INTERVISTA – Vincenzo Angiulo, autore pugliese emergente nato a Cassano delle Murge (BA) nel 2001, ha conseguito il titolo di geometra all’Istituto superiore Nervi-Galilei scoprendo però ben presto la passione per la scrittura. Ha pubblicato già due romanzi fantasy “La Candela Rossa” e “Omnifobia”, è direttore e fondatore nel suo paese del movimento culturale Seminamus e redattore per giornali locali. Da pochi giorni è disponibile il suo nuovo libro “Fanciullezza mortale” (Giacovelli Editore) su cui ho voluto indagare con quest’intervista.
Seppur giovanissimo, hai all’attivo già tre libri. Com’è nata la tua passione per la scrittura?
Questa passione è nata in quarantena quando mi sono avvicinato – più di quanto già non fossi – al genere letterario fantasy. In particolare mi hanno sempre affascinato i romanzi gotici di Howard P. Lovecraft o i grandi classici di Bram Stoker, Edgar Allan Poe e Arthur Conan Doyle e tutti quelli che sono gli autori del mistero. Il loro modo di scrivere ha attirato così tanto la mia attenzione che da semplice lettore e con una voglia sfrenata di provare qualsiasi cosa, ho deciso – non avendo molto altro da fare in lockdown (ride, ndr) – di cominciare a raccontare le numerose storie che per anni mi sono divertito ad immaginare.
“Fanciullezza mortale” è il titolo del tuo ultimo lavoro. Cosa vuol dire?
Al di là del genere noir-fantasy, che ruota intorno ad amore, fantasmi, vampiri e case infestate, quello che più mi interessa e su cui mi sono maggiormente focalizzato è stato il messaggio che volevo trasmettere, ossia spiegare con una storia il famoso proverbio “non è tutto oro ciò che luccica”. Ogni giorno siamo incollati ai nostri cellulari e tramite i social sbirciamo la vita degli altri credendola stupenda, quando in realtà e nel profondo molto spesso è esattamente il contrario. Con questo titolo, perciò, ho voluto ricordare che non bisogna farsi ingannare dalle apparenze. La protagonista del mio libro, ad esempio, si innamora follemente di un nobiluomo misterioso che però cova dei segreti.
Qual è la trama?
Giovanni è un ragazzo che fa ritorno al suo paese natale perché il nonno sta morendo. Questi gli lascia in eredità un anello al cui interno è nascosta non solo una storia, ma anche una maledizione. Fin da quando ne entra in possesso, infatti, Giovanni viene catturato dalla smania di rintracciare il suo legittimo proprietario, il conte De Magli; recandosi nella sua villa però viene accolto da una macabra sorpresa e inizia ad essere assalito da visioni di fantasmi che rappresentano il suo passato. Spaventato e segnato dalla perdita del nonno, decide di andarsene in vacanza. Lì rincontra una vecchia amica, Claudia, di cui si innamora ma la loro storia viene brutalmente stroncata dal conte, in quanto questi, dopo aver raggiunto Giovanni per riappropriarsi dell’anello, uccide la ragazza, rivelandosi un vampiro. Così come il celebre “Intervista col vampiro” quest’ultimo inizia a raccontargli tutta la sua vita, fino a quando il giovane ha un’altra visione: stavolta si tratta di Silvia, amante del conte e donna che suo nonno in fanciullezza aveva cercato di sedurre. Qui Giovanni comprende che la coppia lo aveva privato della sua donna, con l’intento di vendicarsi su di lui per i torti subiti moltissimi anni prima, dimostrandogli quanto sia straziante perdere la persona a cui più si tiene. Nell’epilogo, però, giocando ancor di più sull’assurdo, Claudia viene fatta tornare in vita.
Da dove hai tratto ispirazione per un tale intreccio narrativo?
Da due punti focali. In primis una imponente villa situata all’ingresso di Cassano delle Murge appartenente al generale Magli, villa che riesco a vedere facilmente da casa mia e che mi ha sempre molto incuriosito portandomi ad ammirarla anche per ore e ore e tanto da inserirla nella mia storia. In secundis, la mia musa ispiratrice è stata una ragazza che ho amato tantissimo, Silvia, con cui sono stato fidanzato ma che ho perso per vari motivi, rimanendo particolarmente segnato da ciò, come spesso accade negli amori giovanili. Ho voluto quindi omaggiare e ricordare la nostra relazione, affidando il suo nome a uno dei personaggi del mio libro.
“Se conoscessimo così bene la notte, non ne avremmo paura. Ci sono orrori che non siamo ancora pronti a scoprire e al sol pensarci, tremiamo!” – hai scritto. Cosa intendi?
Questa frase è frutto delle mie prime letture che, come succede a tutti gli scrittori, poi ti rimangono dentro plasmando e influenzando in qualche modo il tuo pensiero. Io ho avuto la fortuna-sfortuna (ride, ndr) di iniziare approcciandomi a Lovecraft, uno degli autori horror per eccellenza, di cui conosco infatti quasi a memoria tutti i racconti. Lui basa il suo orrore su quello che non conosciamo o che crediamo di conoscere e il pensiero di conoscere qualcosa che può fare male senza neanche mostrarsi è terribile. A mio avviso l’orrore si manifesta meglio di notte, quando tutto è buio perché è in quel momento che ci sentiamo più spaesati e persi, non riuscendo a vedere. Per tale motivo, infatti, il mio racconto è ambientato sempre di notte e molte scene giocano proprio sul vedo non vedo, sulla figura del fantasma e l’idea terrificante di vedere qualcuno per un solo secondo, di sfuggita, e capire che può essere pericoloso.
Come ti vedi nel tuo futuro?
Qualche tempo fa avrei risposto che mi vedo come stilista o come giornalista, ma ad oggi ho realizzato che quando scrivo i miei racconti sono totalmente immerso e appassionato e non potrei fare altro se non quello nella mia vita. Ho dunque intenzione di continuare ad essere uno scrittore perché sento che questa è la mia strada e in realtà sto già lavorando ad altri due romanzi molto più specificatamente horror e gotici, rispetto a questi primi tre.
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