Principale Politica La Russa seconda carica dello Stato

La Russa seconda carica dello Stato

Ignazio La Russa

La Russa seconda carica dello Stato

di Evelyn Zappimbulso

Passato lo stupore e lo sconcerto di una giornata campale con testacoda, resta Ignazio La Russa presidente del Senato. L’avvertimento torvo di Berlusconi, che ha scelto di finire in bruttezza la sua parabola, riducendo la politica a un gigantesco e indecente Caso Personale, ha oscurato l’elezione di La Russa e assorbito le attenzioni degli osservatori. Ma ora, dopo l’infamia finita male, dopo il mistero del soccorso dalle opposizioni – chi, perché e a quali condizioni? – l’evento politico di La Russa seconda carica dello Stato, proclamato da Liliana Segre e col concorso esterno di molti oppositori di sinistra, resta memorabile.

Perché La Russa non è un parlamentare qualunque. E non solo per via dell’importante curriculum, l’importante famiglia da cui proviene ma perché piaccia o non piaccia, è l’esponente di Fratelli d’Italia che più rappresenta il cordone ombelicale con il Movimento Sociale Italiano e con la storia di quel partito, inclusa l’ispirazione fascista, già prima che diventasse Destra nazionale. Evitiamo sotterfugi e amnesie.

Sin da ragazzo Ignazio ha militato nella fiamma, è stato l’avvocato che difendeva i ragazzi di destra a Milano, ha rappresentato la continuità con la destra di Almirante e le sue radici. Come l’abbia rappresentata ognuno ha i suoi giudizi e quel piccolo mondo antico è più che mai diviso nelle versioni. La Russa è un personaggio controverso.

Nel Msi fu dalla parte di Pinuccio Tatarella, il più postfascista dei missini, il meno nostalgico e più politico. E con lui fu Maurizio Gasparri, che fu il suo gemello eterozigote nella destra tatarelliana, per decenni; e dev’essere stato doloroso per entrambi vedere Gasparri allinearsi al diktat del suo Capo e non votare l’amico fraterno di una vita alla Presidenza del Senato.

Dal punto di vista della satira, La Russa ha goduto di uno straordinario imitatore conterraneo, Fiorello, che lo rendeva simpatico e pittoresco; mentre Neri Marcoré distruggeva nella sua caricatura Gasparri, facendolo passare per un ebete asservito al Cavaliere. Non ha aiutato Ignazio il suo aspetto diabolico, il suo pizzetto caprino e la sua voce siculo-satanica con relativa risata infernale. Te lo vedi col tridente in mano a smistare ieri i dannati e oggi i senatori. Inconfondibile.

Era buffo, Ignazio, quando lo vedevamo fare coppia fissa da Ministro della Difesa col Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano; il già comunista insieme al già neofascista che passano in rassegna le forze armate. E La Russa un passo indietro, ne imitava la falcata, quasi volesse mimare o’Presidente. Con Napolitano accolsero la proposta (era partita da me, nel Comitato nazionale degli anniversari) di istituire il 17 marzo come festa dell’Unità nazionale. Poi fra molte ostilità, a partire dal presidente del consiglio Berlusconi, si decise di festeggiare solo il 150°compleanno dell’Italia.

Al momento della diaspora dopo il tradimento di Fini, La Russa mantenne la rotta dei reduci di Alleanza Nazionale e del Msi, e anziché accucciarsi sotto l’egida di Berlusconi o tentare spericolate avventure finite ai margini della politica; o partecipare – come fece Urso – al naufragio di Fini, tenne il timone diritto, puntò sulla giovane Giorgia Meloni e fondò con lei e col mastodontico Crosetto, Fratelli d’Italia.

Matteo Renzi li fotografò tutti e tre definendoli, spiritosamente, la Famiglia Addams. La Russa tenne le fila di quel mondo sfilacciato, si occupò della casa Madre, la Fondazione An, e seppe eclissarsi, con giudizio e senso politico, lasciando la scena alla Meloni. Ingoiò rospi, probabilmente, accettò declassamenti e ramanzine dalla fiammeggiante leader; ma ebbe l’intuito politico di capire che era il momento di passare alle retrovie e seguire la via della regia, come il suo mentore Tatarella, o perlomeno dell’assistenza alla regia. Poi c’è l’Ignazio mondano, femminiero e vitazzuolo, come i socialisti ai tempi della Milano da bere. Ma c’interessa poco.

Ieri tutti i giornali aprivano in modo manicheo, rappresentando il Bene e il Male che si scambiano le consegne: Liliana Segre che stringe la mano all’Orco fascista. Tutti a compatire il disagio della Signora. Nessun disagio, penso, se consideriamo che suo marito, Alfredo Belli Paci, ha militato nel Partito di La Russa ed è stato candidato nel Msi, al suo fianco. E restò con Almirante anche quando i “moderati” lasciarono il Msi fondando Democrazia nazionale. La Russa, nel suo discorso ecumenico, ha avuto la delicatezza di non ricordarlo.

In altri tempi, vedere La Russa presidente del Senato, che si toglie la camicia di parte, che molti definiranno nera, e indossa la toga di presidente di tutti, sarebbe stato considerato un segnale storico per la nostra Repubblica. Un momento di pacificazione nazionale e di superamento degli odii e della guerra civile, avrebbe detto Almirante. Ma siccome viviamo in bassa stagione, tra veleni, oblii e rancori, anche quel soffio di storia passerà inosservato. E oscurato dal caso Ronzulli, la statista mancata, che ieri ha rubato il ruolo di protagonista al neoPresidente.

Prima della sua elezione avevamo sentito i veleni di radio e tv esercitarsi tutti, in Collettivo, per gufare sulla sua elezione e sulla sciagura che si sarebbe abbattuta sul centro-destra. Uno spettacolo indecente di faziosità militante a più voci. Dedico la vittoria di La Russa a loro, e sono felice soprattutto per loro; poi, sottovoce, sono contento per i militanti di una vita, che a caro prezzo, hanno testimoniato la loro scelta dalla parte “sbagliata”. Ieri si è completato il tandem con Lorenzo Fontana, coerente cattolico e difensore della famiglia, eletto a Presidente della Camera. Infine, onore a Giorgia Meloni che ha saputo dir no al Faraone bollito, pur rischiando grosso; e ha respinto, almeno finora, l’idea di fare un governo con le collaboratrici domestiche.

Redazione Corriere di Puglia e Lucania 

Corriere Nazionale

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