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La fantascienza diventa realtà?

Man and AI robot waiting for a job interview: AI vs human competition

L’Intelligenza artificiale, I. A., segna un passo avanti nell’innovazione tecnologica, eppure un alone di pericolosità avvolge la nuova, e per alcuni, ormai prossima interrelazione tra macchine e uomo.

Sono anni che le macchine ci accompagnano e ci rendono maggiormente performanti. Procediamo per sommi capi tra le più note innovazioni: la scrittura, ad esempio, da carta e penna è passata alla macchina da scrivere, quindi ai programmi dei primi personal computer e oggi gode del sostegno dei più moderni pc e sistemi operativi, inclusi quelli di dettatura.

La modalità di spostamento delle persone è un’altra testimonianza di come da un muoversi a piedi si sia arrivati alle carrozze, per poi spostarsi a bordo dei primi prototipi delle macchine e oggi poter disporre di una vasta gamma di veicoli che meriterebbe capitolo a parte per discutere quale sia la scelta più giusta o performante: motore tradizionale, tecnologia Plug-in o totalmente elettrica.

Anche comunicare è diventato certamente più immediato rispetto ai primi scambi epistolari; in commercio i modelli più sofisticati di smartphone, completi di aggiornatissime applicazioni, si competono il primo gradino del podio.

Tutti esempi di evoluzione e innovazione di un qualcosa che inizialmente rappresenta l’apice di una ricerca di miglioramento per poi lasciare il posto a un qualcosa dello stesso valore, che invita a guardare sorridendo il precedente prototipo.

Accadrà la stessa cosa con ciò che si intende per intelligenza artificiale? Ieri si parlava di un’idea di intelligenza artificiale, oggi si parla di una sua, non solo imminente, bensì sempre più marcata e “attiva” presenza. Domani, proveremo l’esperienza di interagire direttamente con le macchine finché guarderemo sorridendo alle voci che richiamavano all’attenzione, al pericolo?

Innegabile è l’importanza della tecnologia accanto all’uomo; è sostegno valido del percorso innovativo che tocca i più diversi ambiti come la meccanica, la medicina, o altri campi nei quali accanto al lavoro della persona, inteso nel senso più materiale, si affianca il funzionamento di macchinari e programmi operativi il cui risultato è, ad esempio, efficienza e risparmio di tempo.

Ciò che si prospetta in futuro va oltre, è lo sviluppo di quella che può essere definita elaborazione del linguaggio naturale: interazione tra computer e linguaggio umano. Una nuova disciplina che a breve pare possa rendere il computer capace di comprendere e intendere l’espressione naturale dell’uomo, con un’altissima e conseguente capacità di relazione. La fantascienza diventa realtà? L’enciclopedia Treccani riporta alcune definizioni delineate, o dovremmo dire, evolute nel tempo riguardo all’I.A. Ne riporto alcune parti della definizione presente nella V Appendice dell’Enciclopedia Italiana e datata 1992: “L’i.a. è una moderna disciplina sorta nell’ambito della scienza dei calcolatori e dell’informatica (…) riveste un indubbio interesse per coloro che siano interessati a un’approfondita valutazione delle potenzialità dell’informatica e degli effetti che il progresso di questa disciplina ha e avrà nei confronti dell’uomo (…)”. Ora leggiamo la definizione riportata dall’Enciclopedia dei Ragazzi del 2005: “L’intelligenza artificiale è una disciplina situata all’incrocio tra informatica e psicologia, nata nella seconda metà del 20° secolo. L’intelligenza artificiale studia se e in che modo si possano riprodurre al computer i processi mentali più complessi (…) Il nostro cervello somiglia a un calcolatore? (…) ”. Infine, la definizione nella IX Appendice dell’Enciclopedia Italiana del 2015: “L’intelligenza artificiale (IA) è la capacità di un computer o di un robot di eseguire compiti tradizionalmente eseguiti da esseri intelligenti. Realizzare l’IA significa quindi sviluppare sistemi dotati delle funzioni tipiche dei processi intellettivi umani, quali percepire, associare un significato e ragionare su ciò che si percepisce, decidere, compiere azioni, comunicare o apprendere dall’esperienza (…)”.

