Preziosi codici, nel Medioevo, sono stati il frutto del certosino lavoro di sapienti donne che, all’interno degli scriptoria, impegnavano le loro abilità.
Particolare importanza ebbe Ida di Léau (di Lovanio), monaca vissuta nel XIII secolo della quale le storiografie narrano. Ella fece il suo ingresso nel monastero cistercense di Remeige a soli tredici anni per volere di suo padre.
Sin dall’ infanzia Ida mostrò una forte inclinazione allo studio e, nelle mura del cenobio, ebbe modo di mettere a frutto le proprie inclinazioni al sapere, eccellendo tra le consorelle: la monaca si dedicava alla copiatura e alla correzione dei manoscritti. Della Beata Ida vien detto «Avendo sempre tutte le sue facoltà occupate nello scrivere, copiando con attenzione i libri per la Chiesa, correggendo un libro non piccolo, da usarsi nei giorni feriali, nei quali leggono le Lezioni dei Mattutini, appose il suo nome a moltissimi manoscritti, copiati in modo diligentissimo».
Le monache non erano impegnate soltanto nella copiatura dei codici, ma alle loro abili mani si devono anche le pregiate miniature in essi contenuti. E’ questo il caso del “Beatus di Girona”, conosciuto anche con il nome di “Codice Girona”, risalente al X secolo e ubicato in Spagna nella Cattedrale di Gerona. Il codice fu redatto nel monastero di Tàbara, retto dall’abate Dominicus, nell’A.D. 975; l’opera dall’inestimabile valore, riporta la firma di una donna addetta alla miniatura, Ende (o En): «Ende pintrix et Dei adiutrix». Con questa dicitura si evince che Ende ha la volontà di aiutare Dio mediante la sua bravura – della quale aveva consapevolezza – così da mostrare i modi in cui Egli dispiega il suo potere.
Il nome di Ende, tuttavia, precede quello del miniaturista Emeterius facendo così intendere che a ella era affidato un ruolo principale nell’illustrazione del sontuoso manoscritto composto da 284 fogli di pergamena arricchiti da innumerevoli miniature che, talvolta, risultano occupare un’intera pagina.
Un altro nome che dona lustro alla complessa arte amanuense e della miniatura è quello di Guda, monaca vissuta nella seconda metà del XII secolo e la cui auto-miniatura è rinvenibile nel capolettera di “Dominus” nella quale si rappresenta con la mano destra alzata in segno di testimonianza. Guda, che si dichiara peccatrice in quanto figlia di Eva, mette in mostra le proprie mani, di dimensioni quasi “sproporzionate” le quali si evidenziano come l’emblema della fatica data dall’obbligo e dall’impegno dell’opera che la costringe a stringere il calamo tra le mani. Non solo miniature e codici ma anche arte del ricamo: è questo il caso di Sophia, Hadewingis e Lucardis, tre monache ricamatrici del XIV secolo che vengono rappresentate intente a realizzare una tovaglia per l’altare destinata al monastero di Altenberg/Lahn (Germania). Le donne indicano il loro lavoro con il termine “Opus Nostrum” che rappresenta – nelle dimensioni di 120,7 x 396,2 cm – donne e sante che hanno il compito di rafforzare l’autorità della Chiesa: in questo caso il sottile filo di lino si sostituisce al pennello delle abili miniaturiste e al pennino delle mani copiste.