Il coccodrillo nei bestiari medievali è descritto come una enorme lucertola dalle fauci spaventose. Il suo corpo è ricoperto di scaglie dure, utilizzate dagli Egiziani per fabbricare scudi o corazze o dagli Indiani per rivestire i tetti delle abitazioni.
Sia il Bestiario di Aberdeen (XII secolo) che lo scrittore trecentesco John Mandeville, autore al quale è attribuito un libro di memorie di viaggi, ne concordando l’etimologia del nome: “coccodrillo” deriverebbe da “croceus“, “giallo” da cui “crocodilus“.
Eppure, il coccodrillo è verde o policromo come i draghi.
È vorace: inghiotte in un morso le sue prede. Necessita di diverso tempo per digerire, trascorso sulla terra di giorno o in acqua di notte.
È scaltro e violento ma capace di rimorso. Infatti, divorata la vittima, sarebbe soggetto a pianto e a pentimento.
Guillame le Clerc, poeta francese del XIII secolo, riscontrava nel coccodrillo profonda sofferenza per i peccati commessi. Infatti, le sue lacrime vengono interpretate come segno di penitenza. Un secolo prima, Richard de Fournival nel celebre Bestiario d’amore vedeva in questo animale la rappresentazione della donna viricida, successivamente colta da crisi di pianto e rimorso.
Altri autori non furono così magnanimi nei confronti di questo animale giudicato ipocrita.
Il coccodrillo è brutto, aggressivo, ingordo e pigro.
Anche la femmina, per natura lasciva, rifugge alla fatica: depone le uova ma poi non le cova, disinteressandosene.
Secondo i bestiari medievali, questo feroce animale è l’unico che cresce fino alla morte: indizio del suo patto con il diavolo.
Redazione Corriere di Puglia e Lucania