di Antonia Romagnoli
Le preparazioni alimentari nate per puro caso nell’antichità dalle grandi cuoche… dimenticate dalla Storia.
Le origini dell’alimentazione è qualcosa su cui non ci soffermiamo spesso, nemmeno in questi tempi in cui siamo bombardati di contest, di cuochi stellati, in cui tutti sembrano volersi presentare come gourmet sfoderando paroloni tecnici, anche se al massimo sanno usare a dovere coltello e forchetta.
Eppure, più affascinante della cucina stellata, è lo strano e bizzarro percorso che ha fatto il cibo per arrivare dove sta ora: un percorso per buona parte fatto di caso, stupefacente quanto incredibile.
La cottura della carne, le origini dell’alimentazione con la fiamma.
I nostri più antichi antenati, a quanto dicono gli antropologi, erano carnivori e frugivori. Ci voleva, tuttavia, per arrivare alla panificazione, un certo livello di consapevolezza: prendere cereali, macinarli, impastarli, lievitarli e cuocerli richiedeva un buon numero di operazioni.
Uccidere un animale e mangiarlo crudo era più facile.
Prendere un frutto o una bacca e mangiarla era più facile.
Come scegliere frutta non dannosa?
Anche questo era semplice, e all’inizio, puramente casuale, poi si consolidava come esperienza. Il principio era questo: se la frutta era buona, si sopravviveva.
Il momento del pasto era conviviale, o per lo meno familiare, avveniva attorno al fuoco e probabilmente i resti del cibo venivano lasciati accanto alle fiamme, per proteggerli da altri predatori.
Così facendo, per caso avvennero le prime cotture, che alla mattina erano visibili vicino alle ceneri, ma diversi da com’erano stati lasciati: la trasformazione del colore, della consistenza, della digeribilità di quegli avanzi resero la carne cotta vincente rispetto alla cruda.
Le origini dell’alimentazione passano per il pane
Cercando le origini dell’alimentazione, non si può non passare per il pane, ma già ci si imbatte in popolazioni più evolute.
Siamo in Giordania, nel 12000 a.C., e qui già entrano in gioco quelle creature che, nel bene e nel male, sono le costanti compagne del mondo alimentare umano. I microrganismi.
Senza di loro, in effetti, avremmo ben poco del cibo che abbiamo: niente pane, niente vino, niente birra né formaggi, saremmo privati di alcuni salumi, perché se è vero che contro di loro combattiamo per conservare gli alimenti e per mantenerli sani, alcuni di loro sono i nostri alleati in prima linea in questa lotta vecchia come il mondo.
In Giordania appaiono i primi pani, impasti di cereali macinati, acqua, cotti su pietra rovente. Lievitati? Forse no.
Tuttavia, in Egitto, più o meno in quel periodo, una servetta distratta dimenticò all’aria una piccola quantità di farina e acqua, e con sorpresa il giorno dopo si trovò una massa ribollente di bollicine. La cosse ugualmente (donna coraggiosa, bisogna ammetterlo!) e fu la prima, senza saperlo, a trovare il modo di fare e utilizzare il lievito madre, per impasti soffici e fragranti. Da lì si mise a punto la tecnica per ottenere il lievito in purezza, salvandolo da contaminazioni, e si arrivò a una panificazione ottimale.
Sappiamo dalla Bibbia che la lievitazione del pane in Egitto richiedeva molto tempo, tanto che per la fretta di fuggire portarono con loro solo focacce cotte sulla pietra senza lievitazione, il famoso pane azzimo simbolo della Pasqua ebraica.
Vino e birra: perché utilizzare frutta e cereali per creare bevande?
La domanda forse non sorge spontanea a tutti, ma quando ero ancora ragazzina e vedevo sulle tavole degli adulti bottiglie e lattine mi domandavo perché si scegliesse di utilizzare il terreno per coltivare viti piuttosto che piante commestibili, o di usare l’orzo per fare birra e non piuttosto cibo.
La risposta si trova alle origini dell’umanità, circondata da leggende così numerose e antiche da non trovare, per ora, spazio in questo breve percorso. Intorno al vino, che batte la birra per anzianità, anche se certo non dimostra un’età così avanzata, troviamo leggende vecchie come il mondo, non sempre che ne esaltano qualità positive (genera ubriachezza e questo ottenebrare i sensi non è visto come un vantaggio), ma le sue caratteristiche da sempre gli donano caratteristiche sacrali.
Quale caso ci ha regalato il vino? Sembra che sia stato il tentativo di conservare troppo a lungo acini, succo e grappoli in giare in una cantina. Al posto della frutta, i servi, con orrore, trovarono un’ignota, ribollente e odorosa sostanza: il mosto. impararono a domare e a trasformare quel misterioso prodotto in vino, e da un succo, apparentemente andato a male, ottennero una bevanda che non solo durava nel tempo, ma migliorava con l’invecchiamento, aveva caratteristiche organolettiche migliori dell’originale succo e molte proprietà che lo rendevano importantissimo nell’ambito alimentare, tanto da modificare per sempre le coltivazioni e le scelte dello spazio da dedicare alle varie colture..
Se la prima vite selvatica è apparsa nel Quaternario e da allora le varietà adatte a produrre vino o uva commestibile si sono moltiplicare in tutte le terre emerse, possiamo immaginare quanti tentativi ed esperimenti sono stati fatti per giungere al vino che conosciamo.
L’utilità di questa bevanda era, nell’antichità, molteplice: poteva garantire una bevanda non contaminata quando l’acqua era invece rischiosa; veniva considerata medicamentosa; forniva calorie, anche in casi di alimentazioni povere; in alcune zone, la vite era coltivabile dove altre colture non si potevano piantare.
Casuale anche la fermentazione della birra, dovuta secondo gli storici pettegoli a una casalinga distratta, intorno al Settimo Millennio, colpevole d’aver lasciato fermentare del mosto d’orzo destinato ad altri usi. Cose che potevano capitare solo al sole cocente d’Egitto o in Mesopotamia.
Insomma, donne colpevoli d’aver lasciato al caso e ai microrganismi – quasi sempre lieviti di vario genere, e fortunosamente responsabili di aver regalato all’umanità alimenti di primaria importanza.
Fonti:
Storia dell’alimentazione (Vol. 1), di J. L. Flandrin (a cura di), M. Montanari (a cura di) Laterza; 6° edizione (1 ottobre 2007).