Principale Arte, Cultura & Società Musica, Eventi & Spettacoli I Picasso Cervéza presentano “Paura dei Caccia”

I Picasso Cervéza presentano “Paura dei Caccia”

INTERVISTA – Venerdì 7 luglio per ADA Music Italy è uscito “Paura dei Caccia” il debut EP del collettivo pugliese Picasso Cervéza, un asse tra Molfetta, Bisceglie e Andria. Si tratta di un lavoro che racchiude tutti i nove anni condivisi tra sala prove e palchi del nostro territorio; un EP ricco di contrasti, di storie di vita, di sound ricercato e di spontaneità, ma soprattutto di voglia di giocare con la musica insieme ai propri amici. Ne ho parlato con l’autore dei testi e la voce del gruppo, Guido Tattoli.

Chi sono i Picasso Cervéza?

I Picasso Cervéza nascono come la più banale delle storie: cinque amici di una vita che decidono di iniziare a suonare insieme. Durante gli ultimi anni del liceo, quindi 2014/2015, io suonavo la chitarra e scrivevo brani di stampo blues-jazz e cercavo dei musicisti con cui poter girare dal vivo; la prima scelta è ricaduta su Nicolò De Candia per la batteria, con cui avevamo già a quindici anni suonato insieme in altri progetti garage rock-progressive rock, poi è subentrato Giorgio Bruno alla chitarra, che incontravo spesso in sala prove e sapevo stesse cercando un gruppo con il quale esibirsi; in seguito si è unito il tassello hard rock-new metal del collettivo, Valerio Di Ceglie al basso, il quale abbiamo conosciuto, invece, durante una giornata dell’arte del mio liceo. Per tre/quattro anni siamo stati in giro con questa formazione, poi a cavallo tra il 2018 e il 2019 si è aggiunto con il sax Riccardo Fortunato, in pratica “un cervello che fa scopa” non saprei descriverlo meglio. Nonostante le provenienze artistiche diverse e i caratteri singolari di ognuno di noi, ci siamo trovati subito. Il nome del gruppo è nato per gioco da un brainstorming in occasione del nostro primo ingaggio per un concerto su un veliero antico a Molfetta: io stavo studiando Picasso per la maturità e Giorgio stava bevendo una birra insieme ad un altro amico; in italiano o in latino non avrebbe reso l’idea, quindi, abbiamo virato sullo spagnolo ottenendo così Picasso Cervéza. In seguito più volte siamo stati tentati dal cambiarlo, ma la spontaneità con cui è nato è anche uno dei nostri più importanti punti di forza e adesso ormai sono passati nove anni, quindi ce lo terremo (ride, ndr).

 

L’Ep è intitolato “Paura dei caccia”. Qual è il significato?

Tutto il concept del lavoro è quello di raccontare una storia, che in termini di scrittura è mia, ma su cui anche altre persone possano identificarsi. Il sequencing dell’album, ossia l’ordine in cui sono stati messi i brani, non segue però il filo del racconto bensì si concentra su un ascolto fluido dando l’opportunità di spaziare tra tutte le nature insite al suo interno. Il titolo è frutto di un aneddoto, come per tutti i pezzi: la nostra sala prove si trova nei pressi di un’autorimessa per trattori, in cui c’è un vecchietto di Bisceglie non molto scolarizzato, accompagnato da dei bellissimi cani che lascia liberi di scorrazzare mentre scarica l’attrezzatura. È capitato molto spesso che, durante le piccole pause-sigaretta, ci chiedesse uno ad uno: “Paura dei cani c’hai?” che pronunciato in dialetto stretto ci pareva dicesse piuttosto “Paura dei caccia?”. Si tratta di una storia stupida – ne siamo consapevoli (ride, ndr) – ma ci è rimasta davvero impressa.

Come sono nati i pezzi?

Noi non lavoriamo per arrangiamenti, ma per flussi. Veniamo tutti quanti da un background diverso, come dicevo, e abbiamo imparato negli anni a conoscerci. Quando io portavo in sala prove un’idea di quelle che avevo scritto, gli arrangiamenti nascevano letteralmente al momento, in base all’intenzione con cui ritenevamo giusto suonarlo. Infatti, sono brani che hanno quasi nove anni e che nel tempo sono stati rimaneggiati più volte, perché appunto catturare un flusso non è facile: sono il risultato finale di istantanee, di momenti che abbiamo vissuto e siamo contenti di aver vissuto, trasmesse con un sound che ci rappresenta in toto.

 

Parlando appunto di sound, l’avete definito “un rock liberatorio”, ma liberatorio da cosa?

