In guerra la prima vittima è sempre la verità
di Evelyn Zappimbulso
Il giornalismo contemporaneo ha come obiettivo quello di rispettare la verità sostanziale dei fatti. Il che significa, in buona sostanza, che errare è umano – anche nel mondo dei giornali e dei media – ma purché lo si faccia con onestà, etica e facendo tutto il possibile per dare una notizia che rispetti questi canoni morali e professionali.
Quella delle “fake news“, tuttavia, è una storia che dura da secoli e riguarda non solo il mondo della stampa ma anche quello della politica.
Negli ultimi anni, in particolare dal 2016 in poi, con l’elezione di Donald Trump e il referendum sulla Brexit, si è tornato a parlare in maniera insistente di “bufale” a causa delle storie false ampiamente condivise sui social media senza essere verificate dagli utenti. Questo ha portato, non senza polemiche e altrettante criticità, a una “stretta” sulla diffusione delle fake news sulle piattaforme social (non priva di lati oscuri per quanto concerne la libertà di opinione e di critica, essendo decisa da aziende private tutt’altro che super partes).
Addio alle fake news, dunque? Certo che no. La guerra in Ucraina, come ogni conflitto, ha visto l’impiego massiccio di disinformazione e propaganda da entrambe le parti, diffuse attraverso social e canali Telegram difficilmente controllabili e non sempre verificabili.
L’ultima bufala acclarata – ma ce ne sarebbero tante altre sul fronte opposto – l’ha diffusa il Ministero della Difesa ucraino che aveva parlato di una “mini Auschwitz” a Pesky-Radkovski. Serhiy Bolvinov, capo del dipartimento investigativo del Servizio di sicurezza nella regione di Kharkiv, aveva infatti fotografato una maschera antigas e una vasca piena di denti, evocando i campi di concentramento nazisti. La notizia risale ai primi di ottobre ed è stata ripresa incautamente dai media e spacciata come vera.
Ci ha pensato poi il tedesco Bild,
inviando alcuni giornalisti sul posto, a smascherare l’ennesima bufala prodotta dalla propaganda di guerra. Gli inviati del quotidiano tedesco hanno infatti intervistato un dentista che ha riconosciuto la scatola contenente i denti che gli era stata rubata. “I denti sembrano essere stati rubati dal mio ufficio, i russi hanno derubato la mia casa. Questi sono i denti delle persone che ho trattato in tutti questi anni” ha raccontato il dentista. Nessuna “mini Auschwitz”, dunque.
Perché in guerra la prima vittima è sempre la verità. Illudersi che questo non accade nelle guerre ibride contemporanee rimane, appunto, un’illusione pericolosa.
Evelyn Zappimbulso Vice Direttore Corrierepl.it
Redazione Corriere di Puglia e Lucania