Il contesto dei negoziati è all’insegna di tensioni alimentate dalle polemiche sui diritti umani nel Paese ospitante e dai timori per la recessione globale, il caro energia, la crisi alimentare e il rilancio delle energie fossili quali conseguenze dirette del conflitto. Tutto senza Cina e Russia, due dei maggiori inquinatori
di Veronique Viriglio
AGI – Non si apre sotto i migliori auspici il 27mo vertice Onu sui Cambiamenti Climatici, la Cop27, ospitato dal 6 al 18 novembre nella località turistica di Sharm El-Sheikh, in Egitto. In quella che è una corsa contro il tempo per salvare il pianeta dagli effetti sempre più tangibili e devastanti del riscaldamento globale, il contesto dei negoziati è all’insegna di tensioni alimentate da un lato dalle polemiche sui diritti umani nel Paese ospitante, dall’altro dai timori per la recessione globale, il caro energia, la crisi alimentare e il rilancio delle energie fossili quali conseguenze dirette del conflitto tra Russia e Ucraina. Inoltre, ad oscurare il cruciale appuntamento climatico annuale ci sono le elezioni di midterm negli Usa, l’8 novembre, sulle quali si concentra l’attenzione mediatica, oltre alla rivalità alle stelle tra le due potenze maggiormente inquinanti, Stati Uniti e Cina. Queste le aspettative e la posta in gioco, a un anno dalla Cop26 di Glasgow, che era sicuramente più carica di aspettative dopo lo stop per la pandemia di Covid-19.
Il primo momento ‘clou’ del controverso appuntamento in Egitto sarà il ‘vertice dei leader’ del 7 e 8 novembre: in tutto 125 partecipanti tra capi di Stato e di governo, oltre ai diplomatici di ben 200 Paesi e al numero record di 40 mila presenze tra esponenti di Ong, società civile, studiosi, settore privato, difensori dei diritti. Molto atteso il ‘ritorno’ al summit Onu del Brasile, dopo 4 anni di scetticismo da parte del presidente Jair Bolsonaro nei confronti del cambiamento climatico: il vincitore delle elezioni Luiz Inacio Lula da Silva è stato invitato, anche se entrerà in carica nel gennaio 2023. Il futuro presidente di sinistra ha già assicurato di voler tornare in prima linea nella lotta ai cambiamenti climatici, tutelando l’Amazzonia, uno dei principali polmoni verdi del pianeta. Proprio trent’anni fa, nel 1992, si era tenuto il Summit della Terra di Rio, una data passata alla storia per la difesa degli ecosistemi.
Tra i nomi di spicco del vertice, il presidente Usa Joe Biden, il neo premier britannico Rishi Sunak e per l’Italia sarà presente il presidente del consiglio dei ministri, Giorgia Meloni. Tra le assenze eccellenti quella del presidente della Cina – Paese più inquinante al mondo – Xi Jinping e del suo omologo russo Vladimir Putin.
I partecipanti sono suddivisi in due grandi gruppi, impegnati in serrati negoziati per raggiungere un accordo finale. Da un lato quello dei Paesi ricchi e più sviluppati, responsabili della maggior percentuale di inquinamento globale, capitanati dal G7, a presidenza tedesca. Dall’altro il gruppo G77+Cina – ovvero 134 Paesi emergenti e poveri – attualmente presieduto da Munir Akram, ambasciatore del Pakistan all’Onu, che rinnoverà le sue pressioni per ottenere i fondi precedentemente promessi a titolo di risarcimento e di sostegno alla transizione energetica.
Come ad ogni Cop, il vertice sarà suddiviso in una zona blu, quella ufficiale delle sessioni plenarie in cui si svolgono i dibattiti ad alto livello, gli incontri intergovernativi e delle organizzazioni internazionali e dove vengono presentati gli accordi raggiunti al termine dei lavori. La zona verde è invece aperta al pubblico, punto di incontro e confronto tra ambientalisti, scienziati, attivisti, rappresentanti della società civile e delle aziende del settore energia e ambiente. La regione del Mediterraneo avrà un suo apposito padiglione con 600 scienziati da 35 Paesi – collocato nella zona blu della Cop27 – a riprova della gravità della crisi climatica in quest’area del mondo in cui le temperature aumentano del 20% in più rispetto alla media globale.
La Cop africana
La presidenza egiziana ha presentato il vertice come “la Cop africana”, con l’obiettivo dichiarato di voler dare voce alla richiesta di giustizia climatica e di finanziamento per la transizione da parte dei 54 Stati del continente, responsabili di meno del 4% delle emissioni globali, ma regione tra le più flagellate da fenomeni meteorologici estremi. Secondo il Carbon Brief, da inizio 2022 le manifestazioni climatiche devastanti in Africa hanno ucciso almeno 4 mila persone e costretto circa 19 milioni a lasciare la propria abitazione, sfollati interni o profughi in Paesi confinanti. Nel solo Corno d’Africa la siccità colpisce 19 milioni di residenti mentre in Nigeria oltre 1,4 milione di cittadini è sfollato a causa delle recenti alluvioni.
