Principale Economia & Finanza Fine del colonialismo indiretto, l’Africa saluta il dollaro USA

Fine del colonialismo indiretto, l’Africa saluta il dollaro USA

Il presidente kenyano Ruto, dal pulpito del Gibuti, è stato lapalissiano: basta monete straniere negli scambi interni al continente nero (per un mero fatto di semplificazione e sviluppo, niente di personale dicono…). Ma mentre chi l'aveva previsto annota le colpe politiche, spunta repentino chi, temendo i rischi pone un freno. E nessuno continua a notare la trappola più pericolosa

William Samoei Arap Ruto, presidente della Repubblica del Kenya, nel corso di un suo recente discorso tenuto al parlamento del Gibuti, ha inaspettatamente invitato tutti i Paesi africani a non utilizzare più la moneta statunitense negli scambi commerciali interni e interstatali. Una mossa che potrebbe puntare a ridisegnare le dinamiche finanziarie globali e ad affrancare definitivamente il “Continente nero” dal plurisecolare colonialismo occidentale, reo di aver sempre impiegato l’economia come leva di sudditanza politica, culturale e militare.

Ostilità verso il dollaro? Solo una questione di libertà (commerciale)

Parlando degli affari in corso tra il proprio Paese e il Gibuti, Ruto ha sottolineato: “Perché è necessario per noi comprare da Gibuti e pagare in dollari? Perché? Non c’è ragione! Non siamo contrari al dollaro, vogliamo solo commerciare più liberamente. Lasciateci pagare in dollari quello che compriamo dagli Stati Uniti, ma per quello che acquistiamo da Gibuti, usiamo la moneta locale”.

Il presidente kenyano ha evidenziato poi come l’African Export-Import Bank (Afreximbank), un organismo economico panafricano fondato nel 1993 per mezzo della Banca africana di sviluppo (AfDB), potrebbe essere la chiave giusta per agevolare i rapporti di compravendita di beni e servizi tra le nazioni continentali, mediante l’utilizzo esclusivo delle rispettive valute nazionali.

In tal senso, proprio il Kenya si è dichiarato da tempo impegnato in un’ulteriore integrazione economica tra i vari Paesi dell’area, mirando a ridurre la dipendenza dalle monete estere. E un distacco dal dollaro a stelle e strisce, dicono, aiuterebbe nella semplificazione dei movimenti bancari e nel rafforzare l’espansione finanziaria interna al continente.

Critici gli “addetti ai lavori”: dollaro scelta più affidabile

Gli esperti di settore, difficilmente “di scuola” africana, asiatica, slava o latina, hanno prontamente ostentato il proprio scetticismo in merito alle prese di posizione di Ruto – e non solo -, dichiarando che l’uso della divisa statunitense fosse ancora quello da preferire, fondamentalmente per una garanzia di stabilità monetaria certificata dalla storica solidità dei circuiti americani. Questa robustezza, inoltre, non solo sarebbe sinonimo di sicurezza, ma faciliterebbe anche l’accesso a una serie di risorse finanziarie attualmente gestite soltanto in dollari (tipo fondi di investimento etc.).

È interessante notare anche come la proposta kenyana sia giunta simultaneamente alle deduzioni della segretaria del Tesoro statunitense Janet Yellen, la quale aveva da poco previsto una graduale diminuzione della forza economica degli Stati Uniti d’America e un eventuale interesse, da parte degli altri Stati, a “diversificare” le riserve finanziarie internazionali, sebbene la valuta di Biden resti ancora la più salda al momento.

Un distacco delle nazioni africane dal dollaro, da sempre perno vincolante per i loro sistemi monetari locali fortemente volubili, potrebbe ora intensificare la crisi del “verdóne”. Uno sconvolgimento che, secondo la stessa Yellen, potrebbe essere stato alimentato anche dalla prolungata incertezza politica del Congresso USA riguardo al tema “tetto del debito, fattore che avrebbe minato la fiducia mondiale sull’impegno che lo “zio Sam” talvolta profonde nell’onorare i propri accordi.

Il franco CFA, ovvero come ingabbiare un topolino

Questo “scontro di idee“, quindi, sembra assumere sempre più i connotati di una relazione che si potrebbe instaurare tra un gatto e un topo, dato che gran parte del continente africano è tuttora ancorato all’Occidente anche da un secondo “retaggio d’età coloniale“, ossia dal franco CFA (moneta stampata dalla Francia per 14 Stati, in cambio di un’importante “posizione vantaggiosa” nel controllo delle loro esportazioni).

Kemi Seba, emblema del panafricanismo mondiale, tempo fa aveva descritto con esattezza il trattamento da “proprietà da sfruttare” riservato all’Africa, ponendo l’accento sul “ricatto monetario” scatenato dal franco CFA e parlando espressamente di “annientamento della competitività”:

“Vi dirò semplicemente che quando parliamo di franco CFA parliamo di una moneta che è stata creata negli anni ’40 con l’obiettivo di permettere alle imprese francesi di poter esportare le loro risorse nel continente africano senza avere un controllo da parte di qualcuno che ne avesse il potere. In seguito il franco CFA è diventato, quello che è oggi, una moneta agganciata all’euro. […]E questo permette alle imprese europee di fare il loro business. […]L’euro è una moneta davvero troppo forte per le nostre economie locali, annienta qualsiasi processo di competitività. E per questo motivo, oltretutto, la bilancia commerciale dei Paesi africani della zona francese è deficitaria. Non si può raggiungere alcuno sviluppo sul terreno economico in Africa finché avremo una moneta che è troppo forte per le nostre economie. Il franco CFA avvantaggia quindi le imprese francesi e le imprese europee, ma non dà alcun vantaggio alle imprese africane”.

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Fonti online:

ByoBlu (testata giornalistica ed emittente televisiva nazionale; articolo di Giuliana Radice del 15 giugno 2023), Wikipedia, sito di African Export-Import Bank (Afreximbank), sito di African Development Bank Group (AfDB), Today News Africa, WHAT’S UP NEWSLETTER FINANZA (a cura di FININT PRIVATE BANK), MARKETS INSIDER (a cura di BUSINESS INSIDER), Blog di Ebury, Investire.biz, Trasform! italia;

Account Twitter: Simon Ateba;

Canali YouTube: Kenya Digital News, Daniel Gomes.

Antonio Quarta

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

Il Corriere Nazionale

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