Il Santo Padre ha modificato i relativi canoni (canone 700 del Codice di Diritto Canonico e canone 501 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali) con una Lettera Apostolica di motu proprio, firmata il 2 aprile in San Pietro e pubblicata oggi. Pertanto Papa Francesco estende a trenta giorni, il termine entro il quale le persone consacrate dimesse dagli istituti religiosi possono impugnare la sentenza nei loro confronti, una modifica che mira a garantire i diritti della persona. I dimessi da tali Istituti non dovranno più “chiedere per iscritto al suo autore la revoca o la correzione del decreto”.
Diritto canonico: i motivi del cambiamento
Il diritto canonico prevedeva che, per essere valido un decreto di dimissione emesso nei confronti di un religioso professo, dovesse indicare il diritto del religioso di ricorrere all’autorità competente entro dieci giorni (quindici giorni per le Chiese orientali) dal ricevimento notifica del decreto. Un ricorso ha “effetto sospensivo” durante l’esame dell’atto. Secondo Papa Francesco, “i termini originari non possono dirsi congruenti con la tutela dei diritti della persona”. Invece, scrive nella sua Lettera, “una modalità meno restrittiva dei termini di trasmissione del ricorso consentirebbe all’interessato di poter meglio valutare gli addebiti a suo carico, nonché di poter utilizzare modalità di comunicazione più adeguate ” La decisione di estendere il termine a trenta giorni risponde a queste preoccupazioni. Il Pontefice ha motivato la sua decisione citando il sesto principio generale che il Sinodo dei Vescovi, nell’ottobre 1967, adottò per la revisione del Codice di diritto canonico: “è opportuno che i diritti delle persone siano definiti e salvaguardati”. Questo principio, ha detto il Papa, “rimane valido anche oggi, riconoscendo alla tutela dei diritti soggettivi un posto privilegiato nell’ordinamento giuridico della Chiesa”; è particolarmente rilevante “negli avvenimenti più delicati della vita ecclesiale, come i procedimenti concernenti lo stato giuridico delle persone”. Tuttavia Bergoglio ha anche riconosciuto “il pericolo” che la procedura prevista dai cann. 697-699 del Diritto Canonico e dai cann. 497-499 del Codice delle Chiese Orientali “possa non essere sempre correttamente seguita”. Tale procedura prevede, tra l’altro, l’ammonizione del religioso per iscritto o davanti a due testimoni, con l’imposizione esplicita della dimissione in caso di mancato pentimento, comunicandogli chiaramente la causa della dimissione e concedendo loro piena facoltà di difendersi. Il mancato rispetto della corretta procedura, ha sottolineato il Papa, potrebbe “mettere a rischio la validità del procedimento di conseguenza la tutela dei diritti del dimesso”.