poi, affinare nel 1869 in concomitanza con la dipartita del marito.

Rimasta vedova a soli trentadue anni, con sua figlia Ellen da mantenere, la donna decise di abbandonare l’arte infermieristica esercitata sino a quel momento per dedicarsi all’attività materna di allevatrice presso il proprio domicilio; moltissimi erano gli infanti che le venivano affidati da famiglie abbienti o donne nubili che necessitavano di nascondere la nascita dei propri figli naturali per ragioni legate al pudore od al ceto sociale del quale facevano parte potendo, questi eventi, ledere la salvaguardia della reputazione o modificare, in maniera non gradita, la successione ereditaria.

L’attività redditizia di Amelia Dyer consisteva nell’ospitare le donne partorienti, con il successivo onere di curare il neonato nel periodo intercorrente tra la nascita e l’adozione;  a seguito della ricezione della somma di denaro pattuita per il lavoro svolto e per la cura dell’infante in affido, la donna lasciva morire di fame l’affidato, ormai ritenuto inutile per il raggiungimento dell’illecito scopo di lucro dalla donna perseguito.

Secondo le ricostruzioni delle indagini condotte dalla polizia inglese, ai bambini venivano somministrate grandi dosi di alcool, accompagnate da sostanze oppiacee che ne causavano la prematura e desiderata morte; I referti autoptici sottoposti all’attenzione degli inquirenti del tempo dichiararono, altresì, che non raramente la morte sopraggiungeva a seguito del deperimento per stenti.

A sporgere denuncia nei suoi confronti fu un medico, insospettito dalle numerose e strane circostanze che portavano alla morte dei bambini affidati alle cure della signora Thomas.

L’accusa mossa nei confronti della donna fu quella di infanticidio di un numero che parrebbe compreso tra i duecento ed i quattrocento infanti.

La giuria chiamata ad esprimersi circa la colpevolezza della donna emanò il suo verdetto in soli quattro minuti, condannandola alla pena capitale; alcun riconoscimento attenuante vi fu per la condizione di incapacità psichica della donna causata dall’abituale utilizzo di sostanze alcoliche e stupefacenti.

Il 9 giugno 1896, dopo alcuni anni dall’arresto, fu eseguita la condanna a morte per impiccagione della serial killer Amelia Dyer, avvenuta nelle carceri di Newgate, a Londra, ove era stata detenuta sino a quel momento.

Non mancarono, nelle ipotesi investigative degli inquirenti, le associazioni tra gli omicidi consumati da Amelia Dyer e quelli attribuiti al contemporaneo Jack lo Squartatore, ritenuti in più occasioni la medesima persona seppure, apparentemente, differivano per il modus operandi adottato, la tipologia o categoria di vittima scelta e per lo scopo.

Tuttavia, nei gialli che hanno interessato l’epoca vittoriana, questo risulta uno dei pochi che ha avuto un suo parziale epilogo, lasciando però nel dubbio – a distanza di due secoli – molte sparizioni di bambini dei quali mai son stati ritrovati i corpi senza vita e che ad oggi, probabilmente, giacciono in una fossa comune o son stati seppelliti sul fondale del fiume che sfocia nel Mare del Nord, il Tamigi.

Esso resta, dunque, lo scenario dei delitti, facenti parte della stessa serie, e definiti “Thames Torso Murders” o “Embankment Murders”;

questi omicidi comprenderebbero i cold cases che hanno interessato la cronaca vittoriana negli anni intercorrenti tra il 1887 ed il 1889 e che, ad oggi, restano irrisolti.

Amelia Dyer - Wikipedia

 

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