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Festival del Lavoro nelle Aree Interne. Intervista al Dirigente Presidenza CDM, Dott. Vetritto

A Soveria Mannelli (CZ) si svolgerà dal 25 al 27 maggio 2023 il “Festival del Lavoro nelle Aree Interne”, un evento organizzato dall’associazione RESpro – Rete di storici, in collaborazione con la Fondazione Appennino e la casa editrice Rubbettino. Il convegno si focalizzerà sulle strategie da mettere in campo per porre le basi e per fornire una progettualità di ampio respiro, fortemente integrata con il territorio; che tenga conto della complessità di tutte le componenti fondamentali di quest’ultimo (attori sociali, interessi, questioni ambientali ecc.) e garantire una prospettiva futura alla montagna, al fine di rendere concreto ogni progetto di sviluppo delle aree interne. All’evento di sabato 27 maggio, parteciperà anche il Dott. Giovanni Vetritto, dirigente alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento Affari Regionali e le Autonomie, politiche urbane e della montagna. Il Comitato tecnico scientifico, sarà composto da Francesca Castanò, Maddalena Chimisso, Augusto Ciuffetti, Rossella Del Prete, Barbara Galli, Gianni Lacorazza, Piero Lacorazza, Omar Mazzotti, Roberto Parisi, Florindo Rubbettino, Renato Sansa, Manuel Vaquero Piñeiro.

L’iniziativa nasce con l’obiettivo di promuovere strategie per la crescita e il cambiamento delle aree dell’entroterra; un territorio troppo spesso rimasto ai margini della vita del Paese. Difatti, lo spopolamento dei nostri territori montuosi mette al centro del dibattito diverse tematiche, dal lavoro all’inclusione sociale. I macro-trend di cambiamento a cui stiamo assistendo negli ultimi decenni hanno un forte impatto sulla società, sull’economia e sulla cultura e coinvolgono in modo rilevante anche le aree montane. In risposta a queste tendenze di cambiamento, i territori mettono in luce questioni differenti e ancora poco affrontate. A tal proposito il Dott. Giovanni Vetritto fa il punto della situazione. Vi propongo l’intervista che mi ha rilasciato, ringraziandolo per la disponibilità e la gentilezza.

Il lavoro nelle aree interne. La pre-condizione è, che la gente resti in montagna, con servizi e infrastrutture. L’accessibilità non è un fattore assoluto, ma un elemento relazionale. Varia per aree geografiche, ma anche e soprattutto, in funzione di decisione pubbliche: la dismissione di un plesso scolastico, il declassamento di una stazione ferroviaria, la chiusura di un ospedale, sono fattori che determinano emarginazione, svalutazione e abbandono dei contesti rurali e montani, delle aree più lontane dalle città e più legate a forme di vita autoctone o tradizionali. Come si può pensare di ristabilire un proficuo rapporto tra giovani generazioni e territori spopolati, e al tempo stesso intercettare strategie ad ampio spettro per “educare“ a non abbandonare la montagna?

“Occorre dare forza a due strategie che sono state lanciate ormai da qualche anno, ma che stentano ancora a produrre i risultati attesi: quella delle aree interne e quella delle green community. La prima è la strategia che deve offrire ai territori soluzioni ai problemi di scarsità dei servizi di cittadinanza, in primo luogo scuola, sanità e trasporti. La seconda è volta a territorializzare la strategia nazionale dello sviluppo sostenibile, offrendo ai territori un modello di sviluppo alternativo all’industrialismo novecentesco, nel segno della sostenibilità. Entrambe queste strategie richiedono un impegno multilivello, che veda gli enti locali oerativi in proprio ma sostenuti da chiare programmazioni regionali e da coerenti scelte dei ministeri romani”.

Le forme di innovazione sono alcune delle richieste dei piccoli paesi e delle aree montane. Tuttavia, la lotta contro i nemici del progresso e il sostegno ai soggetti innovativi delle aree interne, al fine di raggiungere uno sviluppo sostenibile e consentire alle famiglie di continuare a vivere in zone montuose, sono al centro della sfida per il raggiungimento degli obiettivi del PNRR. Penso ai servizi, al turismo di qualità, a nuove filiere e allo sviluppo locale. Dottor Vetritto, secondo lei si riuscirà ad attuare un processo di trasformazione tutelando al contempo le risorse naturali?

“E’ la grande sfida della modernità. I nostri territori, in specie quelli a lungo marginalizzati dal “capitalismo dello spreco”, hanno tutte le condizioni per riuscire in questa prospettiva. L’Italia è già oggi produttrice ed esportatrice di tecnologie della sostenibilità, tutto sta che gli attori locali sposino con convinzione questa prospettiva e investano coerentemente facendo scelte oculate. Io resto ottimista”.

I progetti per il rilancio delle aree interne: da nord a sud dello stivale. Nelle aree montuose si concentra molta parte della biodiversità, che consente la produzione dei servizi ecosistemici. In questo senso quali politiche di sostegno e valorizzazione dei fattori competitivi si potrebbero prospettare, considerando le tradizioni artigiane e agro- silvo pastorali?

“Per progettare in maniera sistemica il rilancio del Paese serve una nuova strategia metromontana, un rinnovato scambio tra aree urbanizzate e rarefazione dell’interno. Uno scambio più equo risetto al passato, nel quale la polarità ricca paghi alle zone incontaminate un prezzo per i servizi che la natura delle aree interne offre anche alle città. Ma detto questo occorre anche che la polarità interna sappia mettere a valore i suoi saperi e le sue tradizioni, rilanciandole in coerenza con le nuove tecnologie e i nuovi mestieri della sostenibilità. Le vie di questa contaminazione di antico e di futuribile sono molte e vanno perseguite con coraggio”.

Gli investimenti del PNRR per le green communities. Si tratta dell’unico investimento previsto nel PNRR di titolarità del dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie. Può illustrare di cosa di tratta?

“Come accennavo poc’anzi, la Green Community è una configurazione di azioni per lo sviluppo, che devono sfruttare le potenzialità endogene di sviluppo sostenibile dei territori. Detto questo, però, nel PNRR si è deciso di finanziare una trentina di prototipi, trenta chiodi piantati in tutte le regioni italiane finanziati con risorse a fondo perduto per aprire la strada e fungere da pietre di paragone per le altre aggregazioni territoriali che vogliano tentare la medesima strada. Per riconciliare “la polpa” della pianura e “l’osso” della montagna, secondo la vecchia concettualizzazione dei Manlio Doria, si è deciso di partire da questo investimento aggiuntivo. Con la speranza che inauguri una stagione di comunità verdi, sostenibili e sussidiarie che attirino nuovamente i giovani combattendo lo spopolamento”.
 

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