Oggi vi racconterò una storia molto curiosa.
Siamo in Francia, nel Duecento, sulle tracce di un culto spontaneo tributato non ad un essere umano ma ad un animale coraggioso.
Ad indagare sulla questione fu Stefano di Borbone, inquisitore domenicano della Dombes, regione della Francia orientale.
L’indagine condotta lo portò sulla tomba di San Guiniforte sulla quale i contadini portavano i figli malati nella speranza di un miracolo. La storia si tinse di diabolico quando l’inquisitore scoprì che questo santo era un levriero elevato a santo per il suo coraggio.
In effetti, l’animale era stato impavido salvando dall’attacco di un serpente il figlio del padrone, morendo poco dopo a causa di quello stesso morso velenoso risparmiato al fanciullo. Essendo morto ingiustamente e da “martire“, fu elevato alla santità dal popolo il quale, convinto della grandezza dell’animale, tornava sulla sua tomba per chiedergli la grazia.
Ad esempio, nel caso di infanti malati, c’era tutto un rituale particolare legato a concezioni medico – magiche popolari, dalle quali, il nostro inquisitore prese rigorosamente le distanze. Ma in cosa consistevano queste pratiche?
I genitori , una volta sulla tomba di Guiniforte, si premuravano di far passare i loro figli tra due tronchi d’albero rigorosamente nudi, circondati da candele e offerte. I bambini venivano lasciati da soli per qualche istante per poi essere gettati nel fiume Chalarone. Se non annegavano, erano guariti da qualsiasi male per intercessione del santo.
Questo rito serviva anche a scongiurare l’azione dei changelins, spiriti della foresta inclini a rapire i bambini sani sostituendoli con fanciulli malati. In questo modo, i genitori costringevano questi esseri a restituire i figli rubati tramite uno scambio.
Ovviamente l’inquisitore ordinò di dissotterrare il cane e abbattere gli alberi, ponendo fine alla venerazione dell’animale.
Testi consigliati.
Jean-Claude Smith, Medioevo “superstizioso”, Editori Laterza, 2005.