Principale Ambiente, Natura & Salute I free rider nei cambiamenti climatici

I free rider nei cambiamenti climatici

I cambiamenti climatici minano le nostre sicurezze, il nostro naturale ordine delle cose, frutto di millenni di conoscenze, studi e aspettative adattive, un atteggiamento agnostico non ci aiuterà ad affrontarli e saremo costretti a subirli sperimentando come il nostro miope “just in time” sia già stato reso anacronistico da tanti eventi: guerre e fenomeni climatici estremi che mal si accordano ad esso.

Riguardo ai settori produttivi, l’agricoltura, tra gli altri, è il più esposto ai danni generati perché la temperatura e le precipitazioni sono tra i fattori di produzione delle colture. Negli studi più recenti alle indagini empiriche si sono affiancate le simulazioni con modelli di previsione semplificati.

Pertanto esiste un’ampia letteratura economica che stima gli effetti sull’agricoltura, mettendo in relazione le variabili metereologiche e le misurazioni dell’output dell’attività nel settore agricolo in termini ad esempio di produttività, di rese, profitti, prezzi dei terreni, utilizzando soprattutto dati statunitensi.

La maggior parte degli studi più recenti ha evidenziato che gli effetti saranno in gran parte negativi, non escludendo effetti nulli e persino positivi nel breve periodo o negli scenari futuri più cauti, come descritto in uno studio di Accetturo e Alpino (2022). I due economisti hanno stimato gli effetti dei cambiamenti climatici sulle rese agricole del mais, del grano duro e della vite, tra i principali prodotti agricoli italiani.

Sono giunti a queste ottimistiche conclusioni analizzando da un lato la variabilità delle produzioni agricole al variare delle condizioni di temperatura e pioggia e, sulla base dei parametri stimati, hanno previsto gli effetti dei fenomeni climatici che si verificheranno entro il 2030, usando le stime climatologiche fornite dal Joint Research Center (JRC) della Commissione Europea.

Lo studio non considera le temperature medie giornaliere, ma utilizza il concetto di gradi giorno (degree days), che consente di misurare quante ore nell’arco della giornata una pianta rimane esposta a diversi intervalli di temperatura.

In alcuni casi la temperatura è tale da favorire la crescita della pianta, in altri risulta troppo elevata o troppo bassa.

La relazione tra le produzioni agricole e le precipitazioni è di tipo non lineare: le piogge hanno un effetto generalmente positivo fino a una certa soglia, per poi diventare nullo o negativo quando le precipitazioni sono eccessive, mentre gli effetti della scarsità d’acqua possono essere efficacemente superati dalla possibilità di irrigare artificialmente il terreno.

Analizzando i dati a disposizione sugli ultimi periodi, gli autori hanno osservato che l’effetto delle temperature sul grano duro è simile a quello del mais: un ulteriore aumento delle temperature massime oltre i 28° è particolarmente dannoso, il rapporto è invece positivo sotto i 28°.

I danni per la vite sono più moderati: la relazione è positiva fino ai 32° e diventa solo lievemente negativa oltre quella soglia. Forse i viticoltori italiani stanno già investendo per adattare le proprie produzioni ai cambiamenti climatici?

Sono stati ipotizzati tre scenari, i quali prevedono che in Italia si possa verificare un incremento delle temperature massime più contenuto rispetto a paesi come la Spagna e la Francia: in due modelli l’aumento potrebbe essere inferiore a 1°, inferiore a 1,4° nel terzo modello.

Di conseguenza la variazione della resa del mais nel periodo 2000-2030 potrebbe essere compresa tra -0,8 e +6 per cento: nel modello climatico meno ottimista, il terzo, l’impatto diventa leggermente negativo, mentre per i due modelli climatici che prevedono un minor riscaldamento l’effetto è positivo.

