Principale Economia & Finanza Bankitalia e il suo contestato ruolo nella politica economica nazionale

Bankitalia e il suo contestato ruolo nella politica economica nazionale

Accade che Banca d'Italia, recentemente, finisca spesso al centro della polemica, visto che non ha mai risparmiato interventi controversi e affermazioni forti sulle decisioni che la nostra classe politica dovrebbe prendere in ambito finanziario. Mentre crescono i dubbi sul compito che l'istituto potrebbe svolgere nella gestione delle future sfide per il Paese, fioccano numeri e proposte che, per alcuni, sono semplicemente "indecenti"

Iniziamo dalle affermazioni di Luigi Federico Signorini, direttore generale di Bankitalia, che aveva visto l’aumento delle bollette come step necessario nella transizione climatica e sollevato già le prime preoccupazioni (infatti sembrava che i redditi delle famiglie meno abbienti avrebbero dovuto essere sacrificati per finanziare quella battaglia ecologica voluta e imposta senza alcuna minima forma di giustizia economica).

In seguito è stata la volta delle dichiarazioni rilasciate dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, secondo cui i salari non devono aumentare (un pensiero – sviluppato nonostante il proprio stipendio, si dice, sia di ca. 450.000 euro all’anno – che ha evidenziato discrepanze e che ha mosso ulteriori interrogativi sulla coerenza delle politiche finanziarie sostenute dall’istituto nel nostro Paese). Cosa ci ha riservato la terza puntata?

Piove lavoro (oppure no?): il “rapporto ottimista”

Con la recente pubblicazione di uno studio circa gli effetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sul mercato del lavoro, sempre curata da Bankitalia, abbiamo potuto leggere 24 pagine con numerose affermazioni parziali, pare fatte dai relatori, che sono finite con l’essere anche abbastanza controverse.

Dal report emergerebbe, infatti, il quadro di un PNRR dipinto come se fosse un generoso benefit che potrebbe cambiare le sorti del Paese, anche se essenzialmente si tratta di oltre 190 miliardi di fondi presi in prestito e che dovranno essere, per la maggior parte, restituiti (la parte minore, invece, sarebbe stata già anticipata in Europa dall’Italia, sotto “altre forme” – tasse, versamenti etc. – e con cadenza regolare, facendo sì che il saldo tra entrate e uscite italiane da e verso l’UE sia all’incirca nullo): “[…]Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) mette a disposizione del Paese risorse ingenti da utilizzare entro il 2026[…]L’attuazione del Piano potrà determinare un aumento significativo della domanda in numerosi comparti” si legge nel documento, senza alcun riferimento diretto, sembra, alle implicazioni economiche di lungo termine del piano stesso.

Inoltre, lo studio avrebbe rivelato che “[…]Nella maggior parte dei settori il numero di posizioni lavorative attivate dal PNRR è in linea con – o inferiore a – quello osservato nel 2014-19”; un’affermazione che avrebbe aperto il dibattito sulle reali prospettive occupazionali sviluppate dal piano, visto che la maggioranza dei comparti economici italiani non pare che otterrà molti benefici, in termini mansionistici, dai soldi europei (a parte il mondo del digitale e dell’edilizia, ma si valuta che sarà solo fino al 2026 – non essendo il PNRR un progetto di entità strutturale -).

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Due conti (fatti male) sulla “de-istruzione” di un Paese

L’apice delle idee lanciate nel discusso studio è stata però la soluzione di utilizzare i flussi migratori per compensare la sproporzione dei posti di lavoro che il PNRR eventualmente creerà in questi due ambiti: “[…]L’aumento della partecipazione al mercato del lavoro, già in atto nel corso dell’ultimo biennio, e flussi migratori consistenti possono compensare, almeno in parte, questa dinamica”, si leggerebbe nel documento. E ancora: “[…]Politiche migratorie finalizzate all’attrazione di personale qualificato potrebbero rappresentare un canale prioritario per l’aumento dell’offerta di lavoro nel breve periodo, in un contesto di perdurante emigrazione di italiani laureati e flussi in ingresso di stranieri, caratterizzati da bassi livelli di istruzione”.

Una visione che ci fa chiedere perché Bankitalia sembri voler escludere a priori la forza lavoro italiana disoccupata (un “capitale umano” del 7,8%), che rappresenta comunque una risorsa sottoutilizzata e a cui si lascia aperta solo la porta dell’emigrazione: in pratica l’Italia si dovrebbe indebitare (finanziando obiettivi dalla dubbia e comunque non prioritaria strategicità nazionale) e dovrebbe continuare a salutare i propri giovani “cervelli in fuga” verso l’estero (dopo averli formati per più di vent’anni), mentre quel tanto di lavoro, che si creerebbe con il PNRR, dovrebbe finire con l’essere gestito da manodopera straniera, spesso clandestina?

Concludendo e considerando il fatto che l’organismo con sede in via Nazionale pare ultimamente aver assunto un rilevante ruolo politico – ben al di sopra del proprio mandato finanziario -, la gente non potrebbe cominciare a porsi delle domande sulle priorità e sulle politiche economiche suggerite dall’istituto?

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Fonti online:

ByoBlu (testata giornalistica ed emittente televisiva nazionale; articolo di Michele Crudelini del 07 febbraio 2023), sito di Banca d’Italia, Start Magazine, Il Sole 24 Ore, Agenda Digitale, La Repubblica.

Canali YouTube: Libero Quotidiano, Banca d’Italia – Eurosistema.

Antonio Quarta

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

Il Corriere Nazionale

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