Tanti relatori a La Nuvola di Roma, da Padre Stimamiglio a Beppe Giulietti, da Marco Tarquinio a Margaret Karram.
Mercoledi al Colosseo si è conclusa la tre giorni di incontri de “Il grido dellla Pace” organizzata dalla comunità di Sant’Egidio. Religioni e culture del mondo in dialogo sulla pace possibile attraverso interventi di grande spessore umano e mediatico, tra cui quello della Presidente del Movimento dei Focolari, dott.ssa Margaret Karram, di cui riportiamo il discorso al centro congressi dell’Eur.
Sono particolarmente felice di essere qui oggi e per questo ringrazio la Comunità di Sant’Egidio per avermi invitata ad essere parte di questo evento che ci permette di incontrarci per implorare il dono della Pace, o meglio: “gridarlo” come recita in modo molto efficace il titolo di queste giornate. Da anni è sotto gli occhi di tutti la forte crisi della globalizzazione; e specie da quando è scoppiata la guerra in Ucraina – senza dimenticare gli altri conflitti meno raccontati dai media – si parla di una frantumazione dei rapporti internazionali. Il mondo si presenta sempre più diviso e polarizzato.
In effetti, per decenni, in molte aree del mondo, la globalizzazione è stata percepita e spesso sofferta come risultato dell’influenza dei Paesi sviluppati; e non ha portato né inclusione, né pari diritti. Stiamo vivendo, come dice Papa Francesco, una “guerra mondiale a pezzi”; l’alternativa, come spiega nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, è una vera “pace mondiale” che non si accontenta di una pace “effimera”, riservata solo ad una “minoranza felice”, frutto di situazioni di squilibrio e dipendenza.
Questa sarebbe una pace senza futuro, perché conterrebbe in sé il “seme di nuovi conflitti e di varie forme di violenza”.
Una globalizzazione senza solidarietà ha creato maggiori diseguaglianze non solo tra Paesi e popoli, ma anche dentro gli Stati. Persino durante la pandemia, abbiamo assistito, ad esempio, alla tentazione del nazionalismo delle mascherine e degli stessi vaccini.
Per dirla con un’espressione cara a Papa Francesco, si sono moltiplicate le periferie, cioè gli esclusi, gli espulsi, gli scartati e non solo in senso economico, ma nel senso più profondo della negazione della dignità di ogni persona e del valore insostituibile di ogni popolo e di ogni cultura.
Eppure, il mondo in cui viviamo è già globalizzato, perché siamo partecipi di un destino comune. Pensiamo al cambiamento climatico, alla sicurezza alimentare, a quella energetica, ai rischi legati al commercio e all’uso degli armamenti.
La nostra patria comune è oggi l’umanità, oltre alla terra da cui proveniamo. Tuttavia, anche se spesso sperimentiamo la fragilità, facciamo molta fatica a prenderci cura gli uni degli altri. In una parola, più che della globalizzazione, avremmo bisogno di un mondo fraternizzato. È un’utopia? Non direi. Ma una tale visione dell’umanità per non sembrare ingenua richiede molto coraggio; richiede capacità di dialogo fondato su un concreto amore per il prossimo che – come disse Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari – “lungi dal chiudersi orgogliosamente nel proprio recinto, sa aprirsi verso gli altri e collaborare con tutte le persone di buona volontà per costruire insieme l’unità e la pace nel mondo.” E continua: “E per rispondere a questa sfida senza precedenti, il contributo delle religioni è decisivo. Da chi, se non dalle grandi tradizioni religiose, potrebbe partire quella strategia della fraternità capace di segnare una svolta persino nei rapporti internazionali?”.
Fin qui Chiara Lubich. Al di fuori delle strumentalizzazioni di cui talvolta sono oggetto, le religioni hanno al cuore del loro messaggio una prospettiva universale, che va molto al di là della stessa idea di politica internazionale. Non si tratta solo di collaborare per la salvezza del pianeta: per il clima, il cibo, l’acqua. Si tratta di riconoscere un’identità condivisa del genere umano anche nel suo rapporto con il creato e nel suo rapporto con Dio. In questa prospettiva, il dialogo interreligioso non può restare solo una conversazione amichevole e fraterna, deve trasformarsi in progetti al servizio non solo del bene comune ma dei “beni comuni” e cioè di tutto ciò che è necessario perché la vita delle persone e dei popoli si svolga all’insegna della dignità e della condivisione. Notevoli sforzi vengono fatti a livello internazionale; non possiamo non menzionare l’impegno instancabile della Comunità di Sant’Egidio e il lavoro prezioso di Religions for Peace; il “Documento sulla Fratellanza Umana” di Abu Dhabi5 , solo per citare alcuni esempi. Anche l’esperienza di dialogo tra persone di diverse religioni che il Movimento dei Focolari sta portando avanti da oltre 40 anni ci sta insegnando che un ambito di incontro molto promettente è quello locale: lavorare, cioè, in rete sul territorio, insieme alle diverse organizzazioni per rispondere ai bisogni specifici delle popolazioni. La collaborazione tra persone di diverse fedi religiose non solo offre soluzioni sociali, civili, solidali, ma mostra che l’umanità può essere una famiglia.
Per concludere, le religioni possono contribuire a ricomporre questo nostro mondo in frantumi, possono davvero essere delle fabbriche di pace e di fraternità, “Perché – termino con alcune parole di Chiara Lubich – di fronte ad una strategia di morte e di odio, l’unica risposta valida è costruire la pace nella giustizia; ma senza fraternità non c’è pace. Solo la fraternità fra individui e popoli può assicurare un futuro di convivenza pacifica”.
Vi ringrazio dell’ascolto. Margaret Karram