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Le parole e i fatti

La delegazione del GRUPPO PARLAMENTARE “FRATELLI D’ITALIA” DEL SENATO DELLA REPUBBLICA E DELLA CAMERA DEI DEPUTATI,in occasione delle consultazioni (foto di Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Tra cariche di polizia contro gli studenti e agevolazioni all’uso del denaro contante non tracciabile in caso di riciclaggio, l’alleanza guidata da Meloni è assurta al potere. E ancora una volta per la prima volta assistiamo all’insurrezione delle destre contro una vittima designata: Laura Boldrini. La quale viene irrisa per essersi interrogata circa l’uso degli articoli di genere: si deve dire “il” o “la” Presidente del Consiglio? Interrogativo che non ci appare come una questione di lana caprina.

di Andrea Ermano

«La Boldrini ripassi la grammatica e legga la Costituzione», esorta “La Verità”. «L’ultima uscita della Boldrina (al femminile) è davvero esilarante. Nemmeno Totò avrebbe saputo fare di meglio», ridicolizza “ItaliaOggi”. Mentre “Libero” titola sprezzante «Boldrini e Co. Prigioniere dei loro deliri».

Al quadretto si aggiunge la polemica di un lettore di destra che, da un sito web, accusa: «Le Murgia e le Boldrini che si aggrappano alla Treccani per attaccare Giorgia Meloni che vuole essere chiamata “il Presidente” sono le stesse Murgia e Boldrini che hanno stravolto la grammatica italiana usando la “E” rovesciata, il “3” al posto della “I” e asterischi vari».

Più equilibrato, il sito dei vescovi italiani “Avvenire.it” soppesa il tema parlando di «Giorgia Meloni “il” o “la” Presidente. Parità o libertà di articolare». Mentre “IoDonna.it” riassume: «Giorgia Meloni sarà “il” Presidente. La Crusca “Il maschile non è un errore, è una scelta ideologica».

In effetti, la grammatica italiana non pare consentire, di norma, che persone di genere maschile abbiano la facoltà di denominarsi al femminile.

Nella mia vita ho potuto via via chiamarmi in certe dichiarazioni da inoltrare per esempio presso enti pubblici: “lo studente” o “il lavoratore” o “il cittadino” o “l’emigrato” o “il redattore” eccetera. Ovviamente, se io volessi o avessi voluto utilizzare uno pseudonimo o manifestare a favore della libertà sessuale (mia o altrui) avrei anche potuto e tuttora potrei firmarmi puta caso “Donna Summer”, “Giacomina” eccetera.

Dopodiché, nella dichiarazione fiscale della Società Cooperativa che presiedo (ADL) mi pare indicato sottoscrivere l’atto come “il presidente”. Tuttavia, lo Statuto della “mia” vecchia Cooperativa (la quale porta sulla groppa quasi il doppio degli anni della Repubblica Italiana che ha per altro contribuito a fondare partecipando alla Resistenza antifascista) parla del presidente al maschile e non declina questa funzione al femminile.

Ma non dubiterei che una presidente donna possa, invece, decidere come chiamarsi secondo il suo proprio giudizio. Non saprei documentare in qual modo si definiva Angelica Balabanoff, che pure diresse questa testata in coedizione con l’Avanti! rientrando in Occidente dopo essersi dimessa dalla funzione di “Segretaria generale” della Terza Internazionale a seguito della sanguinosa repressione bolscevica della rivolta di Kronstadt, decisa nel 1921 da Lenin e Trotzki.

Anche per la Costituzione italiana il Presidente è un sostantivo sempre declinato al maschile. Dopodiché, l’interpretazione di una donna progressista, come la Presidente emerita della Camera, Laura Boldrini, è stata quella di declinare la Costituzione al femminile.

Non così l’interpretazione della leader dell’MSI-AN-FdI assurta alla guida di Palazzo Chigi, nel cui sito, mentre scriviamo queste righe, si trova chiaramente confermata la scelta del maschile riferito al ruolo istituzionale, come abbiamo verificato sul sito ufficiale del governo italiano: «Il 26 ottobre, alle 13.00, è prevista al Senato della Repubblica la discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, intorno alle 16.30, interverrà per la replica» (vedi il sito).

La scelta meloniana è stata stigmatizzata dall’ex parlamentare e anchorwoman Lilly Gruber: «La prima donna premier si fa chiamare al maschile, il presidente. Cosa le impedisce di rivendicare nella lingua il suo primato? La Treccani dice che i ruoli vanno declinati. Affermare il femminile è troppo per la leader di FDI, partito che già nel nome dimentica le Sorelle?».