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Appare chiara una cosa: il significato sta evolvendo in una direzione sempre più vicina alla dimensione umana. Se a fine del secolo scorso l’I.A. era inclusa tra parole “calcolatori” e “informatica”, pian piano le si è accostata la parola “psicologia”, “capacità”, “esperienza”. Riporto un pensiero ascoltato durante un interessante e recente podcast riguardo alla tematica “Intelligenza artificiale”: “(…) la macchina è una macchina che fa conti, somme e moltiplicazioni, esponenziali, modelli matematici che fanno conti, non apprendono come facciamo noi (…)”.

Effettivamente l’uomo apprende per tentativi ed errori, sin da piccoli sperimentiamo il mondo e attraverso il contatto con ciò che ci circonda, apprendiamo. Apprendere è conoscere, per poi, a un certo punto, sviluppare un’altra capacità, quella di critica e di riflessione. Ecco, questa potrebbe essere la differenza con il percorso di apprendimento dell’I.A. Un apprendimento che passa per quello che viene definito addestramento, ovvero sottoporre le macchine a lavori di lettura di dati, immagini per un lungo periodo affinché possano memorizzare e quindi fornire risposte in merito a quanto hanno immagazzinato.

Noi, immagazziniamo o memorizziamo? Credo che la risposta sia molto più complessa e in parte, sì, possa anche includere immagazzinare, memorizzare, ma non si limita a ciò. Più o meno consapevolmente, la nostra coscienza plasma gli apprendimenti in base alle esperienze, ai contesti, al proprio sentire. Ed è il sentire, inteso non come ascolto, ma come umanità, affinità, come “sensibilità”, potremmo dire anche per certi versi “spiritualità”, che rende molto distante l’uomo dalle macchine, seppur entrambi siano destinati ad avvicinarsi ancora di più.

Nel 2018, in occasione di un evento dedicato alla scienza e alla tecnologia, ho avuto il piacere di ascoltare un intervento di Piero Angela le cui parole richiamavano l’attenzione su come la difficoltà di interazione tra i tempi della tecnologia e i tempi di apprendimento dell’uomo fosse nell’eccessiva velocità della prima, cioè non si riesce a conoscere e comprendere appieno lo strumento che, in un successivo breve intervallo di tempo, si viene bombardati di notizie sull’uscita di un nuovo e più funzionale modello dello stesso.

Sarà così anche per l’interazione con le macchine? Perché, ritengo, che si possa trattare anche di una questione di tempo. L’uomo non potrebbe immagazzinare così tanti dati come la macchina in un tempo in cui quest’ultima memorizza, e parallelamente la macchina non è in grado di riflettere in breve tempo sulle esperienze agite dall’uomo. Inoltre, si tratta di una distanza legata alla capacità vera e propria di decisione e discernimento. Riprendendo il richiamo alla psicologia in una delle definizioni sopra riportate sull’I.A., trovo coerente il richiamo a Jean Piaget e alla reversibilità del tempo. Questa è alla base della creazione dell’identità della persona il cui pensiero ha l’abilità di ripercorrere il tempo sia in avanti che indietro. Le macchine sapranno sviluppare questa potenzialità di analisi, memoria, identità?

Si sentono voci sulla concreta possibilità di affidare all’I.A. il compito di scrivere libri, testi, sceneggiature. La creatività potrà essere contaminata dalla tecnologia? Personalmente non voglio avere pregiudizi, però ipotizzare un futuro nel quale le macchine, a seguito di modelli di calcolo, dati, immagini, decidano cosa scrivere, cosa mostrare, cosa rispondere, mi induce la domanda: ci saranno risposte anche per qualcosa che è imprevisto e ancora non conosciuto?

Perché è nelle criticità che l’essere umano scopre risorse e potenzialità, e la macchina ha immagazzinato quanto già noto.

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