All’inizio del 1386, a Falaise, in Normandia, si processò e giustiziò una scrofa colpevole d’aver ucciso un bimbo di tre mesi. Il crimine fu commesso nei primi di gennaio: il bambino si chiamava Jean ed era figlio di un muratore.
L’animale, forse incustodito, forse selvatico, aveva circa tre anni e, dopo un periodo trascorso in carcere e un processo durato nove giorni, fu condotto vestito in abiti maschili dalla piazza del castello fino al sobborgo di Guibray, per essere torturato, mutilato, sottoposto alla pubblica vergogna ed infine bruciato. L’episodio fu affrescato nella navata della Chiesa della Santissima Trinità di Falaise: oggi, escludendo la documentazione relativa all’edificio, non se hanno tracce in quanto fu distrutta durante l’assedio condotto da Enrico V nell’autunno del 1417.
Dal XIII secolo, in tutta Europa non furono rari i processi contro animali reputati colpevoli singolarmente, come nel caso di Falaise, di aver ucciso o ferito un essere umano o accusati d’esser flagelli, ovvero rei della devastazione collettiva di un territorio o di un ambiente (ad esempio branchi di mammiferi selvaggi o roditori causa della rovina di campi o raccolti). Nel primo caso, i processi sono laici e penali nel secondo, invece, interveniva la Chiesa risoluta nel praticare esorcismi e bandire scomuniche. Vi sono poi processi contro animali rei di aver praticato atti contro natura o stregoneria ed eresia ma questo solo tra XVI e XVII secolo, ben oltre il Medioevo.
Ma perché processare gli animali?
“L’animale è sempre fonte di esemplarità, all’uno o all’altro titolo.” ci spiega lo storico Michel Pastoureau ” Per la giustizia, mandare le bestie in tribunale, giudicarle e condannarle (o proscioglierle) significa sempre mettere in scena l’esemplarità del rituale giudiziario. Nulla sembra poter sfuggire alla sua presa, neppure gli animali.
Ogni essere vivente è soggetto al diritto.”
I capi d’imputazione potevano essere vari a differenza della dinamica dell’arresto che era sempre la stessa: catturato vivo, si conduceva l’animale in prigione. La magistratura penale del luogo si adoperava per istruire il processo e svolgere le indagini. I processi erano in piena regola con tanto di giudice che ascoltava i testimoni e difensore per l’imputato al quale veniva notificata la sentenza direttamente in cella.
Processi simili duravano un massimo di tre settimane alla scadenza delle quali l’imputato era condannato alla pena capitale per impiccagione, rogo, strangolamento, annegamento o sotterramento non prima di essere stato orribilmente mutilato, dinamica dalle tinte sempre più fosche nel tempo.
Tra tutti gli animali, al banco degli imputati finivano maggiormente i maiali, creature numerose, molto diffuse in Europa, famose non solo per il loro vagabondare ma anche per la loro vicinanza con l’uomo. Infatti, dall’Antichità fino al XV-XVI secolo si studiava l’organismo umano partendo dalla vivisezione del maiale in virtù dell’idea della somiglianza degli apparati interni delle due razze. Data la contrarietà della Chiesa verso la vivisezione umana a scopi scientifici, si ripiegava sul maiale anche per questa ragione.
Consigli bibliografici:
M.Pastoureau, Medioevo simbolico, Laterza, 2019, pp.88-179