Al di là della maggiore vulnerabilità del continente al riscaldamento globale, ripercussioni altrettanto drammatiche di fenomeni di siccità estrema e di alluvioni – la più grave degli ultimi 40 anni in Kenya – sono la mortalità e il calo dei rendimenti agricoli che espongono un numero sempre maggiore di persone alla carestia. A Sharm El-Sheikh capi di Stato africani, rappresentanti governativi e di Ong rinnoveranno ai Paesi ricchi la loro richiesta urgente di incrementare i finanziamenti diretti al continente per accelerare la loro transizione energetica. Finora i principali inquinatori mondiali non hanno onorato la promessa di portare a 100 milioni di dollari l’anno gli aiuti ai Paesi più poveri, africani ma non solo, per lottare contro i cambiamenti climatici oltre che a titolo di risarcimento.
Secondo dati Ocse, il tetto massimo dei finanziamenti del Nord del mondo è stato di 83,3 miliardi nel 2020, mentre l’impegno quota 100 miliardi potrebbe essere raggiunto nel 2023. Per molti esperti, ancora una volta l’Africa e i Paesi del Sud del mondo rischiano di rimanere delusi dall’esito del vertice, nonostante moniti e appelli lanciati nelle scorse settimane dal Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha definito la Cop27 “un test decisivo per ristabilire la fiducia tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo”, parlando di “imperativo morale” e di “necessità di agire”.
A rischio l’accordo di Parigi
Il recente rapporto del Programma Onu per l’Ambiente (UNEP) e le raccomandazioni del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico hanno avvertito che “la finestra di opportunità si sta chiudendo” per arginare l’aumento ineluttabile delle temperature che ipoteca il rispetto dell’Accordo di Parigi, siglato nel 2015 in sostituzione del precedente Protocollo di Kyoto, nel contesto della Cop21. Numeri alla mano, il mondo si sta allontanando dall’impegno di contenere entro 2 gradi – meglio se 1,5 gradi – il riscaldamento globale rispetto ai livelli preindustriali. Allarmanti le previsioni dell’UNEP: entro fine secolo il riscaldamento del pianeta rischia di raggiungere quota 2,6 gradi, un livello “catastrofico” che rende urgente “un’azione climatica su tutti i fronti, ora”.
In base agli impegni attuali della maggior parte dei Paesi – una diminuzione delle emissioni del 5% entro il 2030 e ad alcune condizioni del 10% – c’è il 66% di rischi che il riscaldamento sia di 2,6 gradi entro fine secolo e nella migliore delle ipotesi raggiungerebbe comunque 2,4 gradi. Se invece i Paesi riuscissero a rispettare la neutralità carbone – ovvero zero emissioni – l’aumento delle temperature si fermerebbe a 1,8 gradi, ma per gli esperti clima dell’Onu “questo scenario al momento non è credibile” per le “differenze” tra le promesse già fatte e i risultati ottenuti.
Per mantenere 1,5°C, le emissioni dovrebbero essere ridotte del 45% rispetto ai livelli attuali e del 30% per stare entro 2°C. Con queste premesse, è chiaro che siano scarse le aspettative da questo vertice. Non sono in discussione nuovi tagli alle emissioni o impegni concreti, ma solo questioni procedurali, tecniche, burocratiche e di regolamentazione di alcuni aspetti formali dell’accordo di Parigi.
La Cop delle polemiche
Da mesi fa discutere la scelta dell’Egitto come sede del grande evento, con Ong e attivisti per i diritti umani che denunciano di essere stati esclusi. Chiari e forti gli appelli giunti dai quattro angoli del pianeta per ottenere la scarcerazione di centinaia di detenuti politici, ma non solo: tra di essi, l’attivista Alaa Abdelfatah, che osserva uno sciopero della fame da aprile e che domenica smetterà anche di bere. Il governo di Abdel Fattah al-Sisi teme dimostrazioni antigovernative e su alcuni social si vocifera di una grande manifestazione di protesta durante le giornate del vertice.
Tra gli assenze più rilevanti quella di re Carlo III, che è stato scoraggiato dal governo (che vorrebbe approfittare della prima uscita pubblica del nuovo monarca per scopi più politici), ma ha intenzione di convocare un evento con oltre 200 ospiti a Buckingham Palace, invitando oltre 200 politici, scienziati, manager di imprese green, attivisti ambientali e ONG.
Non ci sarà neanche Greta Thunberg, l’iconica attivista svedese: “Non andrò alla Cop27 per molte ragioni, ma lo spazio per la società civile quest’anno è molto limitato” ha argomentato; senza peli sulla lingua ha sentenziato che le persone al potere usano le conferenze sul clima per interessi personali e come greenwashing. Goccia che ha fatto traboccare il vaso delle polemiche: secondo Greenpeace, uno dei principali sponsor della conferenza egiziana è Coca-Cola, una delle azienda più inquinanti al mondo, da sola responsabile del 10% delle bottiglie di plastica disperse, pari a tre milioni di tonnellate.