Teresa Caricola, nata a Milano nel 1980 ma pugliese per origini e scelta, è pianista e mezzosoprano attualmente con la Fondazione Teatro Petruzzelli di Bari, ma anche studiosa di musicologia. Ha dedicato la sua vita all’attività artistica e all’analisi musicale, approdando solo ora come scrittrice nel mondo della saggistica con “Ce Que Je Sui – Mistica ed Etica Rosacrociana nella vita e nelle opere di Erik Satie“ (Florestano Edizioni), disponibile negli store dal 20 dicembre 2022.
Erik Satie è stato un compositore e pianista francese, protagonista dell’ambiente musicale parigino a cavallo tra fine ‘800 e inizi ’900. Perché scrivere un saggio proprio su di lui?
Le motivazioni sono abbastanza intime. Quando ho iniziato gli studi pianistici, quindi sin dall’età di sette anni, sono inciampata nella musica e nelle produzioni di Erik Satie, rimanendone così coinvolta che da quel momento in poi per pura casualità è sempre riapparso insistentemente nella mia vita: nei viaggi, in esperienze oniriche ed evanescenti. Mi sono perciò domandata come mai questo personaggio del passato stesse in qualche modo bussando alla mia porta. Ho trovato risposta negli studi esoterici a cui mi ero intanto autonomamente avvicinata, scoprendo che lui – come Debussy – erano membri dell’Ordine della RosaCroce. Appreso ciò, si è suggellato il nostro sodalizio e ho cominciato ad approfondire il suo mondo sacro e mistico, innamorandomene in maniera platonica e profondissima. So che potrebbe far sorridere ma io lo definisco il mio amante segreto (ride, ndr). Analizzando i suoi scritti e le composizioni, ho rilevato inequivocabilmente delle geometrie, che sottendono studi cabalistici – esoterici, portatrici di segretezza e di significati elevatissimi ma celati e a cui, per volere dell’autore stesso, non tutti possono accedere.
Quello che mi ha affascinata è stato scoprire la profonda etica nascosta nelle sue opere e nella sua vita, tutt’altro che bizzarra e senza rilevanza come invece viene descritta.
Cos’è l’Ordine della RosaCroce e che influenza ha avuto nella musica di Satie?
L’Antico e Mistico Ordine della RosaCroce è un movimento segreto, mistico, cabalistico. Risale alle Scuole di misteri dell’antico Egitto e storicamente apparve per la prima volta nel XVII secolo. Si riferisce, in particolare, ai misteri della natura, dell’universo e dell’uomo stesso. Privo di dogmi, questo studio si propone ancora oggi di arrivare a conoscere e comprendere il significato più profondo dell’esistenza. Non ha alcun carattere religioso o politico e riunisce diverse etnie, nazionalità e classi sociali. Lo studio che viene da loro condotto è incentrato su delle scritture che rivelano verità assolute, le quali si collegano poi a tutte le filosofie, dalla platonica a quelle del 700. I rosacrociani, rifacendosi a un motto socratico, promuovono il concetto del “conosci te stesso e conoscerai gli dei”. Nelle sue composizioni, infatti, Satie si fa forte di questi insegnamenti della Cabala con il fine di far comprendere ai fruitori che dentro ognuno di noi c’è una parte divina che sottende tutte le cose, che va solo resa visibile e sfruttata, liberandosi di quella egoica. L’artista stesso conduceva una vita retta ed eticamente orientata, tesa a raggiungere una realizzazione spirituale e a comprendere l’esistenza umana, riportando tutto ciò nella musica.
Il titolo che ha scelto per il suo saggio è “Ce Que Je Sui”. Cosa sta a significare?
“Ce Que Je Sui” deriva dall’incipit di una lettera che Satie scrisse e pubblicò su un giornale, nella quale decise di spiegare chi fosse lui veramente. Io ho preso l’originale e ho scambiato Suis con il Sui latino, realizzando così un gioco fonetico, in emulazione alle tecniche utilizzate dall’autore francese nei suoi scritti e calembour. Il riferimento è sempre Socrate, filosofo molto caro ai rosacrociani, e l’ho scelto in ricordo del testamento compositivo satieano, intitolato appunto “il Socrate”.
