Taranto ha un’occasione storica per tutelare salute, ambiente e lavoro, utilizzare bene i fondi europei e nazionali
Siamo d’accordo con il presidente di Acciaierie d’Italia, Bernabé: ci vorranno dieci anni e 5 miliardi di euro per trasformare gli impianti attuali dell’ILVA in un’acciaieria nuova.
Nel frattempo gli impianti continueranno a inquinare e rimarranno pericolosi per la salute e per la vita degli operai diretti e indiretti che ci lavorano.
Bernabé ci tiene però a rassicurare la popolazione di Taranto dicendo che il piano è già in atto e in effetti il Piano Ambientale prevede la conclusione dei lavori a brevissimo.
Com’è noto le centraline dei Tamburi hanno registrato nell’ultimo anno picchi di benzene con un trend in aumento e ci sono state emissioni fuori scala di benzoapirene a fine 2021. Sono entrambi cancerogeni certi secondo lo IARC. Vi è dunque un’evidente contraddizione nelle parole dell’AD di Acciaierie d’Italia.
L’avanzamento del Piano Ambientale non risolve i problemi ambientali e sanitari del territorio jonico. A questa conclusione sarà giunta anche la Procura che ha avviato un’indagine sui controlli effettuati sul Piano Ambientale dall’ARPA e dall’ISPRA.
Il decreto legge del 28 dicembre prevede il bilanciamento di valori costituzionali non paragonabili, le esigenze dell’attività produttiva con quelle della salute, dell’ambiente, del lavoro e della sicurezza dei luoghi di lavoro; scelta che appare apertamente in contrasto con le modifiche costituzionali del 2022.
Il decreto prevede l’immunità penale per i gestori e punta a dissequestrare gli impianti perché come spiega bene Bernabé, altrimenti l’azienda non ha accesso al credito e non può essere venduta.
Se Mittal, il più grande produttore d’acciaio al mondo, non è stato in grado di risollevare le sorti della fabbrica nonostante i vari fondi erogati dallo Stato, chi mai potrà farlo?
Spendere 5 miliardi di euro per rilanciare l’acciaieria e riportare la produzione annua a 8 mln di tonnellate tra 10 anni ci sembra un’utopia, oltre che un prendere ancora tempo per scaricare il problema ai prossimi governi.
Il governo ci sembra più orientato a rendere ilva una fabbrica più piccola, con forno elettrico alimentato a idrogeno.
Ma a chi gioverebbe? Non di certo agli operai che con una fabbrica più piccola sarebbero costretti ad andare in esubero.
Se proprio si vuole costruire una nuova fabbrica, con nuove tecnologie, si valuti anzitutto se ne abbiamo bisogno e soprattutto se sia il caso di farla a Taranto, un territorio che per sessant’anni ha già dato.
Come Europa Verde ci chiediamo se questa non sia proprio l’occasione storica per utilizzare quei fondi in maniera differente, chiudendo l’area a caldo, smantellando gli impianti, bonificando e decontaminando i terreni inquinati con il reimpiego degli stessi operai.
Sarebbe l’unico modo per tutelare salute, ambiente e lavoro guardando al futuro della città, liberandola finalmente dalla monocoltura dell’acciaio.
Per Europa Verde
Fulvia Gravame, co-portavoce regionale
Eliana Baldo, co-portavoce cittadina di Taranto
Antonio Lenti, consigliere comunale di Taranto