Nell’ultimo anno abbiamo assistito alla protesta della categoria dei giornalisti (e dei loro sindacati), che hanno contestato le nuove norme sulla presunzione d’innocenza contenute nel D. Lgs. n. 188/2021 (il cosiddetto “Decreto Cartabia“). Queste regole, fortemente volute dall’UE – per adattare la giurisprudenza italiana alla linea comunitaria (Direttiva 2016/343/UE del 9 marzo 2016) – e che starebbero significativamente restringendo loro la possibilità di riportare notizie relative ai processi penali, sono state appellate come un vero e proprio “bavaglio” nei confronti dei media, sopraggiunto in maniera improvvisa esattamente un anno fa (ossia l’8 novembre 2021, ma con entrata in vigore dal giorno 14 del mese successivo).
La ragione risiederebbe nel fatto che la normativa in questione, infatti, introduce alcune disposizioni che limiteranno pesantemente la quantità di informazioni che la magistratura potrà condividere con la stampa.
“Vietato parlare con i giornalisti”? Allora basta parole
In tutta risposta sono prontamente tornate proteste e contestazioni (dopo quelle recenti per i contratti di lavoro) davanti ai tribunali e alle procure di alcune regioni per ora, in vista di quello che potrebbe presto diventare una mobilitazione nazionale sostenuta da importanti associazioni di categoria, tra cui l’Ordine dei Giornalisti, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), l’USIGRai e varie altre organizzazioni attive nella promozione di un’Informazione libera.
“Vietato parlare con i giornalisti” è stato il grido di protesta della manifestazione svoltasi ieri (anniversario del provvedimento) in Umbria e nel Lazio, dove i cronisti presenti al presidio fuori dal tribunale di Roma denunciavano come procuratori e questori sembrassero più “impegnati a imbavagliare la stampa piuttosto che concentrarsi sulla prevenzione e la repressione dei reati”.
Cosa impone il D. Lgs. 188/2021 e cosa potrebbe comportare
Il decreto varato dall’ex ministro della Giustizia prevede che i procuratori possano interagire con i media esclusivamente attraverso note ufficiali e conferenze stampa. Inoltre, come cita la legge, “[…]la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre specifiche ragioni di interesse pubblico. […]Il procuratore della Repubblica può autorizzare gli ufficiali di polizia giudiziaria a fornire, tramite comunicati ufficiali o conferenze stampa, informazioni sugli atti di indagine compiuti o ai quali hanno partecipato. L’autorizzazione è rilasciata con atto motivato in ordine alle specifiche ragioni di pubblico interesse che la giustificano”, si legge ancora nelle pagine della norma. Ed è proprio quest’ultimo aspetto, pare, a voler essere notevolmente limitante della capacità dei giornalisti di accedere ai dettagli relativi ai processi in corso, nonché di condividerli.
I professionisti della cronaca giudiziaria vedono quindi questa presa di posizione come una gravissima minaccia alla libertà di informazione, poiché non solo si precluderebbe i rapporti – spesso anche confidenziali – tra magistratura e giornalisti, ma si renderebbe anche difficoltosa la raccolta e la verifica delle indiscrezioni relative ai processi correnti. “È fondamentale permettere la verifica di fatti e notizie nell’immediatezza, oltretutto in un momento così delicato per la vita del Paese, colpito da una crisi economica gravissima che rischia di generare grandi tensioni sociali”, riporta per iscritto un comunicato simbolico consegnato da un comitato di contestatori ad alcune procure.
Tutti con i giornalisti per difendere il diritto-dovere di cronaca
Procure (e procuratori) che, a dirla tutta, si sono dimostrati sinora particolarmente solidali con i manifestanti nonché critici verso la legge in questione, visto che è da giugno che sottolineano come “non può essere dato al procuratore il potere di stabilire ciò che è di interesse pubblico” (dichiarazione del Dott. Giovanni Salvi, procuratore generale della Cassazione, durante un convegno con dibattito organizzato dall’Ordine dei Giornalisti).
Stando a quanto dichiarato, invece, dall’entourage del giudice firmatario del decreto, la Dott.ssa Marta Cartabia, la norma era stata pensata come una garanzia il cui obiettivo era quello di promuovere “un’informazione non lesiva dei diritti degli indagati e degli imputati”. Ma i giornalisti avrebbero fatto presente che le regole deontologiche già in vigore – a cui ogni iscritto all’Ordine è soggetto – sono state redatte apposta e che, al contrario, un “filtro” alle indiscrezioni trasmesse da procure e tribunali avrebbe potuto comportare il rischio di scalfire sia l’accuratezza che la completezza verificata delle notizie o, in parole povere, il pericolo di lesionare i pilastri fondamentali del diritto (e dovere) di cronaca.
Fonti online:
ByoBlu (testata giornalistica ed emittente televisiva nazionale; articolo di Elisabetta Barbadoro del 08 novembre 2022), Sistema penale, sito della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), sito dell’Associazione Stampa Umbra (ASU), Il Foglio.
Canali YouTube: Eurocomunicazione, Consiglio Nazionale Forense, Anf Tv.
Antonio Quarta
Redazione Corriere di Puglia e Lucania