Il saggio è stato volutamente tripartito o è casuale?
È assolutamente voluto. Quasi tutte le opere di Satie infatti sono tripartite, in quanto il tre è il numero rappresentativo del piano divino. A mia volta, perciò, il saggio consta di tre parti: la prima riguarda la sua vita artistica e musicale come membro dell’Ordine, di cui divenne anche maestro di cappella, componendo tutta la ritualistica (ad oggi non molto conosciuta ed eseguita e quindi per me importante da evidenziare); la seconda, invece, verte sugli aspetti rosacrociani della sua vita personale e la terza, infine, è un’analisi delle opere satieane più emblematiche dal punto di vista esoterico, ma resa fruibile anche a un pubblico non esperto. È, infatti, possibile rinvenire nelle composizioni delle figure geometriche proprie della cabala, come dei quadrati con all’interno triangoli.
La copertina del libro è ricca di simbolismo. Cosa rappresenta?
Innanzitutto ci tengo a specificare che è un mio acquerello ed è una mia interpretazione del cammino di Satie. Sono raffigurati lui di spalle con cappello e la sua grande “fissa”, ossia l’ombrello; una croce e una rosa. La croce è simbolo della Chiesa che l’autore stesso creò (l’Église métropolitaine d’art de Jésus-Conducteur) quando, a causa della boriosità e della altezzosità del fondatore dell’ordine Péladan, decise di lasciare il movimento: si tratta dell’intersezione tra la croce egizia e quella cristiana, una crasi che divenne anche la sua personalissima firma negli scritti e negli articoli di giornale. La rosa è, invece, il manifesto dei rosacrociani e simboleggia l’anima umana che nella loro prospettiva è pura e perfetta in essenza e sotto la sua guida ognuno evolve nel corso della propria vita.
Satie stesso nel periodo modernista di inizi 900 ha definito le sue composizioni “musica da tappezzeria”. Qual è il senso?
Era molto criticato e accusato di scrivere una musica vuota, che non avesse significato, di puro accompagnamento, non destinata ad un ascolto attivo, insomma per tutti era un autore di serie B. “Da tappezzeria” significava una musica che ricopre senza altra funzione. Si prendeva in giro per fare satira contro l’accademismo e la musica dotta del tempo, che riteneva pomposa e ricca di inutili fronzoli. Quella di Satie, invece, è essenziale e dà difficoltà anche all’esecutore perché è tanto raffinata e ha un suono singolare, rispetto a ciò che veniva composto dagli impressionisti dell’epoca. Le sue opere mi ricordano molto i paesaggi del Da Vinci che hanno solo sfumature, senza contorni. La sua, quindi, era un’autocritica contro chi lo criticava.
Qual è, quindi, la finalità del suo saggio?
Rivendicare valore per un autore che non ha avuto i riscontri che avrebbe dovuto avere e far comprendere che la sua scrittura è molto profonda e le melodie non sono scarne, semplici e di facile consumo, come tantissimi la definiscono tutt’ora perché perlopiù utilizzate per le radio sveglia, le suonerie dei cellulari e le
pubblicità. Perciò, con il mio saggio vorrei consegnare al pubblico una visione meno bizzarra e “canzonettistica” delle opere di Satie, svelandone il segreto e il significato celato. A mio avviso, andrebbe studiato molto più approfonditamente ed eseguito con frequenza. Il poeta Jean Cocteau scrisse: «Quando qualcuno domandava a Rossini chi fosse il musicista più grande, lui rispondeva: “Beethoven”, e quando gli si obiettava: “E Mozart?”, lui rispondeva: “Voi mi avete domandato chi fosse il più grande, non mi avete chiesto chi fosse unico”. Se qualcuno mi interrogasse sulla nostra epoca, risponderei senza esitazione che i più grandi sono Debussy e Stravinskij e aggiungerei subito “ma Satie è unico”».