Per il grano duro, le previsioni al 2030 indicano un possibile aumento della produttività tra il +2,5 e il +5 per cento, il risultato è più elevato quando si usano le proiezioni del modello climatico meno ottimista con un più notevole aumento delle temperature.

Le proiezioni per provincia indicano un effetto negativo al Nord e un impatto ampiamente positivo nel Mezzogiorno, dove la produzione di grano duro è più diffusa. Gli effetti dell’aumento previsto delle temperature sulla vite risultano ancora più positivi.

Tuttavia andando oltre il 2030, in scenari più pessimistici, è probabile che si verifichi in Italia un incremento maggiore delle temperature, più frequente, quindi dannoso per le coltivazioni con una riduzione della produttività. Infatti, i fenomeni climatici potrebbero essere interessati da un aumento della frequenza e della durata delle cosiddette “ondate di caldo” che non sono state analizzate negli studi basati sui gradi giorno.

Purtroppo occorre considerare gli eventi estremi la “nuova norma”, in quanto sono aumentati in frequenza e intensità negli ultimi decenni; tale tendenza potrebbe continuare anche negli anni futuri.

Forti grandinate, siccità prolungate, alluvioni, o anche solo pioggia e vento forte possono danneggiare i raccolti e le strutture delle imprese agricole, riducendone la resa nel lungo periodo. Si osserva che nonostante le potenziali perdite la propensione degli agricoltori a proteggersi con contratti assicurativi privati rimane bassa, in attesa di consistenti sovvenzioni statali?

Si ritiene occorra intervenire a monte, perché a valle gli interventi rischiano di essere tardivi e utili solo per tamponare disastri forse arginabili.

Riportiamo che nel Piano di Ripresa e Resilienza dell’Italia, definito nell’ambito di NextGenerationEU, gli investimenti della missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica” ammontano a quasi 70 miliardi.

Fondi, impegni e accordi internazionali a partire da quello di Kyoto. Vari i trattati intervenuti, difficile farli rispettare non esistendo alcun tribunale che possa agire in caso di violazioni.

Date invece le ovvie esternalità negative a livello globale di una attività con negativi effetti serra, le politiche ambientali efficaci sono quelle che mirano non solo a ridurre l’inquinamento locale, ma gli effetti climalteranti globali.

Se per ipotesi un paese o una regione decidesse di abbattere completamente le emissioni di gas serra localmente, gli altri paesi potrebbero non essere incentivati a emularne il comportamento in quanto ne avrebbero comunque dei benefici, senza alcuna distinzione: il free riding.

Occorre quindi agire su forti incentivi, in particolare nei confronti dei paesi in via di sviluppo, i più difficili da convincere per l’abbattimento delle emissioni di gas serra, in quanto ciò comporta un rallentamento del loro processo di crescita e della loro convergenza economica con i paesi a più alto livello di reddito e benessere economico.

Tuttavia il Premio Nobel per l’economia del 2018 William Nordhaus, dubita che un accordo internazionale possa essere al tempo stesso durevole, condiviso e sufficientemente forte da portare a significative riduzioni delle emissioni.

Nordhaus promuove un approccio alternativo al problema: un numero ristretto, ma non molto, di paesi virtuosi, con l’intento di fermare il cambiamento climatico, un climate club, che adotti una politica climatica aggressiva, ad esempio introducendo una carbon tax elevata e, allo stesso tempo, imponga dazi commerciali a tutte le importazioni provenienti dai paesi che non sono parte del club.

Perché la proposta di Nordhaus abbia successo occorre che la dimensione iniziale del club, in termini di commercio estero, sia sufficientemente grande da creare una pesante minaccia di una guerra commerciale che possa fungere da buon deterrente ai non appartenenti al club. L’obiettivo è quello di eliminare i free rider…che si giovano delle esternalità positive degli impegni unilaterali, affinché si pervenga ad una cooperazione globale spontanea o meglio ……coercitiva

Maria Angela Amato

Foto di jbauer-fotographie da Pixabay

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