“La famiglia finlandese che scappa dalla Sicilia per la scuola non all’altezza” è il titolo che s’incontra ovunque.
Sebbene la notizia della famiglia finlandese che, dopo un periodo di soggiorno in Sicilia, ha deciso di scappare via dall’isola sia per molti motivo di vergogna e discussioni improprie, bisognerebbe fermarsi a riflettere.
Sono in troppi, infatti, coloro che stanno cogliendo la palla al balzo per porre sotto i riflettori i difetti -o i presunti tali- della scuola italiana. Eppure, prima di prendere per oro colato quanto la famiglia finlandese ha affermato, è necessario porsi dei dubbi e analizzare con attenzione i fatti e le dichiarazioni.
Anzitutto, la famiglia, o forse sarebbe meglio dire la madre Elis, ha sostenuto di avere deciso di trasferirsi in Sicilia per sperimentare il clima e la cultura, dopo aver vissuto anche in Spagna e nel Regno Unito, credendo che il sistema scolastico fosse uniforme in tutto il Mediterraneo, senza tenere conto delle diversità insite fra i Paesi e dimostrando una scarsa conoscenza della storia (Eppure, il sistema finlandese dovrebbe essere il migliore!).
Ora, tralasciando il fatto che il Mediterraneo è solo un mare marginale dell’Atlantico che bagna le sponde britanniche e che la cultura britannica sia principalmente di impianto germanico con influenze latine, di errato c’è tutto il concetto alla base del loro trasferimento.
Anzitutto, trasferirsi in un paese è ben diverso dal recarvisi in villeggiatura. Come si può anche solo pensare di far trasferire un’intera famiglia con minori in un’altra nazione solo sulla base dell’esperienza di una vacanza o su sentito dire? In secondo luogo, passi pure lo sperimentare il clima, ma in che modo si può sperimentare una cultura, soprattutto se come quella italiana e siciliana, quindi estremamente composita e anche contraddittoria, che perfino gli Italiani fanno talvolta fatica a comprendere e assimilare?
Veniamo al nocciolo della questione che ha fatto tanto clamore, ossia le critiche mosse al sistema scolastico italiano. Sebbene sia indubbio ed evidente che esso sia in parte -non completamente!- da riformare, le critiche poste dai coniugi finlandesi sono per la maggior parte sterili.
Comprensibile e più che condivisibile l’invito a una minore competitività e a una minore staticità (gli studenti non sono soldatini che devono stare sull’attenti per sei ore!) così come anche quello a una maggiore e soprattutto migliore conoscenza dell’inglese, lingua comunitaria. Su molto altro, invece, la famiglia applica una logica “coloniale” ed estende sull’Italia paradigmi nord-europei, quindi ritenuti da loro migliori, che qui non possono trovare applicazione, a causa delle diversità territoriali e culturali.
La scuola italiana, infatti, è attualmente concepita come una scuola delle conoscenze, delle abilità e delle competenze, in cui l’apprendimento è finalizzato alla formazione e non
all’ “impiegabilità” e non può -e non deve- essere ulteriormente parcellizzato. Inoltre, affermare che gli insegnanti italiani non studino (il presente è più che d’obbligo, in questo caso) in alcun modo pedagogia e materie affini è sbagliato, soprattutto alla luce dei più recenti iter per poter insegnare (i famosi 24 e ora 60 cfu da colmare con esami di didattica, psicologia e pedagogia). Insomma, uno schiaffo morale inutile e figlio della disinformazione a tutti gli aspiranti insegnati. Che questo poi non sia sempre sinonimo di capacità di applicazione delle conoscenze ottenute è un altro discorso.
Se ciò già non bastasse, il ragionamento dei genitori finlandesi altro non è che una generalizzazione che estende il particolare fino a farlo diventare -erroneamente- universale, figlio di una percezione di superiorità.
Possibile che ancora non si capisca che non si possono adottare ovunque gli stessi criteri e le stesse formule di insegnamento? Possibile che ancora, per l’ennesima volta, il meridione italiano venga percepito come una meta idilliaca, un paradiso su Terra, basandosi esclusivamente su una rappresentazione dello stesso stantia e ormai incompatibile con i tempi?
Possibile non comprendere che vivere un territorio, con tutte le sue qualità e i suoi difetti, ravvisabili spesso solo radicandosi, sia ben diverso dal visitarlo?
Possibile che, non appena dei cittadini nord-europei muovono critiche al sistema scolastico italiano, gli stessi italiani non siano in grado di astenersi dal demonizzare e gettare fango anche su ciò che, sebbene lontano dalla perfezione, sbagliato non è?