Per concludere su questo punto, desidero richiamarmi al quotidiano “il manifesto”, che ospita l’intervento dell’accademica Valeria Della Valle, condirettrice del Dizionario della Lingua Italiana Treccani. La quale si esprime così: «A mio parere chi rifiuta di essere definita “la presidente” o “la direttrice” ha tutto il diritto di farlo (…). Ricordo però che è dal 1987, da quando Alma Sabatini scrisse le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana per la Presidenza del Consiglio, che si continuano a ripetere le stesse cose sul femminile dei nomi di professioni e ruoli. Sono anni che le donne ricoprono cariche istituzionali, ma ogni volta che una di loro raggiunge un posto di primo piano nascono polemiche a proposito del nome con cui devono essere indicate, dimenticando che i dizionari della lingua italiana (anche quello che condirigo) registrano nomi al femminile, e che le grammatiche li segnalano come corretti» (vai al sito).

Non sembri una questione di lana caprina, perché alla fin fine la discriminazione inizia dai nomi, ma può poi ricadere negativamente sulle persone. La manipolazione delle parole, come scrive Marco Morosini, sta conducendo a chiamare “centro-destra” il governo più di destra dai tempi di Mussolini, mentre il “centro-sinistra” viene inversamente sospinto verso l’abbreviazione semplificatoria delle “sinistre”. Che a sua volta funge da trampolino di lancio per caricare questa parola di connotati negativi, fino a trasformarla in espressione ingiuriosa, come ai tempi di Berlusconi: le sinistre!

La “Boldrina”! Oggi la destra italiana distorce il nome della Presidente emerita della Camera, domani chissà.

La Nuova Autorità italiana tace, ridacchia, gira la testa dall’altra parte. Ma nella lunga storia della misoginia umana il piano inclinato può preludere al pogrom.

Certo, martedì nel suo discorso programmatico di fronte alla Camera l’on. Meloni ha dichiarato: «Non ho mai provato simpatia o vicinanza per nessun regime, fascismo compreso. Esattamente come ho sempre reputato le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana: una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre».

E però non fu il “nostro popolo”, bensì il “duce” a promulgare le famigerate leggi del 1938 (vedi video Istituto Luce) ed è stata proprio Meloni a definire il “duce” un grande benefattore dell’Italia. Sorge, quindi, un dubbio: riuscirà la Giorgia Meloni secondo la quale “tutto quello che (Mussolini) ha fatto, lo ha fatto per l’Italia” ad accordarsi con la Giorgia Meloni secondo la quale le leggi di Mussolini “rappresentano il punto più basso della storia nazionale”?

Ma chissenefrega: Giorgia ha sempre ragione.

No, non si tratta di una questione di lana caprina e basti vedere come il training plurisecolare di improperi e insulti contro gli Ebrei d’Europa si riassunse in epoca fascista nella trasformazione dell’insulto allegorico sul “parassita” e lo “scarafaggio” in una precisa prassi in cui le persone venivano trattate dagli Stati totalitari d’Europa alla stregua di insetti dannosi.

Il genio di Franz Kafka divinò nella Metamorfosi: «Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme insetto. Sdraiato nel letto sulla schiena dura come una corazza, bastava che alzasse un po’ la testa per vedersi il ventre convesso, bruniccio, spartito da solchi arcuati; in cima al ventre la coperta, sul punto di scivolare per terra, si reggeva a malapena. Davanti agli occhi gli si agitavano le gambe, molto più numerose di prima, ma di una sottigliezza desolante».

Così accadde che – dopo lunghe equiparazioni agli scarafaggi – arrivarono i volonterosi nazi-fascisti a farsene punto d’onore, nel tradurre la metafora in realtà. Fino alla deportazione e fino allo sterminio, attuato con un insetticida a base di acido prussico tristemente noto come “Zyklon B”.

Questo è stato.

Non meno lunga e crudele è stata la guerra contro le donne condotta con implacabile misoginia dalla società patriarcale. Di questa persecuzione la “caccia alle streghe” ha costituito solo una orribile pagina tra le tante di cui è composto questo grande libro degli orrori.

All’ultimo capitolo in ordine di tempo stiamo assistendo proprio in questi giorni, in diretta televisiva da Teheran, a massacri di donne e dimostranti.

In territorio persiano secondo l’organizzazione Iran Human Rights, dal 2019 a oggi, sono state ammazzate oltre 1500 persone (vai al sito).

Perché?

Agli occhi della teocrazia risultano ree di non portare il velo in modo corretto, di essersi accorciate i capelli, come Mahsa Amini, o semplicemente di avere protestato contro il regime.

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