L’intero Ep esplora la vena soul, jazz, hip-hop, low-fi nei primi sei pezzi, mentre l’ultimo – dal titolo appunto “Siamo Liberi” – è un rock sperimentale e l’unico brano a non parlare d’amore. Può sembrare una frase da Baci Perugina, però noi intendiamo “liberatorio da quello che è il mercato musicale attualmente”. Abbiamo lavorato tantissimi anni per ottenere questo risultato e nel frattempo ci siamo dedicati anche all’arrangiamento di brani per altri artisti e gruppi emergenti locali, da cui abbiamo imparato e “rubato” molto. Spesso ci è capitato che qualcuno ci chiedesse di creare sound più commerciali, rinunciando alla propria identità a favore di un possibile maggior guadagno. Con “Siamo liberi” abbiamo fondamentalmente parlato di questo meccanismo ed è un brano che forse in radio non passerà mai, perché è lontano dagli ascolti soliti di un italiano medio, ma che di sicuro rappresenta i Picasso Cervéza. E abbiamo scelto anche di registrarlo alla vecchia maniera, ossia in presa diretta, ispirandoci al Best of di Ray Charles e all’album “Reset” dei Negrita: ci siamo attaccati agli amplificatori e abbiamo semplicemente suonato dal vivo e di getto, apportando tutta la parte elettronica poi in post produzione. Con questo pezzo inoltre chiudiamo di solito i live per mandare un messaggio: “Quello che avete ascoltato fin ora è tutto diverso e variegato perché siamo liberi di fare musica come vogliamo e sì, probabilmente non avremo mai grande successo, ma l’importante è esprimere noi stessi con qualcosa di vero”.

 

Nei testi giocate molto sui contrasti “alti e bassi”, “lacrime e risate”, “caos e calma”. Scelta stilistica o l’approdo di un percorso di ricerca?

La scrittura è stata per alcuni brani molto immediata, per altri invece più diluita nel tempo. “Paleena” per esempio già nelle prime stesure aveva una sua forte identità ed è rimasta quella, mentre “Anticonvenzionale” essendo nato nel 2015 lo abbiamo rimaneggiato perché riascoltandone la bozza ci sembrava non avesse più il flusso adeguato e il mood che desideravamo. All’inizio era un pezzo d’amore ricco di positività e dell’ingenuità tipica dei diciannove anni; in seguito ho voluto introdurre nel testo il dualismo tra i ricordi più belli di una storia e le punte di amaro che prima o poi si presentano. L’intento è sempre lo stesso: esprimere quello che pensiamo senza filtri, per la sola volontà di scrollarsi di dosso un peso che altrimenti logorerebbe dentro. “gAJA” è un pezzo di 36 sec in cui parlo letteralmente di tre ragazze diverse, quelle storie fugaci di una notte, a volte anche mai iniziate (“Bianca, come il bacio che non ti ho dato l’altra sera”).

 

Fare musica in Puglia e raggiungere degli obiettivi importanti è possibile?

Prima ancora di possibile o no, fare musica qui è bello. È bello perché c’è condivisione e voglia di fare musica sincera. Il problema è che non si lavora. C’è ancora l’idea per cui fare il musicista non sia un vero lavoro, ma piuttosto un hobby, un modo diverso per passare la sera con gli amici. Tutti noi, infatti, studiamo e lavoriamo in altri ambiti per mandare avanti la baracca ma cerchiamo di viverci il nostro progetto artistico comunque con il massimo della professionalità. Tutto questo è un peccato perché la nostra terra è ricca di ispirazione, di idee molto buone che vale la pena ascoltare e che devono semplicemente crescere e farsi conoscere. La difficoltà sta nel farsi prendere sul serio. Una band di nostri cari amici, i Think about it, si sono trasferiti a Milano e ogni volta che li incontriamo dicono: “ci manca Bari però qui si lavora, qui possiamo dire di lavorare nella musica e possiamo con questo mestiere condurre una vita dignitosa”. Però va anche detto che per esempio, il nostro studio di registrazione – che abbiamo frequentato da quando abbiamo iniziato a pubblicare i singoli un annetto fa – ora è popolato per il 70% da persone con cui condividiamo palchi, come Il Maestrale, Gasbi, Marea, Al Verde, e che la nostra sala prove – più che altro un parco giochi per noi (ride, ndr) – si è ripopolata e non solo di artisti molfettesi/del nord barese, ma anche di fuori come il vincitore del Premio Puglia Sound, Giorgio Schino, per il quale stiamo curando scaletta ecc, Al Verde e una cover band di Stevie Wonder. Insomma, pian piano si sta creando un circolo e siamo molto contenti di ciò.

 

Live per quest’estate?

Per quest’estate ci stiamo muovendo con i piedi di piombo. Più si cresce più si perde la pazienza di andare locale per locale a lottare per una data e un cachet dignitoso, perciò abbiamo deciso di fissare pochi live ma diversi tra loro, organizzando il duo acustico o il power trio, oppure dei dj set interamente suonati. Ad oggi non abbiamo un calendario specifico ma ci sono delle occasioni in cui sarà possibile ascoltarci e che man mano annunceremo. La primissima sarà domani 15 luglio all’Eremo Club di Molfetta come ospiti del live di Al Verde e sarà un momento di condivisione, di scena che si ritrova in un’unica serata (Marea, Alessandra Valenzano de Il Maestrale, Orazio Saracino – un film music composer -, noi e i Guatemala). Venite a sentirci, perché è gratis e perché ve lo giuro che ne vale la pena!

ASCOLA QUI “PAURA DEI CACCIA”:

 https://open.spotify.com/album/7KPkWVO6Hw1B95lDQg9qWI?si=BUIiu9vuQamkkXtu2kzq7Q

TRACKLIST
01. Paleena / 02. gAJA/ 03. Anticonvenzionale / 04. Faccia a Faccia / 05. Di domenica / 06. FRAGILE (Affirmation) / 07. Siamo Liberi

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